Filosofia espositiva

Dal castello neogotico passiamo al bastione cinquecentesco, un tempo abitato dalla servitù del Capitano: qui e nel piano nuovo ricavato durante il restauro del 1991 dallo svuotamento del terrapieno, vengono proposte nuove chiavi di lettura sui materiali delle Americhe e dell’Oceania.
I materiali del secondo piano sono quelli cronologicamente più antichi, le terracotte del Perù precolombiano, corredo funerario di sepolture dal 100 d.C. alla conquista degli Incas.
Passando al piano inferiore, ricavato dallo svuotamento del bastione cinquecentesco, dopo i tessili funerari del Perù precolombiano e le civiltà precolombiane mesoamericane, viene affidata ai discendenti dei popoli indigeni nordamericani la rappresentazione della loro cultura, attraverso i materiali degli Indiani delle Pianure e degli Indiani Hopi dell’Arizona.
L’Australia, la Nuova Zelanda e la Polinesia che vengono suggerite di seguito invitano a vivere il museo come incrocio di sguardi e comunicazione a più voci, come luogo in cui possono emergere nuove chiavi di lettura, oltre stereotipi e convenzioni.
Questi percorsi invitano a concepire gli oggetti come simbolo di complesse relazioni storiche e sociali, a vedere nel museo un luogo in cui sollevare problematiche e generare processi, più che un tempio che produce classificazioni e univoche interpretazioni della realtà.
 
Con la sua riapertura dopo 13 anni di lavori di restauro è sempre stato chiaro che Castello D’Albertis non dovesse essere solo un luogo di conservazione del patrimonio extraeuropeo della città di Genova, limitando la sua funzione alla mera raccolta e alla memoria. Era anzi importante che si presentasse come luogo in cui proporre e discutere problematiche e non come luogo che desse certezze e verità.
L’ipotesi di fare del castello un “forum” più che un “tempio” non intende sminuire la funzione di raccogliere e divulgare le proprie collezioni, che il museo deve tenere come obiettivo primario, né tanto meno ignorare la grande funzione di generatore di memorie, individuali e collettive, di associazioni e identificazioni, che il museo assume grazie agli oggetti conservati.
Per cercare di ovviare al problema del museo, che per sua natura rimuove l’oggetto dal corso del tempo, lo rende statico e lo allontana dalla vita quotidiana, dall’azione e dai suoni, abbiamo cercato di favorire il suo uso come zona di contatto, tra uomini e territorio, tra oggetti e storie, tra mondi e culture.
Senza perdere di vista gli oggetti e i dati scientifici, attraverso prestiti e fusioni, in un’esposizione che enfatizzasse la valenza simbolica degli oggetti e favorisse la comunione con il visitatore, abbiamo cercato di esporre gli oggetti storici accogliendo la polivocalità della scena grazie alla co-presenza dell’antropologo, dell’artista e dell’indigeno affermando l’inesistenza “della voce univoca e autoritaria” dell’antropologia e del museo.
 
L’allestimento del museo è basato sulla scelta di una tipologia di percorso differenziata e libera, spaziale, oltremodo visivamente tattile, e su alcune idee guida:
 .    La rinuncia alla forma della vetrina come contenitore a sezione verticale di uno spazio espositivo, che costringe in una fruizione di tipo ottico e prospettico ormai “comoda”.
 .    La scelta dell’installazione espositiva come luogo, o topos dello scambio, tra il corpo
visitato, il corpo dello spazio architettonico, il corpo visitante.
 .    La variazione e la differenza invece della modularità uniformante.
 .    La rinuncia a qualsiasi forma di mimesi decaduta a mero atto illustrativo.
 .    L’attivazione di una dimensione dello scambio simbolico attraverso la significazione
metaforica del luogo espositivo.
 .    Il richiamo alla natura meditativa e intrinseca che l’“esposizione” apre e nutre, in
particolare rispetto al problema del significato del sacro che le  collezioni etnologiche
trasportano in sé.
 .    La persistente immersione del corpo nella propria tattilità spaziale attraverso una
concezione artistica “sculturale” del disegno dello spazio espositivo.
Le scelte adottate nel design del nuovo allestimento, infine, non risulterebbero evidenti senza il richiamo alla meditazione che la parola “esposizione” comporta e trasporta, e al dibattito contemporaneo, di cui il museo etnologico odierno è protagonista, fautore  e vittima, sulla complessità della rappresentazione museale e antropologica, la sua contraddittorietà e problematicità. L’allestimento del percorso espositivo è stato progettato e curato dallo scultore Massimo Chiappetta.
 
Il museo intende in questo modo offrire occasioni di conoscenza, dialogo e scambio tra le popolazioni del mondo e porsi al centro della vita sociale come luogo propulsivo di iniziative mirate all’inclusione sociale e alla partecipazione delle comunità locali e internazionali, mettendo in moto processi sui temi dell’appartenenza, dell’appropriazione e della costruzione dell’identità.
Castello D’Albertis non è solo la casa del Capitano D’Albertis, ma la nostra stessa casa, la casa delle nostre pulsioni e fascinazioni, delle nostre paure e domande che segnano il nostro rapporto con il mondo.

Canoa

Canoa

Muro NZ Fiji 300

Muro NZ Fiji 300

Muro NZ Fiji 300

Muro NZ Fiji 300

Installazione Polinesia

Installazione Polinesia

Installazione Polinesia

Installazione Polinesia

Australia

Australia

Australia

Australia

Ornamento

Ornamento

Ornamento

Ornamento

Installazione Chancay

Installazione Chancay

Installazione Chancay

Installazione Chancay

Installazione Chimù

 Installazione Chimù

Installazione Chimù

 Installazione Chimù

Installazione Inka e Chimù-Inka

Installazione Inka e Chimù-Inka

Installazione Inka e Chimù-Inka

Installazione Inka e Chimù-Inka