Luigi Bistolfi "Margherita di Savoia"

Margherita di Savoia

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Luigi Bistolfi (Acqui Terme, 1860 – Roma, 1919)

Tecnica e misure:

Gesso dipinto, 49 x 49,5 x 20 cm

Collocazione:

Vetrina scale (n. inv. 87.1066.6.1)

Provenienza:

Donazione Mitchell Wolfson Jr, 2007

Tipologia:

Scultura

 

Il volto dall’ovale perfetto e lo sguardo ispirato; l’acconciatura e la veste di modello rinascimentale: Luigi Bistolfi ritrae così, levigata e diafana, algida ed enigmatica, Margherita di Savoia all’alba del nuovo secolo. Margherita ha oltrepassato la cinquantina; dall’11 agosto 1900 ha dovuto assumere il ruolo di regina madre, ma per tutti resta la prima regina d’Italia, da quando, nel gennaio 1878, il marito Umberto è diventato re succedendo al padre Vittorio Emanuele II.  

Di idee conservatrici, simpatizzante di Mussolini negli ultimi della sua vita, conclusasi a Bordighera il 4 gennaio 1926, Margherita fu uno dei personaggi più popolari di casa Savoia dal lontano 1868 quando, appena diciassettenne, era andata in sposa all’erede al trono. Istintivamente comunicativa, profondamente convinta dell’importanza del suo ruolo, contribuì al prestigio della dinastia sabauda e, in particolare, a farne uno dei simboli identitari e unificanti della nazione da poco costituita. Pittrice per diletto, appassionata di musica, amica di artisti, scrittori e poeti, tra cui il repubblicano Carducci, fu l’animatrice di un famoso “circolo” culturale nella capitale e assidua frequentatrice di mostre. Ci fu sempre Margherita dietro agli acquisti che il marito e il figlio fecero alle più importanti rassegne espositive dell’epoca, senza dimenticare che la Biennale di Venezia, la cui prima edizione si tenne nel 1895, era stata istituita due anni prima dal municipio lagunare proprio per celebrare i venticinque anni di matrimonio della coppia reale.

Un ritratto, quello di Bistolfi, idealizzato e come fuori dal tempo, stilizzato e antinaturalistico, che rivela, da parte dello scultore di origini piemontesi, un’adesione non banale ad alcune istanze del linguaggio espressivo simbolista e una distanza quasi siderale da quella scrupolosità verista che connota una delle sue opere più note, il busto di Garibaldi davanti alla casa dell’“eroe dei due mondi” a Caprera.

Margherita diede quindi il suo apporto alle strategie dei primi governi postunitari volte a creare un’identità culturale per la nuova nazione che, all’indomani delle gloriose battaglie risorgimentali, si presentava come un paese povero e arretrato, sostanzialmente agricolo e privo di infrastrutture, lacerato da profondi squilibri tra Nord e Sud, con una popolazione oppressa da forti diseguaglianze sociali, scarsamente alfabetizzata, che mal conosceva e poco usava l’italiano. Urgevano simboli sui quali far crescere un senso condiviso di appartenenza. Fu giocoforza puntare in particolare sui “padri della patria”, privilegiando il loro grado di funzionalità agli interessi della casa reale e dei ceti dirigenti: maggiormente trascurati l’apparentemente sbiadito Cavour e il repubblicano Mazzini, decisamente favoriti Vittorio Emanuele e Garibaldi.