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Andrea Sacchi (Nettuno, 1599 - Roma, 1661)
Olio su tela, cm. 147 x 117
Andrea Sacchi, personalità di spicco nel panorama artistico della Roma seicentesca, allievo del Cavalier d’Arpino e di Albani, aderì da protagonista alla corrente classicista che si opponeva alla ridondanza del barocco allora imperante, considerandolo eccessivamente enfatico.
Il dipinto di Palazzo Rosso ben testimonia questo atteggiamento stilistico per cui le figure dei due uomini che occupano la composizione completamente, con composta imponenza, sono definite da una fonte luminosa che scolpisce le proporzioni ben calibrate dei loro corpi, così da richiamare la statuaria classica. Il dipinto si colloca, infatti, cronologicamente, intorno agli anni quaranta del Seicento, quando nell’opera del pittore si evidenzia quella tendenza classicista che lo opporrà polemicamente alla barocca esuberanza di Pietro da Cortona. Il soggetto, replicato più volte dall’artista, è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio in cui Dedalo, padre di Icaro e creatore del labirinto dove venne imprigionato ilMinotauro, per fuggire dall’isola di Creta, indossa ali realizzate con penne e cera. L’iconografia di questo noto episodio più frequentemente propone il momento della caduta di Icaro da leggersi, secondo le versioni moralizzate del testo di Ovidio, come monito rivolto ai giovani che “per lo pazzo ardire loro cascano da altissimo honore in uno bassisimo disonore”. Qui, al contrario, Sacchi coglie un altro momento del mito, in cui il padre cerca di istruire il figlio sulla tecnica del volo e, con cura amorosa, con mani tremanti e con occhi umidi di lacrime, gli adatta le ali alle giovani spalle, mettendo in evidenza l’unione fra padre e figlio, volta a sollecitare un rapporto di affetto e guida.
La tela proviene probabilmente dalla collezione Barberini a Roma, dove è ricordata nel 1671.