Nel 1751 alcuni esponenti delle famiglie dell’aristocrazia genovese più sensibili alle nuove idee illuministiche che iniziavano a circolare in tutta Europa, tra i quali si possono ricordare i Doria, i Durazzo, i Lomellini, gli Spinola, i Cambiaso..., desiderosi di recuperare un proprio ruolo politico nella promozione di iniziative economiche e culturali che potessero dar vita ad una nuova rinascenza dopo la crisi che aveva travagliato la Repubblica, sollecitato da un gruppo di artisti si attivarono affinché anche a Genova fosse istituita un’Accademia di Belle Arti.
A pochi anni dalla fondazione il patrimonio artistico della scuola era costituito quasi esclusivamente da disegni, incisioni e calchi in gesso, che costituivano modelli e repertori indispensabili per una didattica improntata alla studio del “bello antico” e al confronto con le opere dei grandi maestri del passato attraverso la pratica della copia, come si evince dalla lettura degli inventari più antichi, datati 1756, post 1770 e 1823. Nel primo documento citato, oltre al quadro raffigurante i protettori dell'istituzione - "Nostra Signora, S. Luca e S. Cattarina" - posto nella sala grande, sono registrati sette quadri nel salotto delle adunanze, tutte opere di artisti contemporanei e oggi disperse ad eccezione di una tela del Galeotti, raffigurante Amore che lotta con Pan, tutt’ora conservata nelle collezioni.
In realtà fino alle soglie del XX secolo una raccolta di calchi in gesso delle più celebri sculture dell’antichità greco-romana costituiva un patrimonio indispensabile per ogni Accademia o Scuola di Belle Arti. Come documentano gli inventari di metà Ottocento e un disegno conservato nell’archivio dell’istituto che riproduce la collocazione dei pezzi nel grande salone, dal 1831, dopo il trasferimento nell’attuale sede, i calchi delle opere monumentali e più prestigiose posti su basi in legno dal profilo modanato laccate in grigio – dal Torso del Belvedere all’Ercole Farnese al Gladiatore Borghese - occupavano la grande sala a colonne detta “Sala delle Statue o Gessi”. Accanto ai calchi delle più importanti opere dell’antichità classica erano raccolti inoltre quelli dei capolavori della scultura del Quattrocento e Cinquecento (Lorenzo Ghiberti, Matteo Civitali, Michelangelo) o del Neoclassicismo (Antonio Canova e Berthel Thorwaldsen).
Moltissimi altri esemplari che comprendevano anche calchi parziali o elementi architettonici, decorativi, o anatomici, erano allineati su mensole alle pareti delle aule delle diverse discipline o nelle gallerie sottotetto.
Mentre gli inventari più antichi non riportano informazioni sulla provenienza dei calchi, utili informazioni si possono trarre dal “Libro degli Accademici e degli Studenti. 1751-1804”. Da quella fonte si apprende che il primo nucleo della Gipsoteca si doveva in larga misura alla munificenza dei Cambiaso, molti pezzi provenivano da Gerolamo Durazzo, mentre ad Anton Raphael Mengs si doveva l’ingresso del celebre gruppo dei “Lottatori”, nel 1772. Alla generosità di Marcello Durazzo erano invece legati i calchi dell’“Ebe” di Canova, delle figure del “Crepuscolo” e dell’“Aurora” dalle tombe Medicee di Michelangelo, mentre a Giacomo Brignole era legato il “Mercurio” di Thorwaldsen, per citare solo alcuni tra i pezzi più prestigiosi.
La destinazione didattica del materiale, che comportava rischi accidentali negli spostamenti, e il continuo logorio legato all’uso, oltre ai ripetuti trasferimenti della scuola e, in ultimo, i danni subiti nel corso dei bombardamenti del 1942, hanno drasticamente ridotto la consistenza della collezione.
Oggi quanto rimane è conservato nei depositi, in attesa di un auspicabile e necessario intervento di restauro che ne renda possibile l’esposizione al pubblico; la presentazione di un piccolo nucleo di gessi restaurati nelle sale del museo intende solo suggerire ai visitatori la ricchezza di un patrimonio che alla fine del XIX secolo aveva raggiunto una consistenza notevole, tanto da costituire un innegabile vanto per la storica istituzione genovese.