Il carro del sole con le stagioni

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Il carro del sole con le stagioni

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 300 x 437

La raffigurazione di Apollo, colto nel suo palazzo mentre si accinge a guidare l’aureo “carro del sole”, è un motivo iconografico assai frequente nella decorazione delle residenze gentilizie tra Cinquecento e Settecento.
La fonte letteraria è costituita dalle Metamorfosi di Ovidio e l’allusione a identificare lo splendente dio con il committente dell’opera nonché il Palazzo del Sole con la dimora patrizia ben risponde alle esigenze di decorum e di autocelebrazione tanto cari alla classe dirigente del “secol d’oro”.
Il tema è affrontato da Piola in una trasposizione piuttosto letterale del testo ovidiano. Nel palazzo di Apollo vivono, oltre a Chronos, i Mesi, i Giorni, le Ore risolte nel dipinto come trasparenti figurette, in contrasto con la barocca ridondanza della composizione. Protagonista dell’incedere del Tempo sono, invece, le Stagioni, che si stringono intorno ad Apollo, rese con una felicità compositiva e cromatica che alterna toni cupi per le stagioni più fredde a quelli squillanti per quelle della prosperità dell’anno.
La Primavera apre la via al carro, coronata di fiori, colta nell’atto di spargere petali, identificabile anche con Aurora che, secondo la tradizione, precede il carro del sole. Irradiata di luce intensa, la figura di questa giovane donna, costituisce il trait d’union con la parte inferiore del quadro, dove trovano posto Autunno e Inverno.
Chiude la rassegna Estate, giovane donna che reca in mano i frutti della sua stagione, affiancata da un putto con un fascio di spighe.
Vero incipit del ciclo degli affreschi di Palazzo Rosso dello stesso Piola e di Gregorio De Ferrari, di cui anticipa i temi, questo dipinto non fu, tuttavia, eseguito per essere collocato nell’attuale sede e fu realizzato molto prima, negli anni quaranta, quando era assidua la collaborazione con il cognato Stefano Camogli, cui
venivano affidate le parti floreali, che anche in questo dipinto gli sono ascrivibili completamente.
Acquistato da Ridolfo Brignole - Sale nel 1679 per collocarlo nel salone, fu in quell’occasione ampliato dallo stesso Piola.
 

Abramo convita i tre angeli

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bartolomeo Guidobono (Savona, 1654 - Torino, 1709)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 225 x 164

Lot ubriacato dalle figlie

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bartolomeo Guidobono (Savona, 1654 - Torino, 1709)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 224 x 161

La tela fa parte della serie di quattro sovrapporte, che narrano le storie di Abramo e di suo nipote Lot, commissionate da Gio. Francesco I Brignole - Sale per ornare il salone di rappresentanza di Palazzo Rosso, dove tuttora sono collocate.
Il libro dei conti della famiglia documenta l’acconto per l’esecuzione dei dipinti (1694) e il saldo del lavoro (1695 e 1696).
In questo dipinto è rappresentato l’episodio della Bibbia secondo cui dalla distruzione divina della città di Sodoma si salvarono solo Lot e le sue due figlie, mentre il resto della popolazione, giudicata empia e peccatrice, perì, lasciando completamente disabitato quel territorio.
La figlia maggiore suggerì pertanto alla sorella di ubriacare il padre e di giacere entrambe con lui, reso inconsapevole dal vino, per ottenere la discendenza. Da questa unione ebbero origine i popoli dei Moabiti e degli Ammoniti.
Bartolomeo Guidobono, pittore savonese, originale e raffinato interprete del rococò a Genova e attivo soprattutto nell’ambito della grande decorazione, dà qui un’interpretazione profana del testo biblico, esibendo le rosee nudità delle due giovani, la palpabile preziosità del manto di una e la posa leziosa e ammiccante dell’altra.
Fuori dalla grotta in cui Lot e le figlie trovarono rifugio, in lontananza, si scorge la città di Sodoma, devastata dalle fiamme. La sagoma immobile che si scorge dinanzi al rogo della città è quella di Sara, moglie di Lot, tramutata in una statua di sale per aver disatteso all’ordine di Dio di fuggire senza mai voltarsi indietro.
Una dimostrazione dell’abilità di questo artista, giunto ormai alla piena maturità, è la natura morta in primo piano, che accompagna gradevolmente lo sguardo dello spettatore verso il centro della scena; tra i frutti in essa raffigurati sono presenti sia il simbolo del peccato (la mela) sia quello della passione di Cristo (l’uva), contrapposizione coerente con il senso dell’episodio, in cui un’azione in sé peccaminosa è letta come atto sacrificale per dar vita a una nuova discendenza di uomini giusti.
 

Lot fatto prigioniero

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bartolomeo Guidobono (Savona, 1654 - Torino, 1709)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 225 x 164

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Romolo e Remo con la lupa

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Francesco Biggi (Genova, 1676–1736)

Tecnica e misure:

Marmo

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Il gruppo marmoreo en pendant a Giove in forma di cigno con Elena e Polluce, Romolo e Remo con la lupa è sempre da ricondurre alla progettazione di Domenico Parodi ma  venne  realizzato
da un suo più stretto collaboratore, Francesco Biggi, che, formatosi nella bottega del padre di Domenico, il grande scultore di tardo Seicento Filippo Parodi, ebbe poi l’incarico di mandare avanti quel genere di attività dato che Domenico era piuttosto versato alla pittura.

Piero Boccardo

Giove in forma di cigno con Elena e Polluce

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Schiaffino (Genova, 1678-1725)

Tecnica e misure:

Marmo, altezza 146 cm.

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Il bel gruppo marmoreo, di virtuosa realizzazione, illustra un mito classico, di cui si conoscono più versioni, secondo il quale dall’amore di Giove, sotto forma di cigno, con Leda venne generato l’uovo da cui videro la luce il dioscuro Polluce e la bellissima Elena.
L’opera, che data al 1707 e assolveva in origine anche alla funzione di fontana, venne eseguita da Bernardo Schiaffino, un affermato scultore genovese, con ogni probabilità su disegno di Domenico Parodi (1672-1742).
La scelta del soggetto è motivata dal fatto che l’episodio della nascita di Elena costituisce il prologo di una narrazione che investe per intero la stanza detta della “grotta” situata nel mezzanino posto tra il primo e il secondo piano nobile di Palazzo Rosso. In quell’ambiente, che faceva parte del piccolo ma raffinato e scenografico appartamento che Anton Giulio II Brignole - Sale si fece approntare nella prima decade del Settecento, sulla parete di fondo e sulle ante lignee degli armadi a muro lo stesso Parodi dipinse gli altri episodi salienti che segnano le mitiche origini di Roma: dopo la nascita di Elena, l’attribuzione da parte di Paride del pomo “della discordia” a Venere, di seguito lo stesso Paride che rapisce Elena e, di fronte, la fuga di Enea da Troia, per arrivare infine a illustrare, con un altro gruppo marmoreo en pendant a questo, Romolo e Remo con la lupa.

(Piero Boccardo)

Piatto

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Piatto

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Vaso

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Vaso

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Vaso

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Vaso da farmacia

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