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Francesco Brea (Nizza, 1495–1562)
Olio su tavola, cm. 70x94
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Francesco Brea (Nizza, 1495–1562)
Olio su tavola, cm. 70x94
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Francesco Brea (Nizza, 1495–1562)
Olio su tavola, cm. 70x94
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Bernardo Licinio (Venezia, 1485-1550)
Olio su tavola, cm. 91x82
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Andrea D’Agnolo, detto Andrea del Sarto (Firenze, 1486-1530)
Olio su tela, cm. 141x108
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Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio (Serina, 1480 circa - Venezia, 1528)
Olio su tavola, cm. 71x108
Si informa che il dipinto non è al momento esposto per ragioni conservative e che verrà ricollocato all’interno del percorso museale di Palazzo Rosso tra circa 40 giorni (25 settembre 2015)
Il dipinto è uno dei capolavori di Palma il Vecchio, esponente dell'arte veneta del primo Cinquecento. L'artista si formò a Venezia alla scuola di Giovanni Bellini e, in seguito, venne influenzato dalle istanze stilistiche di Giorgione e Tiziano. In questa "Sacra Conversazione" databile intorno al 1520-1522, le figure ritratte a mezzo busto sono perfettamente inserite nel luminoso paesaggio dello sfondo, pervaso da una luce chiara e diffusa propria della pittura veneta fra Quattro e Cinquecento. La simmetria con cui sono disposti i personaggi ai lati della Vergine è un manifesto richiamo a Bellini, ma la sontuosità del drappeggio ondulato, così come la solennità degli atteggiamenti della Maddalena e del Battista e lo spazio ben articolato e non costretto, rivelano una autonoma maturità dello stile del pittore in senso pienamente rinascimentale.
Da sottolineare la splendida cromia dell'opera, in cui il blu oltremarino del manto della Vergine prevale sul blu con iridescenze grigie dell'abito di Maria Maddalena a sua volta in armonioso contrappunto con la tunica grigia e il mantello verde oliva del Battista.
I teneri sguardi delle donne, i morbidi riccioli della capigliatura del Battista, l'accuratezza dei particolari quali la manica di velluto bordeaux del braccio destro della Maddalena, l'eccellente qualità della trama attraverso l'intera superficie del dipinto, questi ed altri aspetti fanno di quest'opera un eccellente esempio della pittura di Palma.
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Pietro Bonaccorsi, detto Perin del Vaga (Firenze, 1501 - Roma, 1547)
Olio su tavola, cm. 40x30
Già riconosciuta come opera di un ignoto pittore manierista di Anversa, questa "Madonna col Bambino, San Giuseppe e San Giovannino" è oggi riconosciuta alla mano di Perin del Vaga, a motivo anche dell'alta qualità del disegno preparatorio sottostante la tela. Al pittore, allievo e collaboratore di Raffaello a Roma, era stata già attribuita un'opera di identico soggetto nella collezione Balbi di Piovera, sempre a Genova.
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Arazzo raffigurante Marte a grottesche
cm. 363 x 630
Questo grande arazzo, tessuto a Bruxelles, apparteneva a una delle serie che Perin del Vaga disegnò per la dimora di Andrea Doria, il Palazzo del Principe.
Questa serie è stata modernamente denominata Dei a grottesche: in ciascun arazzo campeggia il simbolo o l'allegoria di una divinità.
Il dio Marte è qui simboleggiato, al centro, da una panoplia con due prigioni e accompagnato da elaborati motivi di grottesche, girali fitomorfi, creature mostruose, amorini, vittorie alate.
Perin del Vaga che era stato un collaboratore di Raffaello a Roma, venne chiamato dal Doria dopo il 1527 proprio per soprintendere alla decorazione e all'arredo di quella principesca residenza.
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Michele Taddeo di Giovanni Bono, detto Giambono (Venezia, 1420 circa - 1462 circa)
Tempera su tavola, cm. 53x40
Il ritratto presenta un uomo a mezzo busto, posto di profilo, stagliato su un fondo uniforme verde. La sontuosa veste di velluto broccato, decorata con un motivo a melagrana impreziosito da lamine d'argento graffite, l'ampio bavero di pelliccia e la larga tesa del cappello rosso conferiscono al personaggio un'aria vagamente esotica che, insieme all'incarnato bianco e piuttosto flaccido, le labbra carnose, lo scorcio dell'occhio non troppo definito dal disegno, hanno fatto pensare a uno dei principi magiari che vennero in Italia nel 1433 per l'incoronazione dell'imperatore Sigismondo.
La vicenda attributiva del dipinto, piuttosto travagliata, comincia con il riferimento, del tutto inverosimile, a Leonardo da Vinci, nell'inventario seicentesco della raccolta veneziana del pittore e collezionista Nicolas Régnier, da cui lo acquistà il nobile genovese Giuseppe Maria Durazzo.
Dagli inizi del Novecento, in ragione dell'alta qualità sia formale sia tecnica, si è a buon diritto consolidata la collocazione di quest'opera nell'ambito della più qualificata produzione del "gotico internazionale". Pisanello, cui il nitore numismatico del profilo sembra avvicinarsi, e, in seguito, Giambono sono i nomi su cui si è divisa la critica, propendendo più decidamente per il secondo. Un recente intervento propone, infine, Gentile da Fabriano, maestro e modello cui spesso Giambono si ispira.
La bella cornice "a edicola", con doratura a guazzo in oro zecchino, che racchiude il dipinto, pur non essendo quella sua originale, risale al primo quarto del XVI secolo e si ispira a elementi architettonici rinascimentali di matrice brunelleschiana.
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Giuditta e Oloferne
Brignole-Sale De Ferrari Maria 1874 Genova - donazione
Caliari, Paolo detto il Veronese
dipinto
1581 - 1588 - XVI
PR 95
Unità di misura: cm; Altezza: 195; Larghezza: 176
olio su tela
VERONESE E VERONA - VERONA - 1988
Venecia. Triunfo de la bellezza y destrucciòn de la pintura - Madrid - 2017
Il dipinto, databile al 1580 circa, venne acquistato insieme ad altre opere da Giuseppe Maria Durazzo a Venezia nel 1670, è ricordato nelle collezioni Brignole-Sale in Palazzo Rosso, a partire dall'inventario del doge Ridolfo e in tutti quelli successivi, con l'attribuzione a Paolo Veronese, ed in questo senso si è espressa unanimemente la critica sino ad oggi. Il soggetto è tratto dal libro di Giuditta dell'antico testamento. Il Veronese ritrae l'eroina nel momento in cui affida alla serva la testa di Oloferne. L'ancella, che nella bibbia non compare, è nera e forse nana, per accentuare il contrasto con la fresca bellezza di Giuditta. Le fonti ricordano diverse redazioni del tema da parte del Veronese: nel Kunsthinstoriches Museum di Vienna, nell'inventario del 1627 del duca di Mantova è citata una Giuditta del Veronese, un'altra versione è ricordata dal Ridolfi a Venezia in casa Bonaldi. Nel 1960 il dipinto di Palazzo Rosso ha riacquistato le sue dimensioni originali, che erano state sensibilmente alterate nel corso delle sitemazioni sei e settecentesche. Il dipinto rappresenta Giuditta mentre ha in mano la testa di Oloferne, affidandola alla sua ancella.
Sede:
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Via Garibaldi 9 - 16124 Genova
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