Clorinda libera Olindo e Sofronia dal rogo, (1646)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 248 x 245

L’episodio raffigurato da Mattia Preti in questo grande dipinto è tratto dal secondo canto della Gerusalemme liberata, in cui Torquato Tasso racconta di Olindo e Sofronia, che al fine di evitare la carneficina di cristiani, minacciata da Aladino per un furto sacrilego nella moschea di Gerusalemme, in una generosa gara, motivata dall’amore reciproco, si autoaccusavano tentando a un tempo di scagionare l’amato e la comunità cristiana. Furono pertanto condannati entrambi al rogo ed erano già legati per il supplizio quando intervenne Clorinda, famosa eroina e guerriera persiana, appena giunta a Gerusalemme per partecipare alla resistenza musulmana che, vedendo il coraggio e supponendo l’innocenza dei due amanti, convinse Aladino a liberarli, offrendogli, in cambio, i suoi servigi in battaglia.
Preti non mette in risalto tanto le figure dei protagonisti, che sono relegati, seppur in primo piano, ai margini della scena, quanto la partecipazione della folla a questo evento, dandone un’interpretazione corale, che ben si addice alla resa del poema eroico in cui ogni azione è vista nell’ottica del bene comune.
Committente del dipinto fu il cardinale Gian Battista Pallotta, che lo volle come pendant di un quadro con Damone e Pizia, altro emblematico esempio di eroica amicizia, di Guercino, nel 1646.
In questi anni Mattia Preti era a Roma e gli influssi neoveneti che si riscontrano nella tela, soprattutto nella capacità veronesiana di creare ampi spazi prospettici, sono filtrati e arricchiti da una vena larga e movimentata, con accenti drammatici, smorzati dalla conoscenza del classicismo emiliano di Guercino.
 

La Carità cristiana

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino (Campo Ligure o Genova, 1582 - Venezia, 1644)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 122 x 94

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Questa tela fu venduta nel 1728 a Gio.Francesco II Brignole-Sale da Pier Francesco Centurione Oltremarini, nipote di quel Filippo che commissionò a Bernardo Strozzi gli affreschi della sua villa di Sampierdarena e, forse, altre opere. E’ probabile che, già al momento del suo ingresso nella collezione Brignole-Sale in Palazzo Rosso, la tela sia stata molto ingrandita per fungere da sovrapposta nella stanza detta della Gioventù in cimento.
Abbandonata nel secondo dopoguerra la tradizionale disposizione a quadreria delle opere, il dipinto fu riportato alle dimensioni originali. L’ultimo restauro pittorico ha restituito la gamma cromatica originale, contraddistinta, almeno nelle vesti azzurre e verdi della donna, da colori freddi e asprigni, mentre più leggibile è risultato l’abile uso del pennello nel dare rapido corpo ai panneggi.
Esistono altre due redazioni della Carità cristiana, una conservata al Virginia Museum of Fine Arts, l’altra in collezione privata genovese, di cui quella di Palazzo Rosso può considerarsi il prototipo. Tutte in ogni caso ispirate ad una tarda opera di Luca Cambiaso, oggi agli Staatliche Museen di Berlino, che già presentava la personificazione della terza Virtù Teologale in termini assai prossimi a quelli di lì a poco codificati dal Ripa (1603).
Discussa è la datazione dell’opera; la più credibile sembra, comunque, porsi intorno alla metà del secondo decennio del Seicento, quando le componenti culturali toscane dello Strozzi si arricchiscono delle suggestioni lombarde.

Filosofo della scuola cinica

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Francesco Fracanzano (Monopoli, 1612 - Napoli, 1656)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 70 x 56

Gesù appare agli apostoli/Incredulità di San Tommaso

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 123 x 173

Resurrezione di Lazzaro

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 248 x 312

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Mattia Preti era meglio conosciuto come il Cavalier Calabrese per via del titolo avuto dall'Ordine di Malta e per la regione d'origine. La Resurrezione di Lazzaro è riconducibile al periodo giovanile dell'artista (1630-1640), a quando la sua pittura risultava ancorata al drammatico vigore dei caravaggeschi napoletani, dai quali il pittore riprende in particolare il naturalismo tenebroso, tagliato in questo caso da una lama di luce che evoca la Vocazione di San Matteo dello stesso Caravaggio. Nel contempo nella figura della Maddalena, in primo piano all'estrema sinistra, inginocchiata, è già leggibile il fascino allora esercitato dalla pittura veneta del secolo precedente.

Padre Eterno con un angioletto, (1620)

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Titolo dell'opera:

Padre eterno con angioletto

Acquisizione:

Brignole-Sale De Ferrari Maria 1888 Genova - legato

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1620 - 1620 - XVII

Inventario:

PB 257

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 66; Larghezza: 91

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Mostra d'arte antica aperta nelle sale del Palazzo Bianco - Genova - 1892
Il Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591-1666) - Bologna - 1968
Il Guercino - Bologna - 1991
Genova e Guercino. Dipinti e disegni delle civiche collezioni - Genova - 1992

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Descrizione:

Il dipinto era destinato a coronare la pala raffigurante la "vestizione di San Guglielmo d'Aquitania", dipinta dal Guercino nel 1620 per Cristoforo Locatelli. Secondo la testimonianza del Malvasia il committente "lo tenne per se", ponendovi una copia. La presenza della tela del Guercino nel capoluogo ligure è attestata già dalla prima metà del XVIII secolo, mentre è citato per la prima volta in Palazzo Rosso nell'inventario manoscritto del 1748. Il dipinto fu fra i pochi a non essere donato, insieme al Palazzo, nel 1874, al comune di Genova, poiché la Duchessa di Galliera lo portò via con sé per decorare la sua residenza parigina; solo nel 1889 entrò a far parte del patrimonio artistico della galleria di Palazzo Bianco, attraverso il legato da lei disposto in quell'anno a favore delle civiche collezioni. Il dipinto rappresenta il Padre eterno mentre dialoga con un angioletto.

Cristo scaccia i mercanti dal tempio

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Titolo dell'opera:

Cristo scaccia i mercanti dal Tempio

Acquisizione:

Maria Brignole-Sale De Ferrari 1874 Genova - donazione

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto Il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1634 - 1638 - XVII

Inventario:

PR 62

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 250; Larghezza: 311

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

GENOVA E GUERCINO. DIPINTI E DISEGNI DELLE CIVICHE COLLEZIONI - GENOVA - 1992
Le stanze del Cardinale. Caravaggio,Guido Reni, Guercino e Mattia Preti per il Cardinale Pallotta - Caldarola - 2009

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Descrizione:

La documentazione disponibile fornisce elementi piuttosto contraddittori riguardo alla genesi di questo dipinto. Se, da una parte, lo storiografo bolognese Carlo Cesare Malvasia (1678) lo dice commissionato a Guercino nel 1634 dal cardinale Giovanni Battista Pallotta per farne omaggio, al termine del suo mandato a Ferrara, a Francesco I d'Este, allora Duca di Modena, salvo, poi, non consegnarlo e tenerlo per sé, dall'altra, il Libro dei conti dell'artista tiene memoria del pagamento ricevuto quattro anni più tardi da Antonio Fabri per "il ritocco della coppia del Cristo che schaccia li venditori dal Tempio" da donare allo stesso Pallotta, che, a quel punto, ne avrebbe posseduti due quasi identici. Al di là del fatto che Malvasia possa essersi sbagliato e che la prima tela del 1634 possa essere effettivamente pervenuta al Duca di Modena (ma non compare nessun'opera simile negli inventari estensi), scarsi dubbi esistono sul diretto collegamento del soggetto del quadro alla figura del cardinale: infatti, la corda piegata brandita da Cristo nell'atto di scacciare i mercanti ricorda molto da vicino l'arma araldica dei Pallotta, caratterizzata da un "flagello nell'atto di colpire". Il paragone è talmente calzante che nelle carte del cardinale l'opera - forse giunta tra i suoi beni effettivamente solo nel 1638, grazie al "ritocco" pagato da Fabri? - è stata curiosamente registrata sotto la voce "Flagellum de funiculis", con una citazione dal Vangelo di Giovanni (2,15). Altrettanto sicuramente, l'opera oggi conservata ai Musei di Strada Nuova venne acquistata da Gio. Francesco I Brignole-Sale entro il 1684, a partire da un gruppo selezionato di opere un tempo appartenenti al cardinale Pallotta e successivamente, tramite le nozze di sua figlia, pervenute al marito di quest'ultima, il conte bolognese Gio. Gaspare Grassi. Lontano dall'essere una mera copia "tout court", il dipinto in questione sembra, dunque, costituire una rielaborazione di bottega - sono stati fatti i nomi di Bartolomeo Gennari e Matteo Loves - con l'intervento del maestro, forse limitato - anche a giudicare dalla cifra pagata da Fabri per il "ritocco" - all'esecuzione delle teste principali e di qualche altro elemento pregnante. Il restauro del 2009 ha peraltro effettivamente messo in luce la presenza di più strati pittorici, dei quali, tuttavia, alcuni riconducibili ai pesanti interventi di reintegrazione pittorica effettuati già a metà Ottocento da Giuseppe Isola e documentati. (Boccardo 2009, pp. 116-117) Per Turner (2017, pp. 496-497) si può trattare di un classico "bozzettone" di bottega, realizzato in preparazione del dipinto principale e per il quale il ritocco richiesto da Fabri doveva servire a colmare le parti lasciate solo, appunto, abbozzate. Il dipinto rappresenta Gesù mentre scaccia i mercanti dal tempio.

cleopatra morente

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Titolo dell'opera:

Cleopatra morente

Acquisizione:

Brignole-Sale De Ferrari Maria 1874 Genova - donazione

Ambito culturale:

ambito emiliano

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1648 - 1648 - sec. XVII

Inventario:

PR 16

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 173; Larghezza: 237

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Il Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591-1666) - Bologna - 1968
Genova e Guercino. Dipinti e disegni delle civiche collezioni - Genova - 1992
El siglo de los genoveses e una lunga storia di arte e splendore nel palazzo dei dogi - Genova - 1999/2000
Guercino tra Sacro e Profano - Piacenza - 2017

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Descrizione:

Questo dipinto, in cui Cleopatra è colta nell’attimo estremo di farsi mordere da un’aspide, pur di non subire l’onta della sconfitta e della prigionia, fu eseguito dal maestro nell’ultima fase della sua attività, quando, trasferitosi a Bologna dopo la morte di Guido Reni (1642), ne ereditò il ruolo di caposcuola e ne subì l’influsso, orientandosi verso una pittura di stampo classicista, volta a una maggiore idealizzazione delle figure cui si accompagna una progressiva riduzione della gamma cromatica e il frequente ricorso a colori pastello. La tela ben si accorda con questo rinnovato indirizzo stilistico, giocando abilmente sui toni di solo due tinte: il bianco per le lenzuola e per l’incarnato di Cleopatra e il viola per i cuscini, le cortine dell’alcova, disposte a sipario, come in una rappresentazione teatrale, e le gocce di sangue color di rubino che sgorgano dal petto della regina, che, ormai esangue è languidamente adagiata sulle coltri. Il dipinto è identificabile con quello citato nel libro dei conti del Guercino come “quadro di Cleopatra” pagato 125 ducati “il 24 marzo 1648 dall’ill.mo mons. Carlo Emanuele Durazzi”, cugino di uno Stefano Durazzo. Egli, come era tradizione per tanti porporati genovesi, ricoprì la carica di cardinale legato nei territori emiliani, soggetti allo stato pontificio. Tale continuità istituzionale - se non era genovese il legato, lo era probabilmente il vice legato - spiega la gran fortuna della pittura emiliana del seicento nelle collezioni della città ligure. Alla metà del settecento dai Durazzo, attraverso vari passaggi ereditari, il quadro passò infine nella collezione di Gio. Francesco II Brignole–Sale, che la collocò nella quadreria del secondo piano nobile di Palazzo Rosso. Non sono ancora state chiarite le modalità del passaggio di proprietà dagli eredi di Carlo Emanuele II Durazzo, per il quale l'opera venne eseguita, alla quadreria di Gio. Francesco II Brignole-Sale a Palazzo Rosso, dove comparve già nel catalogo del 1756. L'accurato restauro del 1991 ha riportato l'opera alla sua raffinatissima e pur limitata gamma cromatica. Sono da segnalare i disegni in relazione a questo dipinto: quello interrogativamente attribuito a Guercino conservato a Besancon (inv. N. D. 2266), a penna e inchiostro, mostra la regina sdraiata su un fianco, la testa appoggiata a sinistra e nella destra - con maggior rispetto della fonte letteraria- l'aspide: se va riferito all'opera di Palazzo Rosso, si tratta di uno studio iniziale. Più interessanti gli altri due fogli, quello della collezione P. E n de Boer di Amsterdam, a penna e inchiostro, e quello di collezione privata statunitense. Nel disegno olandese risulta definito soprattutto il busto di Cleopatra, mentre non sembra che l'artista intendesse rappresentarla completamente sdraiata. Questo particolare è, invece, evidente nel disegno americano, dove compaiono anche il cuscino con le nappe e le cortine. Il dipinto rappresenta Cleopatra morente distesa su un letto mentre è morsa da un serpente.

Suicidio di Catone, Guercino

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Titolo dell'opera:

Morte di Catone

Acquisizione:

Maria Brignole-Sale De Ferrari 1874 Genova - donazione

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1640 - 1641 - sec. XVII

Inventario:

PR 61

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 118; Larghezza: 107

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Il Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591-1666) - Cento - 1991
Genova e Guercino. Dipinti e disegni delle civiche collezioni - Genova - 1992
Guercino. Il mestiere del pittore - Torino - 2024

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Descrizione:

Dal libro dei conti dell’artista risulta che per questo dipinto venne pagata una caparra di 20 scudi il 22 novembre 1640, mentre il saldo di 55 scudi fu registrato in data 7 dicembre 1641; in entrambi i casi è specificato il nome del committente: l'avvocato Marcantonio Eugeni, che, due anni più tardi, pagò a Guercino una cifra analoga per una Morte di Seneca, andata dispersa, ma chiaramente concepita in pendant con l'opera in esame. L’opera è stata, poi, identificata con il “quadro in tela rapresenta Catone Utecenze con cornice dorata” registrato nell’inventario post-mortem del cardinale Giovanni Battista Pallotta, del 1668 (Boccardo in Caldarola 2009, p. 120). È, dunque, dalla nipote ed erede del cardinale che il dipinto venne acquistato da Giovanni Francesco I Brignole-Sale sicuramente entro il 1684, anno in cui compare nell’inventario pertinente ai beni di quest’ultimo (Tagliaferro 1995, p. 299). Si conoscono due disegni, entrambi a penna e inchiostro, in relazione a questo soggetto: uno della Royal Library di Windsor (inv. N. 2816) dove, rispetto al dipinto, la mano destra di Catone è sollevata in modo da infiggere la spada in pieno costato; l'altro, conservato al Musée des Beaux-Arts di Digione (inv. N. D. G. 565), presenta, invece, in analogia con la tela di Palazzo Rosso, una tenda sulla sinistra e il braccio destro abbassato (Boccardo in Genova 1992, p. 70). Il dipinto rappresenta Catone con addosso un drappo rosso intento a pugnalarsi al ventre.

La Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e San Giovannino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1574 - Milano, 1625)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 249 x 168

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