San Francesco in adorazione del Crocifisso

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino (Campo Ligure o Genova, 1582 - Venezia, 1644)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 125 x 86,5

Uno dei temi prediletti del Cappuccino fu l’immagine di San Francesco, colto in atteggiamenti meditativi, estatici o di preghiera, tanto che Palazzo Rosso ne possiede ben due: San Francesco appoggiato alla Croce e San Francesco in adorazione del Crocifisso, pervenuti alla collezione dei Brignole nel corso del Settecento da due diverse quadrerie Durazzo.
I soggetti di questo genere, anche in ragione della tradizione storiografica in proposito, vengono di solito posti in relazione agli anni trascorsi dall’artista in convento, anche se il San Francesco in estasi sembra più credibilmente riferibile ad una data più tarda. Bisogna ricordare che i temi sui quali l’ordine cappuccino insisteva particolarmente erano l’unione con Dio, la passione di Cristo, la devozione della Vergine e l’estasi, considerata l’aspetto più importante della santità. E’ l’adesione empatica che parte dai personaggi a dare loro evidenza visiva e a comporre la tensione sentimentale che regola lo spazio e fa diretto partecipe l’osservatore.

Clorinda libera Olindo e Sofronia dal rogo, (1646)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 248 x 245

L’episodio raffigurato da Mattia Preti in questo grande dipinto è tratto dal secondo canto della Gerusalemme liberata, in cui Torquato Tasso racconta di Olindo e Sofronia, che al fine di evitare la carneficina di cristiani, minacciata da Aladino per un furto sacrilego nella moschea di Gerusalemme, in una generosa gara, motivata dall’amore reciproco, si autoaccusavano tentando a un tempo di scagionare l’amato e la comunità cristiana. Furono pertanto condannati entrambi al rogo ed erano già legati per il supplizio quando intervenne Clorinda, famosa eroina e guerriera persiana, appena giunta a Gerusalemme per partecipare alla resistenza musulmana che, vedendo il coraggio e supponendo l’innocenza dei due amanti, convinse Aladino a liberarli, offrendogli, in cambio, i suoi servigi in battaglia.
Preti non mette in risalto tanto le figure dei protagonisti, che sono relegati, seppur in primo piano, ai margini della scena, quanto la partecipazione della folla a questo evento, dandone un’interpretazione corale, che ben si addice alla resa del poema eroico in cui ogni azione è vista nell’ottica del bene comune.
Committente del dipinto fu il cardinale Gian Battista Pallotta, che lo volle come pendant di un quadro con Damone e Pizia, altro emblematico esempio di eroica amicizia, di Guercino, nel 1646.
In questi anni Mattia Preti era a Roma e gli influssi neoveneti che si riscontrano nella tela, soprattutto nella capacità veronesiana di creare ampi spazi prospettici, sono filtrati e arricchiti da una vena larga e movimentata, con accenti drammatici, smorzati dalla conoscenza del classicismo emiliano di Guercino.
 

La Carità cristiana

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino (Campo Ligure o Genova, 1582 - Venezia, 1644)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 122 x 94

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Questa tela fu venduta nel 1728 a Gio.Francesco II Brignole-Sale da Pier Francesco Centurione Oltremarini, nipote di quel Filippo che commissionò a Bernardo Strozzi gli affreschi della sua villa di Sampierdarena e, forse, altre opere. E’ probabile che, già al momento del suo ingresso nella collezione Brignole-Sale in Palazzo Rosso, la tela sia stata molto ingrandita per fungere da sovrapposta nella stanza detta della Gioventù in cimento.
Abbandonata nel secondo dopoguerra la tradizionale disposizione a quadreria delle opere, il dipinto fu riportato alle dimensioni originali. L’ultimo restauro pittorico ha restituito la gamma cromatica originale, contraddistinta, almeno nelle vesti azzurre e verdi della donna, da colori freddi e asprigni, mentre più leggibile è risultato l’abile uso del pennello nel dare rapido corpo ai panneggi.
Esistono altre due redazioni della Carità cristiana, una conservata al Virginia Museum of Fine Arts, l’altra in collezione privata genovese, di cui quella di Palazzo Rosso può considerarsi il prototipo. Tutte in ogni caso ispirate ad una tarda opera di Luca Cambiaso, oggi agli Staatliche Museen di Berlino, che già presentava la personificazione della terza Virtù Teologale in termini assai prossimi a quelli di lì a poco codificati dal Ripa (1603).
Discussa è la datazione dell’opera; la più credibile sembra, comunque, porsi intorno alla metà del secondo decennio del Seicento, quando le componenti culturali toscane dello Strozzi si arricchiscono delle suggestioni lombarde.

Filosofo della scuola cinica

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Francesco Fracanzano (Monopoli, 1612 - Napoli, 1656)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 70 x 56

Gesù appare agli apostoli/Incredulità di San Tommaso

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 123 x 173

Resurrezione di Lazzaro

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mattia Preti, detto Cavalier calabrese (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 248 x 312

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Mattia Preti era meglio conosciuto come il Cavalier Calabrese per via del titolo avuto dall'Ordine di Malta e per la regione d'origine. La Resurrezione di Lazzaro è riconducibile al periodo giovanile dell'artista (1630-1640), a quando la sua pittura risultava ancorata al drammatico vigore dei caravaggeschi napoletani, dai quali il pittore riprende in particolare il naturalismo tenebroso, tagliato in questo caso da una lama di luce che evoca la Vocazione di San Matteo dello stesso Caravaggio. Nel contempo nella figura della Maddalena, in primo piano all'estrema sinistra, inginocchiata, è già leggibile il fascino allora esercitato dalla pittura veneta del secolo precedente.

Padre Eterno con un angioletto, (1620)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino (Cento, 1591 - Ferrara, 1666)

Tecnica e misure:

Olio su tela, 66 x 91 cm

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Il quadro, datato al 1620, è un’opera della prima maturità dell’artista, la cui formazione fu influenzata soprattutto dalla lezione cromatica di Tiziano, che costituisce la vera premessa alla sua pittura di tocco, a grandi macchie di colore liquide e luminose, e dall’incontro con l’arte dei Carracci, specialmente Ludovico. Il rapporto con i pittori bolognesi, in particolare, fu essenziale per Guercino, perché gli permise di amplificare i suoi orizzonti e di entrare in contatto con la più aggiornata cultura pittorica del tempo, senza, tuttavia, dimenticare quella genuina vena naturalistica che è alla base della sua ispirazione.
Il dipinto è un prezioso esempio dello stile dell’artista, caratterizzato da una calda gamma cromatica e da un forte chiaroscuro “a macchia”; tenerissima è la figura dell’angioletto, visto accanto della maestà del Padre Eterno.
La piccola tela fu commissionata a Guercino da Cristoforo Locatelli e doveva essere collocata sulla cimasa della pala d’altare raffigurante La vestizione di San Guglielmo d’Aquitania nella chiesa di San Gregorio a Bologna. Secondo lo storiografo bolognese Carlo Cesare Malvasia, il committente, colpito dalla straordinaria bellezza del dipinto, decise di tenerlo per sé, ponendo al suo posto una copia, che rimase in loco fino al 1962.
Il quadro faceva parte di un piccolo gruppo di opere di gran pregio di Palazzo Rosso che la Duchessa di Galliera portò con sé nella dimora parigina e quindi non rientrò nella donazione del 1874, ma passò in proprietà al Comune di Genova solo dopo la morte della gentildonna in virtù del suo legato testamentario.

Cristo scaccia i mercanti dal tempio

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino (Cento, 1591 - Ferrara, 1666)

Tecnica e misure:

Olio su tela, 250 x 310 cm

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cleopatra morente

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Titolo dell'opera:

Cleopatra morente

Acquisizione:

Brignole-Sale De Ferrari Maria 1874 Genova - donazione

Ambito culturale:

ambito emiliano

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1648 - 1648 - sec. XVII

Inventario:

PR 16

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 173; Larghezza: 237

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Il Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591-1666) - Bologna - 1968
Genova e Guercino. Dipinti e disegni delle civiche collezioni - Genova - 1992
El siglo de los genoveses e una lunga storia di arte e splendore nel palazzo dei dogi - Genova - 1999/2000
Guercino tra Sacro e Profano - Piacenza - 2017

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Descrizione:

Questo dipinto, in cui Cleopatra è colta nell’attimo estremo di farsi mordere da un’aspide, pur di non subire l’onta della sconfitta e della prigionia, fu eseguito dal maestro nell’ultima fase della sua attività, quando, trasferitosi a Bologna dopo la morte di Guido Reni (1642), ne ereditò il ruolo di caposcuola e ne subì l’influsso, orientandosi verso una pittura di stampo classicista, volta a una maggiore idealizzazione delle figure cui si accompagna una progressiva riduzione della gamma cromatica e il frequente ricorso a colori pastello. La tela ben si accorda con questo rinnovato indirizzo stilistico, giocando abilmente sui toni di solo due tinte: il bianco per le lenzuola e per l’incarnato di Cleopatra e il viola per i cuscini, le cortine dell’alcova, disposte a sipario, come in una rappresentazione teatrale, e le gocce di sangue color di rubino che sgorgano dal petto della regina, che, ormai esangue è languidamente adagiata sulle coltri. Il dipinto è identificabile con quello citato nel libro dei conti del Guercino come “quadro di Cleopatra” pagato 125 ducati “il 24 marzo 1648 dall’ill.mo mons. Carlo Emanuele Durazzi”, cugino di uno Stefano Durazzo. Egli, come era tradizione per tanti porporati genovesi, ricoprì la carica di cardinale legato nei territori emiliani, soggetti allo stato pontificio. Tale continuità istituzionale - se non era genovese il legato, lo era probabilmente il vice legato - spiega la gran fortuna della pittura emiliana del seicento nelle collezioni della città ligure. Alla metà del settecento dai Durazzo, attraverso vari passaggi ereditari, il quadro passò infine nella collezione di Gio. Francesco II Brignole–Sale, che la collocò nella quadreria del secondo piano nobile di Palazzo Rosso. Non sono ancora state chiarite le modalità del passaggio di proprietà dagli eredi di Carlo Emanuele II Durazzo, per il quale l'opera venne eseguita, alla quadreria di Gio. Francesco II Brignole-Sale a Palazzo Rosso, dove comparve già nel catalogo del 1756. L'accurato restauro del 1991 ha riportato l'opera alla sua raffinatissima e pur limitata gamma cromatica. Sono da segnalare i disegni in relazione a questo dipinto: quello interrogativamente attribuito a Guercino conservato a Besancon (inv. N. D. 2266), a penna e inchiostro, mostra la regina sdraiata su un fianco, la testa appoggiata a sinistra e nella destra - con maggior rispetto della fonte letteraria- l'aspide: se va riferito all'opera di Palazzo Rosso, si tratta di uno studio iniziale. Più interessanti gli altri due fogli, quello della collezione P. E n de Boer di Amsterdam, a penna e inchiostro, e quello di collezione privata statunitense. Nel disegno olandese risulta definito soprattutto il busto di Cleopatra, mentre non sembra che l'artista intendesse rappresentarla completamente sdraiata. Questo particolare è, invece, evidente nel disegno americano, dove compaiono anche il cuscino con le nappe e le cortine. Il dipinto rappresenta Cleopatra morente distesa su un letto mentre è morsa da un serpente.

Suicidio di Catone, Guercino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino (Cento, 1591 - Ferrara, 1666)

Tecnica e misure:

Olio su tela, 135 x 119 cm

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Dal libro dei conti dell'artista si apprende che il dipinto raffigurante il suicidio di Catone l'Uticense risale al 1641.
Il soggetto è quello tramandato da Plutarco, secondo il quale Catone, uomo rigido ai principi dello stoicismo e sostenitore di Pompeo all'epoca della guerra civile, saputo che la causa di questi era perduta, si uccise conficcandosi nel ventre la spada che invano gli era stata in precedenza sottratta.
Nella cultura seicentesca il personaggio incarnava l'ideale dell'uomo coerente a sé fino al punto di affrontare impavidamente la morte: una lettura moraleggiante sicuramente valida anche in questo caso, visto che il committente dell'opera (un avvocato perugino residente a Roma) ordinò al pittore un altro soggetto analogo a questo, la Morte di Seneca, andato successivamente disperso.
 

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