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Giovanni Battista Gaulli, detto "il Baciccio" (Genova, 1639 - Roma, 1709)
Olio su tela
Dipinto
In deposito (n. inv. 1221)
Si tratta di uno dei quadri più importanti delle collezioni del Palazzo Reale di Genova, sebbene non ancora apprezzato dal pubblico per la sua collocazione storica, e pertanto mantenuta, in un'area non ancora aperta alla libera fruizione, ma attualmente oggetto di lavori di ripristino che consentiranno di inserire anche queste stanze all'interno del percorso museale.
È considerato uno degli autoritratti noti di questo protagonista del barocco, non a caso definito dalla critica “il Bernini in pittura”. Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio, genovese di nascita, ma romano d’adozione, aveva infatti collaborato in più occasioni con il celebre scultore proprio nella Capitale. Più ancora di altri suoi autoritratti, questo denota una viva immediatezza dell’immagine, grazie all’inquadratura, alla posa, ma anche alla leggerezza di stesura.
Il dipinto è documentato per la prima volta in un contratto d’acquisto di 31 quadri e 6 sculture da parte di Gerolamo Ignazio Durazzo (1676-1747), allora proprietario del palazzo, dal pittore Domenico Parodi. È di estremo interesse dunque poter attestare la precedente proprietà dell’Autoritratto presso un pittore genovese, alla cui morte, alla fine del novembre del 1742, fu messo in vendita.
Insieme a questa tela il Parodi aveva conservato in casa propria non solo 22 sue tele, ma anche copie da Bassano, Tiziano, Veronese e Guido Reni, quattro paesaggi di scuola fiamminga, due tele attribuite a Domenico Piola, una a Domenico Fiasella e una, appunto, il Ritratto di Gio. Batta Gaulli fatto da lui proprio di palmi 3.
Dopo l’acquisto da parte del marchese Durazzo alcune di queste opere furono collocate in uno degli ambienti più preziosi del primo piano nobile del Palazzo Reale di Genova, il Salotto degli Stucchi Verdi, con i necessari adattamenti di formato: in questo caso un ingrandimento.
Nel tempo, si perdono le tracce dell’identità dell’effigiato e del suo autore: gli inventari sabaudi del XIX secolo lo indicano genericamente come “ritratto” o “ritratto di cavaliere”. Il riconoscimento si deve agli studi di Luca Leoncini ed è storia recente (2001).