Bernardo Strozzi "Elemosina di san Lorenzo"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino (Campo Ligure o Genova, 1582 - Venezia, 1644)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 128 x 160 cm

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San Lorenzo, uno dei santi patroni genovesi, è rappresentato con grande forza di realtà mentre fa l’elemosina ai poveri, causa della sua condanna a morire sulla graticola. Sulla sinistra è Lorenzo, il giovane volto emerge appena dall’oscurità che avvolge la scena. La luce lo colpisce di spalle, mettendo in risalto l’ampia manica di raso rosso della dalmatica, la mano aperta poggiata sul tavolo, il collo delicato, l’orecchio arrossato, l’aureola. Di fronte al santo è un gruppo di mendicanti: un vecchio con barba bianca che afferra la catena di un incensiere, una donna in piedi con bastone e, accanto, una seconda figura che brandisce una gruccia, una bambina con le mani giunte che guarda Lorenzo dal basso. Tutti vestono panni umili, ma hanno atteggiamenti e tratti di umana compostezza e dignità. Sul tavolo, in primo piano, sono appoggiati oggetti liturgici. La fonte luminosa, esterna al campo visivo, è posta dall’artista a sini­stra dell’osservatore: investe le figure violentemente, come un faro puntato nel buio, creando bagliori metallici.

Valerio Castello "Ratto di Proserpina"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Valerio Castello (Genova, 1624-1659)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 147 x 217 cm

 

Proserpina, figlia di Zeus e Demetra, coglie fiori in un prato insieme alle sue compagne nella pianura di Nisa in Sicilia. Appare improvviso il figlio di Crono, Plutone: Eros con le sue frecce lo ha fatto innamorare, spingendolo a rapire la fanciulla e a trascinarla col suo carro nell’oltretomba dove intende sposarla. Al centro del quadro, Plutone afferra alla vita la giovane dea che, cercando di liberarsi dalla presa possente, leva il braccio destro. Il rapitore, avvolto da drappeggi rossi e bianchi dai quali emergono il torso muscoloso e la gamba destra, ha una corona sul capo e la barba folta.

La fanciulla è fasciata invece da un panno blu e una camicia di seta leggera che le lascia quasi completamente scoperti i seni. Entrambi sono trasportati da un cocchio dorato trainato da due cavalli, che sembra stiano per inabissarsi in una voragine infuocata sull’estre­ma destra del quadro. La scena si svolge in una radura e ne sono spettatrici quattro fanciulle, due sedute in primo piano e due a sinistra sotto le fronde di un albero.

Bartolomeo Guidobono "Cerere e Bacco"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bartolomeo Guidobono (Savona, 1654 - Torino, 1709)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 148 x 118 cm

 

Il dipinto, e il suo pendant raffigurante Bacco, appartennero già alla collezione dei Durazzo per i quali Bartolomeo Guidobono, secondo le antiche cronache, realizzò diverse opere sia per le dimore di città, sia per quelle di campagna. Dello stesso autore, in effetti, il palazzo di via Balbi conserva anche un Apollo pastore e una Diana ed Endimione. Bacco e Cerere alludono all’autunno e all’estate e probabilmente fecero parte in origine di un gruppo di quattro tele dedicate alle stagioni. L’artista sembra voler coinvolgere lo spettatore nella dinamica misteriosa delle due composizioni con un gioco studiato di gesti, sguardi e sorrisi invitanti. Le tele sono caratterizzate dalla morbidezza degli impasti, dalla luce che coglie le figure da un fondo indefinito e dall’armonia dei colori, tutti elementi che ben rappresentano la sigla stilistica del pittore savonese.

Clorinda salva Olindo e Sofronia

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Luca Giordano (Napoli, 1634-1705)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela

 

La vicenda rappresenta l’episodio di apertura del secondo canto della Gerusalemme Liberata: per salvare i cristiani di Gerusalemme Sofronia, seppur innocente, si accusa di aver sottratto una immagine sacra – quella che gli angeli nei cieli mostrano chiaramente – dalla moschea e per questo viene condannata al rogo. Olindo, che l’ama in segreto, si professa colpevole e viene con lei mandato a morte. Clorinda, “d’arme e d’abito straniero”, salva però le loro vite perché, mossa da pietà, offre il suo appoggio al re nella guerra contro i crociati in cambio della liberazione dei due giovani. Così come la Lotta tra Perseo e Fineo anche questo altro quadro monumentale rivela una qualità elevatissima e sontuosa: il pennello passa con disinvoltura da bianchi argentati a rosa chiarissimi, da gialli di cadmio a porpora opulenti e vellutati, sapendo conferire all’insieme una orchestrazione luministica di efficacissima resa.

Luca Giordano "Lotta tra Perseo e Fineo"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Luca Giordano (Napoli, 1634-1705)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 375 x 366 cm

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La grande tela rappresenta uno degli episodi cruciali del mito di Perseo, figlio di Zeus e Danae, raccontato nel quinto libro delle Metamorfosi di Ovidio, in cui salva Andromeda, sua sposa. La donna era però stata promessa a Fineo che, per vendicare il suo rifiuto, irrompe al banchetto di nozze con una schiera di guerrieri. Perseo, rappresentato qui sulla destra, si difende dall’aggressione esponendo la testa della Gorgone Medusa, che con gli occhi pietri­fica i nemici. Di fronte a lui è Fineo che tenta di proteggersi con lo scudo. Ai suoi piedi sono alcuni dei suoi seguaci caduti e sullo sfondo i convitati atterriti che si coprono gli occhi per sfuggire al sortilegio. L’imponente composizione di Luca Giordano, firmata sul primo gradino in basso a sinistra, è ricca di invenzioni scenografiche e di effetti teatrali, come le due colonne al centro della scena alle quali si avviluppa un drappo rosso cupo, utili a dividere la scena.

Antoon van Dyck "Cristo spirante"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Antoon Van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1641)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 124 x 93 cm

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Quest’opera di tragica grandezza espone Cristo in croce contro un cielo livido, sottolineando la solitudine desolata del dramma della sua esecuzione e morte. Una luce fredda colpisce il corpo nudo e l’ampio drappo barocco che gli avvolge la vita torcendosi come scosso dal vento. Egli è ancora vivo, il volto sofferente, rigato di sangue è rivolto verso il cielo.

Sangue scorre anche dalle ferite dei polsi e dei piedi. Bagliori di luce circondano il capo coronato di spine. Nel cielo si intravede l’eclissi di sole descritta da Luca nel suo Vangelo.

Il paesaggio roccioso e spoglio che circonda la croce perdendosi nell’oscurità del fondo esprime la dimensione drammatica entro cui si rifrange la dolente emotività del Cristo.

Il dipinto fu acquistato da Carlo Felice nel 1821. L’attribuzione all’artista fiammingo non è mai stata discussa anzi, al contrario, parte della critica è convinta si tratti dell’unico crocifisso autografo eseguito negli anni italiani di Van Dyck che sopravviva.

Antoon Van Dyck "Ritratto di Caterina Balbi Durazzo"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Antoon Van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1641)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 220,2 x 149 cm

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La donna raffigurata è al centro della tela, il volto di penetrante intensità scorciato di tre quarti e rivolto con sguardo sicuro all’osservatore. Una rosa rossa, al lato del viso, ne mette in risalto la carnagione diafana. La mano destra è poggiata sul bacino di una vasca di una fontana barocca sorretta da un tritone. La mano sinistra, abbandonata lungo il fianco, stringe un ventaglio chiuso. La sontuosa veste che avvolge la figura è parte di un complesso abito alla spagnola, i capelli sono tirati all’indietro e raccolti in uno chignon al quale si avvolgono una coroncina di diamanti e un fascio di piume nere. La donna è Caterina Balbi Durazzo dipinta dal venticinquenne Van Dyck, capace di far emergere le qualità essenziali del personaggio ritratto, dando prova di aver già assimilato la lezione di Rubens, di cui fu allievo: la dama conserva, insieme a elementi di distinzione aristo­cratica, una certa ariosa e giovanile tene­rezza. Il ritratto entrò nel palazzo nel 1689 e da quel momento non ha più lasciato la dimora di via Balbi.

Tavolo in commesso di pietre dure

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Tavolo in commesso di pietre dure

Tipologia:

Arredo

Tecnica e misure:

Legno e commesso di pietre dure

 

Di eccezionale valore e bellezza è il tavolo conservato nella Galleria Aurea. L’esemplare è sormontato da uno splendido piano in commesso di pietre dure, probabilmente di lavorazione fiorentina o romana. La struttura, tecnicamente perfetta, è connotata da un bordo a girali fitomorfi e da un centro in alabastro in cui sono inserite immagini di pesci, uccelli, serpenti e diavoli. La base del tavolo, più recente rispetto al piano, presenta quattro delfini intrecciati, è da attribuire a scultori seguaci di Filippo Parodi, l’artista che realizzò alcune sculture lignee dorate in occasione del matrimonio tra Giovanni Andrea III Doria e Anna Pamphilj (1671), ancora oggi conservate nel museo di Villa del Principe.

Ritratto di Andrea Doria

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Sebastiano Luciani, detto del Piombo (Venezia, 1485 - Roma, 1547)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tavola, 150,5 x 103,3 cm

 

Andrea Doria fu effigiato in un celebre ritratto eseguito su tavola da Sebastiano del Piombo per ordine di papa Clemente VII nel 1526, quando il Doria divenne comandante supremo della flotta pontificia. Andrea è raffigurato all’età di sessant’anni in un austero abito nero, con la berretta di ammiraglio sul capo. Sotto la figura è rappresentato – secondo la moda veneta di inserire un parapetto sotto l’immagine dell’effigiato - un fregio all’antica nel quale sono raffigurati sei trofei navali, ripresi da una decorazione marmorea del I secolo a.C. attualmente conservata ai Musei Capitolini di Roma. Tali emblemi probabilmente alludono alle sei galee messegli a disposizione dal Papa.

Ritratto di Anna Pamphilj

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Jacop Ferdinand Voet (Anversa, 1639 - Parigi, 1689)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 211 x 140 cm

 

Anna Pamphilj, figlia di Olimpia Aldobrandini Borghese e di Camillo di Valmontone, nipote di papa Innocenzo X, sposò Giovanni Andrea III Doria Landi il 25 ottobre 1671. Il matrimonio fu celebrato a Roma e poi festeggiato a Genova con eccezionale fasto. Come era consuetudine dell’epoca, i promessi sposi non si conoscevano personalmente e per tale motivo, prima delle nozze, la famiglia Pamphilj inviò al fidanzato questa effigie. Il dipinto, attribuito a Jacob Ferdinand Voet, eccellente ritrattista tardo barocco, raffigura la giovane in maniera assai realistica. Anna Pamphilj indossa un elegante abito alla moda francese e in mano tiene un giglio bianco, simbolo di purezza.

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