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Titolo dell'opera:

Cofanetto

Acquisizione:

Legato Luxoro 1945 Genova - legato

Ambito culturale:

manifattura veneta

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Cofanetto

Tipologia:

cofanetto

Epoca:

1301 - 1400 - XIV

Inventario:

M.G.L. 727

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 19; Larghezza: 19,6; Profondità: 13,2

Tecnica:

osso, legno, avorio

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Descrizione:

Il cofanetto apparteneva ad Augusto Luxoro fin dal XIX secolo. È infatti citato nel catalogo dell'Esposizione Artistico Archeologico Industriale del 1868 come proprietà del Dottor Luxoro. Il cofanetto rientra in una produzione molto vasta ed eterogenea che in passato è stata ricondotta globalmente alla bottega di Baldassarre degli Ubriachi (o Embriachi). La critica recente ha ridimensionato il catalogo delle opere effettivamente attribuibili alla manifattura di Baldassarre ipotizzando la presenza di altre botteghe operose nell’Italia settentrionale tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del secolo successivo, dalle quali sono usciti arredi sacri (soprattutto trittici per altari) e un gran numero di cofanetti molto diversi tra loro, non solo per forma e dimensioni, ma anche per lo stile dei bassorilievi e la datazione. L’esemplare della collezione Luxoro, databile al tardo XIV secolo, come rivela il linguaggio figurativo ancora di matrice trecentesca e i particolari degli abiti dei personaggi, si può accostare ad un piccolo gruppo di cofanetti analoghi, che rientrano in un tipo di produzione seriale, meno accurata. L’oggetto è formato da 16 placchette in osso scolpito a bassorilievo, fissate ad una struttura in legno di forma rettangolare, sormontata da un coperchio a piramide, con maniglia metallica, decorato da motivi geometrici, alla “certosina”, intarsiati in legno e avorio. Tracce di doratura si notano su alcune placchette del lato opposto a quello munito di serratura. I soggetti raffigurati comprendono quattro putti reggi scudo in posizione angolare mentre una serie di figure maschili e femminili, in coppia o isolate, campeggiano sugli altri tasselli.

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Titolo dell'opera:

Ritratto di donna egiziana con cornice

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore:

Rossi, Alberto

Epoca:

1904 - 1904

Inventario:

CDA 2743

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 103
Larghezza: 78

Provenienza (nazione):

Egitto

Descrizione:

L’artista, disegnatore e pittore formatosi presso l’Accademia Albertina di Torino, trascorse lunghi soggiorni in Egitto dal 1896 al 1914 e successivamente compì diversi viaggi in Medio Oriente e Grecia, raffigurando nei suoi dipinti e disegni paesaggi e personaggi dei luoghi da lui visitati. Rossi si ricollega alla pittura orientalista del secondo Ottocento, attenta a rappresentare in modo realistico i soggetti orientali. Il motivo decorativo che caratterizza la cornice si ispira fedelmente a modelli molto diffusi nell’arte islamica, in particolare in area andalusa e marocchina, ma ben noto anche in Egitto. Figura anche tra i disegni adottati nell’ambito della bottega di Giuseppe Parvis per decorare i mobili e, più in generale, ricorre nella produzione di gusto orientalista del tardo Ottocento. Dato che il dipinto inserito nella cornice è stato eseguito durante il soggiorno dell’autore al Cairo, è possibile ipotizzare che il manufatto provenga da una bottega egiziana della stessa epoca, specializzata nella produzione di oggetti in stile arabo. Il disegno raffigura una donna con il busto rivolto parzialmente di tre quarti e con lo sguardo abbassato. Indossa un ampio mantello nero che le copre il capo, ha la fronte coperta da un fazzoletto giallo-arancio e porta orecchini di grandi dimensioni, una collana e un braccialetto. La mano sinistra è appoggiata su un’anfora.
La cornice, a profilo lineare, ha gli angoli caratterizzati da quattro baccellature semisferiche a rilievo entro una riserva quadrata. Presenta su tutti i lati una decorazione formata da un complesso disegno geometrico, con al centro una stella a otto punte, raccordata ad un intreccio poligonale leggermente a rilievo, ricavato incidendo la superficie del legno. Questo motivo si ripete, sfalsato e tagliato orizzontalmente, formando un’unica fascia decorativa.

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Titolo dell'opera:

Cofano

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Cofano

Epoca:

1701 - 1900

Inventario:

CDA 2473

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 30
Larghezza: 48
Profondità: 30

Provenienza (nazione):

Turchia

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Descrizione:

Il cofanetto rientra in un tipo di produzione assai diffusa in ambito ottomano tra XVII e XIX secolo. Una decorazione analoga, sia per l’impianto del disegno, ispirato a modelli geometrici di gusto islamico, sia per l’utilizzo di madreperla e tartaruga alternati, caratterizzava anche i piccoli tavoli da scrittura turchi, come l’esemplare seicentesco del British Museum (inv. 1991, 0717.2). Esistono numerosi cofanetti assai simili a quello in oggetto, per la maggior parte datati al XVIII secolo, come, ad esempio, un pezzo del Museo Benaki (inv. ΓΕ 34044) proveniente dall’Asia Minore e usato anche come contenitore di ostie per la Messa. Vari cofanetti dello stesso genere sono diffusi sul mercato antiquario; tra questi si può citare un pezzo passato da Christie’s in un’asta presso la Galerie Gismondi di Parigi del 12 marzo 2024, che si differenzia dall’opera del Castello solo per l’assenza dei piedini, che però, anche in considerazione della loro forma molto diversa rispetto a quella dei sostegni presenti sugli altri cofani, potrebbero essere frutto di un’aggiunta posteriore. Il cofanetto, a sezione rettangolare e con coperchio troncopiramidale, poggia su quattro piedini a cipolla. Le superfici esterne, ripartire in scomparti quadrangolari da sottili cornici lignee, sono interamente rivestite da tessere in madreperla e in tartaruga, alternate tra loro, di forma triangolare o romboidale, con le quali sono realizzate composizioni geometriche ben diversificate in ognuno degli scomparti. Sul fronte è fissata una serratura in metallo con bocchetta romboidale.

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Titolo dell'opera:

Narghilè

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Narghilè

Epoca:

1801 - 1900

Inventario:

CDA 2703

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 29
Diametro: 36
Lunghezza: 140
Varie: Lunghezza tubo: cm 140.

Provenienza (nazione):

Iran

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Descrizione:

L’oggetto, destinato forse a un pubblico non elitario, come testimoniano i materiali usati per il fornello e il bocchino, si ricollega alla produzione di area ottomana, anche se probabilmente il recipiente in vetro proviene da una manifattura europea ed è stato poi assemblato alle altre parti nell’ambito di una bottega turca. Analogie con un narghilè ottomano con la parte in vetro di produzione boema, comparso recentemente sul mercato antiquario (Oriental Art Auctions 2024). Il narghilè è formato da un recipiente in vetro con corpo sferico e lungo collo rastremato, percorso da fitte nervature verticali. Una serie di baccellature con la parte interna dorata, profilate di rosso e di verde decora la parte inferiore del recipiente, mentre una serie di analoghe baccellature dorate, scandite da sottili linee rosse circonda il collo, sul quale si innesta il fornello in ottone con cannello in legno. Il tubo, parzialmente fasciato di feltro e di tela di cotone, ricoperta da una garza, termina con un bocchino in legno.

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Titolo dell'opera:

Moschetto a pietra focaia all’orientale

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Moschetto a pietra focaia all’orientale

Epoca:

1801 - 1850

Inventario:

CDA 2757

Misure:

Unità di misura: cm
Lunghezza: 97.5

Provenienza (nazione):

Turchia

Descrizione:

L’arma presenta analogie, sia per gli elementi decorativi, sia dal punto di vista tecnico, con la produzione di armi da fuoco turche, ampiamente diffuse nell’ambito dell’Impero Ottomano. Si notano elementi similari in un moschetto del Victoria & Albert Museum (inv. 978-1884), di fabbricazione turca ma di probabile provenienza egiziana. L’arma presenta una cassa in legno, rivestita all’estremità in avorio e nella porzione successiva da un feltro rosso di lana, ricamato a rilievo con un motivo a ramage in filato metallico molto ossidato. Una lamina d’argento, decorata da elementi a goccia in corallo alternati a sferette in argento, entrambi incastonati in alveoli d’argento, separa le due parti. In corrispondenza dell’impugnatura è annodata una sciarpa in crêpe di seta gialla i cui due capi terminano con nappe e con pendenti in filigrana d’argento. Il meccanismo in metallo è un acciarino a pietra focaia del tipo "miquelet" ed ha una ricca decorazione ageminata in oro, costituita da tralci vegetali stilizzati. La zona adiacente al meccanismo è decorata da una serie di lamine d’argento con alveoli in rilievo, in cui sono incastonati coralli e sferette d’argento. La canna è scandita da sette fasce orizzontali in lamina d’argento incise a motivi fitomorfi.

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Titolo dell'opera:

Tenda

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Tenda

Epoca:

1850 - 1900

Inventario:

CDA 2549-50

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 247
Larghezza: 80

Provenienza (nazione):

Egitto

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Descrizione:

Le tende sono frutto di un’antica e rinomata attività artigianale tipica dell’Egitto di epoca moderna: la produzione di tende decorate con ricamo ad applicazione che, dal vecchio nome della strada del Cairo in cui è ancora oggi concentrata questa attività, viene definita Khayamiya. I maestri ricamatori che hanno le loro botteghe in questa via, definita attualmente come la “Strada dei fabbricanti di tende”, sono specializzati nella lavorazione di questi teli, da sempre utilizzati anche per parare a festa ambienti all’aperto o all’interno di edifici, in occasione di feste religiose o profane. I disegni che caratterizzano la tenda sono ispirati a modelli di gusto geometrico ampiamente diffusi nell’arte islamica e che è possibile rintracciare sia nei paramenti ceramici, sia in stucchi e altri generi artistici in Egitto, Marocco e Andalusia. A partire dagli anni Trenta del Novecento, per andare incontro alle esigenze del turismo internazionale, questi disegni sono stati sostituiti in gran parte dalle riproduzioni di antichità egizie. La tenda, formata da due teli delle stesse dimensioni, presenta un decoro di matrice islamica realizzato interamente con la tecnica del ricamo ad applicazione, che interessa tutta la superficie della stoffa, suddivisa geometricamente in scomparti rettangolari. Il disegno, che viene ripetuto simmetricamente nei due pannelli che compongono l’arredo, comprende nella parte alta un’iscrizione in caratteri arabi realizzati in bianco su fondo ocra. Nella fascia sottostante si sussegue una serie di nicchie da preghiera con il profilo polilobato, entro le quali sono raffigurati, alternativamente, una lampada da moschea e un altro elemento simbolico, forse da identificare con la spada. Le parti inferiori, raccordate tra loro, sono caratterizzate da una serie di motivi circolari disposti a scacchiera e contenenti al loro interno raffigurazioni di stelle a più punte costituite dall’intersezione di figure geometriche variamente intrecciate, con un effetto a caleidoscopio, accentuato dalla policromia dei tessuti usati per il ricamo che spiccano sul fondo beige chiaro, a sua volta ricoperto da ramages stilizzati che formano una fitta rete. Com’è tipico dell’arte islamica, i moduli del disegno, che comprende due riserve circolari a fondo chiaro, alternate a due con fondo scuro, sono incompleti.

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Titolo dell'opera:

Trofeo di armi del Sudan

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Trofeo di armi del Sudan

Epoca:

2004 - 2004

Inventario:

CDA 1835-1855

Provenienza (nazione):

Africa

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Descrizione:

Uno dei numerosi trofei di caccia che decorano le pareti della dimora storica vede armi del Sudan: lance con punte in ferro, mazze, pugnali, pugnali con lama di baionetta adattata, scudisci e clave sono composti artisticamente nella parete a lato della porta di ingresso, per ambientare la dimora nel gusto coloniale positivista dell'epoca.

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Titolo dell'opera:

Manoscritto in lingua gheez

Acquisizione:

Erminio Faveto 1928 Genova - donazione

Ambito culturale:

ambito etiope

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Manoscritto in lingua gheez

Tipologia:

manoscritto

Epoca:

1401 - 1900 - XV-XIX

Inventario:

C.A. 837-847

Misure:

Unità di misura: UNR

Tecnica:

pergamena- inchiostro a pennello

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Descrizione:

A maggio 2015, a cura di Antonella Brita e con il supporto tecnico di Karsten Helmholz, è stata eseguita l'analisi dei testi e dei materiali con microscopio digitale per gli inchiostri e la pergamena, la foliazione dei manoscritti, la loro digitalizzazione (con Canon EOS 6D e luci LED), la numerazione in GCA (Genova Castello D'Albertis) e una prima inventariazione sotto la direzione scientifica di Alessandro Bausi, Asien Afrika Institut Hiob Ludolf Zentrum für Äthiopistik der Universität Hamburg, Abteilung für Afrikanistik und Äthiopistik. Il corpus di volumi è costituito da undici codici manoscritti: i quattro Vangeli, Sinodos - raccolta di testi liturgici canonici -, Arganon - raccolta di inni, laudi e preghiere a Dio e alla Madonna -, il Libro della guarigione spirituale, un messale, una raccolta di inni alla Vergine, Officio comune, una raccolta di preghiere, un libro delle Ore, il Vangelo di Giovanni, gli Atti degli Apostoli.

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Titolo dell'opera:

Trittico ligneo

Acquisizione:

F. S. Mosso 20/11/1909 Genova - donazione

Ambito culturale:

ambito etiope

Autore:

Anonimo

Tipologia:

trittico dipinto

Epoca:

1501 - 1600 - XVI

Inventario:

C.A. 787

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 42; Larghezza: 47.5

Tecnica:

tempera su tela incollata su tavola

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Descrizione:

Trittico proveniente dalla Chiesa di Cherseberg ad Adigrat, città dell'Etiopia e capoluogo della provincia dell'Agamé, nella regione di Tigrè.
Tra i soggetti raffigurati vi è un Ràis: tale titolo, uno dei più nobili della corte imperiale etiope ed equivalente all'europeo "duca", nacque probabilmente nel XVI secolo; era dapprima attribuito ai signori feudali delle maggiori province dell'Etiopia, mentre in seguito fu assegnato ai dignitari di rango immediatamente inferiore al negus. Anche alcuni dignitari della Chiesa ortodossa etiope tevahedo avevano il diritto di portare questo titolo. Trittico ligneo costituito da un dipinto a tempera su tela applicata su tavola. L’opera presenta la classica costruzione medievale, che prevede un supporto ligneo su sui è stata applicata una tela (incamottatura) formata, sia in trama che in ordito, da una fibra di cotone.
Su quest’ultima è stata prima stesa in un solo strato la preparazione a base di gesso, anch'essa tipica della costruzione italiana medievale, e poi la pellicola pittorica. La pellicola pittorica presenta pigmenti in uso dai tempi più antichi. Lo smaltino, derivante dalla lavorazione del vetro; la Crisocolla, trovata anche in tombe egizie; il Cinabro e i gialli di piombo o di arsenico, da sempre usati nella pittura derivante dalla storia artistica più remota.
Il trittico presenta la seguente raffigurazione:
a destra dall'alto, Santo con due devoti e angeli e scena della Crocefissione con San Giovanni e la Madonna addolorata;
al centro, Madonna con bambino;
a sinistra dall'alto, Cristo coronato di spine; San Giorgio che ferisce il demonio; Ràis con due capi militari, due tigri e due leopardi.

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Titolo dell'opera:

Fionda

Acquisizione:

Civico Museo Pedagogico 1935

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Fionda

Tipologia:

fionda

Epoca:

XIII-XIV - 1201 - 1400

Inventario:

S.N. 86

Misure:

Tipo di misura: lunghezza; Unità di misura: cm; Valore: 206; Varie: "La più grande fionda che si conosca" E. H. Giglioli.

Provenienza (nazione):

Perù

Utilizzo:

Utilizzata per cacciare animali per il sostentamento. Caccia

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Descrizione:

Lunga fionda costituita da bretella lavorata a mezzo intreccio e due cinghie che terminano in fasce di cordoni lavorati a intreccio di colore rispettivamente marrone e rosso. La bretella è costituita da cinque cordoncini a mezzo intreccio circolare con fasce alternate di colore rosso, crema e senape, collegati ai cordoni tramite intrecci tubolari a cordoncino dai colori verde, rosso e senape. Enrico H. Giglioli ha descritto così l'oggetto: "Grandissima fionda peruviana antica – la più grande che si conosca". Si tratta di un manufatto rinvenuto in una sepoltura maschile, parte del corredo funerario che accompagnava il corpo del defunto.

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