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Dipinto
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Dipinto
Data: da 05/11/2020 a 15/12/2020
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Scultura
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Versatoio
Boselli, Giacomo
brocca
1750 - 1800 - XVIII
M.G.L. 1506
Maiolica decorata “a terzo fuoco”
Nel panorama della maiolica ligure settecentesca spicca la figura del ceramista savonese Giacomo Boselli che rinnova profondamente la produzione locale, sia dal punto di vista tecnico, sia per quanto riguarda i modelli artistici e culturali di riferimento. Riesce infatti a recepire con prontezza le suggestioni del gusto rocaille e quelle del successivo stile Luigi XVI sino ad aderire precocemente all’incipiente Neoclassicismo che si stava diffondendo in Europa verso la fine del secolo. Attento al panorama internazionale, dovendo anche fronteggiare la sempre crescente concorrenza delle manifatture di maioliche francesi e poi di quelle inglesi di terraglia, apporta anche importanti innovazioni alle tecniche tradizionali, applicando ad esempio alle sue maioliche il procedimento del “terzo fuoco”, una terza cottura a temperatura più bassa che consentiva di fissare colori squillanti, molto apprezzati nel XVIII secolo, come il rosso porpora, il verde smeraldo e l’oro. Il versatoio, dalle eleganti forme rococò, è un tipico esempio della migliore produzione “a terzo fuoco” della manifattura Boselli, che interpreta con sobrietà suggestioni provenienti dalla coeva maiolica di Marsiglia.
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Cassettone a ribalta
Matteo Luxoro 1945 - legato
manifattura genovese
cassettone a ribalta
1750 - 1750 - sec. XVIII
M.G.L. 555
Unità di misura: cm; Altezza: 116; Larghezza: 128; Profondità: 67
legno impiallacciato
Il mobile è un pregevole esempio della produzione di ebanisteria ligure settecentesca. Cassettone con profilo ondulato e bombature verticali. La ribalta, una volta aperta, rivela una serie di cassettini e di scomparti disposti su due livelli e anch'essi animati da bombature. Uno piccolo specchio in posizione centrale è fissato tra gli scomparti. La fine impiallacciatura forma una serie di volute che sottolineano la forma dell'arredo, mentre il fronte è impreziosito da un elemento polilobato, localmente definito "quadrifoglio". Bocchette, e maniglie in bronzo fuso dorato
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Orologio notturno-diurno
famiglia Luxoro 1945 Genova - legato
Callin, Giovanni Battista - Bertolotto, Giovanni Lorenzo
orologio
1651 - 1699 - XVII
M.G.L. 279
Unità di misura: cm; Altezza: 67; Larghezza: 48; Profondità: 18
cassa in pero ebanizzato intagliato, bronzo fuso, mostra in rame dipinto
Un'ostinata illusione: la misurazione del tempo e gli orologi Luxoro - Genova - 2004
L'orologio, grazie alla firma sul meccanismo, può essere ricondotto all'attività della bottega dei Callin. Probabilmente Giovanni Battista è uno dei figli di Pietro Callin, perchè la sua firma compare per esteso su un orologio apparso recentemente sul mercato antiquario e databile agli inizi del XVIII secolo. La mostra dipinta, esclusivamente per quanto riguarda la parte superiore con i putti recanti ghirlande di fiori, è stata dubitativamente riferita a Giovanni Lorenzo Bertolotto. Orologio notturno-diurno con cassa sormontata da un frontone con tre figure di putti in bronzo fuso dorato. Quattro satiri in bronzo sono addossati agli spigoli del basamento, che presenta un elemento decorativo centrale formato da una lamina in bronzo sbalzato e sellato. Sulla mostra un'apertura trapezoidale su cui si legge l'ora notturna, mentre il quadrante per le ore diurne è dipinto in bianco con cifre romane e presenta all'interno il quadrante dello svegliarino in metallo dorato. Lancetta oraria in metallo dorato, lancetta dello svegliarino in ferro.
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Orologio notturno-diurno a proiezione
Villa Brignole-Sale 1932 Genova - acquisto
ambito romano - manifattura genovese
Campani, Giuseppe - Ganzinotto, F. C.
orologio
1701 - 1710 - XVIII
G.P.B.2533
Unità di misura: cm; Altezza: 92,5; Larghezza: 61; Profondità: 30
cassa in pero ebanizzato, tagliato, bronzo fuso, mostra in rame dipinto
Un'ostinata illusione: la misurazione del tempo e gli orologi Luxoro - Genova - 2004
La mostra in rame dipinto presenta al centro, circondato da un brano di cielo su cui, agli angoli, sono state disposte quattro testine prive di corpo con le guance gonfie simboleggianti i venti, il quadrante con le cifre romane a giorno, su cui è stata dipinta una scena mitologica, dove il Tempo è raffigurato mentre indica un personaggio femminile appena entrato in un piccolo vano, identificabile, per la presenza della lancia e dell'armatura, nella dea Minerva, protrettrice delle scienze e delle arti, una giovane donna languidamente assisa su un trono, rappresentata mentre regge nella mano destra alcune mele, e pertanto forse riconoscibile in Venere. Questa composizione, che potrebbe ipoteticamente simboleggiare la vittoria con il trascorrere del tempo della sapienza sulla bellezza e l'amore terreno, palesa nella ponderata ed equilibrata postura dei personaggi, nell'elegante andamento delle vesti, nel modo di delineare i volti e il corpo maschile, la presenza di una mano appartenente a un artista attivo a Roma, verosimilmente verso la fine degli anni Settanta e l'inizio del nono decennio del XVIII secolo, all'interno dell'entourage di Carla Maratta e strettamente legato ai suoi classici modelli, tanto che non si esclude che possa essersi formato presso di ului. Dagli esiti maratteschi, sia la preziosa e accesa gamma cromatica, impreziosita, in corrispondenza dei toni del blu, del giallo e del bianco, da riflessi che accompagnano la disposizionedelle pieghe, suggerendole, sia la stresura dei passaggi chiaroscurali utilizzati per esaltare la matericità delle stoffe, la lucentezza dei metalli, la morbidezza dell'epidermide e la plasticità dei muscoli. Orologio notturno-diurno a proiezione caratterizzato dalla monumentale forma architettonica tipica dell'ambiente romano: con base articolata in sporgenze e rientranze, su cui si imposta la mostra a forma rettangolare, simulante il frontone di una cappella, con colonne laterali, fastigio a forma di timpano curvilineo e alta edicola centrale, che ospita, celato da uno sportello ligneo scorrevole, il dispositivo per proiettare le ore sulla parete durante la notte. Due ghirlande in bronzo dorato, sostenute al centro da una cartella a forma di scudo, sono sospese alle pareti laterali del timpano. Probabilmente era decorato da altri elementi in metallo o pietre dure. La mostra in rame dipinto ospita il quadrante per le ore diurne in metallo dorato con cifre romane incise. L'orologio proiettava le ore notturne mediante un congegno simile a una lanterna magica, creata appositamente da Giuseppe Campani. Successivamente, in concomitanza con l'arrivo a Genova dell'orologio, Ganzinotto ne modificò il meccanismo aggiungendo lo svegliarino.
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Ritratto di Giovanni Antonio Queirolo
Vaymer, Giovanni Enrico
dipinto
1665 - 1745 - XVII-XVIII
M.G.L. 42
olio su tela
Il Museo Luxoro possiede un’interessante raccolta di ritratti, tra i quali spiccano varie tele del Vaymer, un maestro che, assorbendo le suggestioni della coeva pittura francese, rinnova la tradizione ritrattistica locale, ispirata ai modelli di Van Dyck, e introduce nuovi schemi compositivi e una presentazione di tipo meno aulico, più realistico e colloquiale dei personaggi. Lo sconosciuto gentiluomo ritratto, il cui nome risulta leggibile in un’iscrizione in basso a sinistra del dipinto, comunica con immediatezza la sua personalità, grazie anche ai tratti fisionomici minuziosamente indagati e all’espressione del viso, reso con notevole realismo e con una materia pittorica densa e luminosa.
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Paesaggio con casa rustica torrione e figure
Legato Luxoro 1945 - legato
Peruzzini, Antonio Francesco
dipinto
1690 - 1710 - Fine sec.XVII Inizio XVIII
M. G. L. 406
Unità di misura: cm; Altezza: 95 ; Larghezza: 147
olio su tela
Il dipinto è da ricondurre alla mano del paesaggista Antonio Francesco Peruzzini, nonostante un'attribuzione inventariale che riportava il nome del Magnasco, attribuzione oggi non più sostenibile. Resta evidente che l'autore prende a modello le figurette, variamente atteggiate, protagoniste dei dipinti del lissandrino, che popolano un paesaggio dalla resa chiaramente debitrice dei modi di Salvator Rosa, in particolare nella resa della luce mediante l'addensarsi del pigmento e l'utilizzo di filamenti luminosi. Parte della critica non rinuncia alla possibilità che l'autore delle figure sia proprio Magnasco, la cui presenza a Firenze è segnalata a partire dal 1703, anno in cui arriva nel capoluogo toscano anche Peruzzini; negli stessi anni si segnala la presenza in città anche di Marco e Sebastiano Ricci, con i quali Peruzzini ha in comune una particolare intonazione cromatica. Questi pittori aderiscono ad un filone paesaggistico del tutto particolare, che si distingue da quello squisitamente classico più carraccesco per l'intonazione pittoresca e romantica. Peruzzini fa suo questo linguaggio mitigandone la drammaticità e l'irruenza, guardando alla versione più pacata di Salvator Rosa e raccogliendo in parte l'eredità del paesaggismo più classico romano. La critica non è concorde sulla datazione del dipinto del Luxoro, oscillando tra l'ultimo decennio del Seicento e la prima decade di quello successivo, sulla base di confronti stilistici con dipinti realizzati negli stessi anni, come Le tentazioni di Sant'Antonio Abate della collezione Porro e il più tardo Paesaggio con borgo e torre in rovina realizzato con il Magnasco. I dipinti di questi anni sono accomunati dalla tipica resa delle nuvole con andamento sfrangiato nei contorni e dal tratto graffiato del pennello, che definisce marcandoli gli avvallamenti del terreno; a questo si aggiungono la peculiare definizione dei tronchi, vivacizzati da piccoli tocchi bianchi nelle zone illuminate dal sole, ed alcuni elementi costanti nei paesaggi di Peruzzini, come le torri, le case diroccate e fatiscenti e i paesi che si perdono in lontananza. Il dipinto raffigura un ampio paesaggio campestre, sovrastato da un cielo nuvoloso. Sullo sfondo è dipinta una casa colonica con un torrione, in primo piano, sui bordi di un corso d'acqua, due pastori con un gruppo di pecore e alcune figure femminili.
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Il pittor pitocco
Legato Luxoro 1945 - legato
Magnasco, Alessandro
dipinto
1735 - 1750 - XVIII
M. G. L. 1329
Unità di misura: cm; Altezza: 94 ; Larghezza: 95
olio su tela
Nel dipinto è evidente il debito nei confronti delle incisioni di Callot, studiate durante il soggiorno a Firenze, in particolare per il segno graffiante e i forti e violenti contrasti di luce-ombra, oltre alla particolare caratterizzazione degli atteggiamenti dei personaggi. Alla corte del granduca Ferdinando, il Magnasco ha modo di confrontarsi con Sebastiano Ricci, con il quale condivide diverse collaborazioni, che influenzeranno l'evoluzione del suo tratto pittorico e della resa del paesaggio. Anche nell'opera in oggetto si riconoscono importati riferimenti letterari per la scelta del soggetto, in particolare la letteratura dei pitocchi e il romanzo picaresco. Alla prima il pittore si rifà nella scelta dei soggetti (straccioni, soldati, zingari, emarginati), e nella particolare analisi del modo di vivere del picàro. Il secondo è di ispirazione per il racconto dei metodi di fraudolenza, delle astuzie adottate da questi personaggi per vivere. Il tema del "pittor pitocco" rappresentato nella scena intento a dipingere è già adottato dall'artista in opere precedenti, così come il tema dei soldati e dei pitocchi inseriti in un ambiente geografico, spesso contraddistinto da edifici antichi in rovina, come accade nel "Cantastorie" conservato a Stoccarda. Il dipinto è da collocare negli ultimi anni di produzione del Magnasco (già Franchini-Guelfi), dopo il ritorno a Genova nel 1735 e le esperienze fiorentine e milanesi. Tale datazione tarda si deve alla pennellata già molto franta riconoscibile nel dipinto, vicina ai modi del "Trattenimento" di Palazzo Bianco, dipinto anch'esso negli ultimi anni trascorsi nel capoluogo ligure. Evidente inoltre il debito nei confronti dei paesaggi del Peruzzini, nella disgregazione del dato descrittivo e nel vibrante puntinismo che li caratterizza; un linguaggio che Magnasco fa suo ma che nella produzione tarda si traduce in una visione più veloce, sommaria e allusiva, contraddistinta da violenti tocchi di luce che mettono in evidenza alcuni particolari, in maniera teatrale. Zingari, pitocchi e soldati popolano un paesaggio immerso nella penombra dalla quale emergono solitarie alcune rovine di edifici antichi. Al centro della composizione l'autore colloca un pittore ripreso nell'atto di iniziare a dipingere una tela che forse racconterà il mondo che lo circonda; intorno a lui una giovane mamma che allatta, alcuni soldati in riposo, storpi, bambini che giocano e un gruppo di musici intenti ad intrattenerli.
Sede:
Comune di Genova - Palazzo Tursi
Via Garibaldi 9 - 16124 Genova
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