Registro de' depositi del cimiterio de' Padri Cappuccini della Santissima Concezione di Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Tommaso Maria Olivieri da Genova e altri frati, registro, 1781-1864

Tecnica e misure:

registro con coperta in pergamena, pp. 204, 340 x 120 mm

Provenienza:

Convento dei Cappuccini della santissima Concezione

Collocazione:

Archivio storico dei Cappuccini di Genova, Fondo storico provinciale, segnatura AA45

Provenienza:

Convento dei Cappuccini della santissima Concezione

La seicentesca chiesa dei Cappuccini della Santissima Concezione nel corso dei secoli XVIII e XIX fu scelta come luogo di sepoltura da molti genovesi e forestieri, illustri e non. Visitando la chiesa si possono osservare i monumenti funebri collocati lungo i muri interni e le lapidi che occupano tutto il pavimento. Nella sottostante cripta, aperta al pubblico solo occasionalmente, si trovano il sepolcreto dei frati e le tombe di quasi trecento laici.

Questo registro fu iniziato nel 1781 da p. Tommaso Maria Olivieri da Genova ed è corredato di un indice alfabetico finale per cognome. In esso sono registrati circa 1200 defunti, tra Cappuccini, religiosi di altri ordini, sacerdoti e secolari. Le persone erano di tutte le estrazioni sociali: ci sono poveri sepolti a carico delle confraternite, carcerati, artigiani, mercanti e notabili distintisi nella politica, negli affari militari o nella scienza. Per alcuni di essi vi sono brevi note sulla professione o sulle esequie.

Per citarne solo alcuni: il ministro generale dei Cappuccini Giampietro da Busto Arsizio (1700), l’ex arcivescovo di Tarragona Isidoro de Beltran (1719), p. Stanislao Ruanova, gesuita espulso dal Messico (1771), il capitano di galea e corsaro Cesare de Franchi (m. 1781), con cui lo stesso p. Tommaso Maria Olivieri navigò in qualità di cappellano, Paolo Barbieri (m. 1781), che aveva istituito a Monaco di Baviera il gioco del seminario (o del lotto), su incarico di impresari genovesi. Dal 1802 vi furono sepolti vari padri domenicani del convento di Santa Maria di Castello che, trovandosi entro le mura cittadine, non poteva utilizzare il proprio cimitero.

Ulteriori informazioni sui nomi dei defunti sepolti nella chiesa si possono ricavare dal confronto con altri registri parziali presenti in archivio e consultando l’elenco riportato da p. Francesco Saverio Molfino nel volume “La SS. Concezione” (Genova, 1941). Egli infatti trascrisse tutte le epigrafi, parte delle quali non sono più presenti o sono divenute illeggibili causa dell’usura da calpestio.

Ventaglio con iris kakitsubata - Museo Chiossone, Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Ogata Korin, scuola Rinpa, Giappone, Periodo Edo (1603-1868)

Tecnica e misure:

Ventaglio montato in formato kakejiku, inchiostro, colori e oro su carta

Tipologia:

Ventaglio

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Collocazione:

Deposito (n. inv. P-275)

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

L’iris Kakitsubata (杜若) si distingue per i suoi bellissimi fiori viola con sfumature tendenti al blu. I sepali cadenti ricordano le orecchie di un coniglio e sono screziati di bianco. Le sue foglie, che ricordano spade, possono raggiungere i 70 cm. Il kakitsubata fiorisce in primavera.

Si tratta di un ventaglio dipinto su carta, montato a kakemono (rotolo da appendere), databile 1711-1736. Gli iris blu sono posti su sfondo dorato, per mostrarne la preziosità: lo sfondo è una nuvola ocra, cosparsa di briciole di foglia d'oro; percepiamo il limite della nuvola solo all'estremità destra, dove intravediamo uno stagno dal color verde-bluastro. In esso possiamo scorgere delle leggere striature che rimandano a delle spirali dorate, sulle quali l'iris cresce. I petali e le foglie sono delineati con un pennello fine intinto su inchiostro nero. Inoltre, Kōrin opta per un primo piano di un kakitsubata completamente aperto, i cui sepali cadenti ci suggeriscono una fioritura già avanzata, in contrasto con il fiore ancora in boccio sulla destra.

Iris kakitsubata e martin pescatore - Museo Chiossone, Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Utagawa Hiroshige, Giappone, Periodo Edo (1603-1868)

Tecnica e misure:

Stampa policroma nishikie, formato ai-tanzakuban, 33.5 x 11.4 cm

Tipologia:

Stampa policroma

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Collocazione:

Deposito (n. inv. S-351)

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

In questa stampa, databile 1842-1844, Hiroshige ritrae un martin pescatore. Questa varietà di uccello, appartenente alla famiglia degli Alcedinidi, presenta un piumaggio dagli splendidi colori: il dorso, la testa, le ali e la coda sono di un bellissimo azzurro tendente al verde scuro, mentre il petto è di color arancio con sfumature che vanno dal rosso al ruggine. Per questo motivo, fin dall’antichità, per la brillantezza dei suoi colori quasi iridescenti, è stato paragonato a un gioiello. Il martin pescatore ha un becco lungo, utilizzato per catturare le prede, che sono per lo più pesci. Infatti, viene chiamato “pescatore” per il suo stile di caccia unico nel suo genere: utilizza i rami sporgenti sulle superfici d’acqua come punto di osservazione, aspettando solo il momento giusto per entrare in azione e attaccare. Per questo motivo, prediligono per lo più le rive dei fiumi e degli stagni di acqua dolce e ruscelli di montagna, dove le acque sono molto limpide e pulite.

In quest’opera, il martin pescatore viene ritratto in una scena di caccia, intento a volare in picchiata verso lo specchio d’acqua per afferrare la sua preda quotidiana. Nello sfondo troviamo gli iris kakitsubata (燕子花), contraddistinti dagli splendidi fiori viola dalle sfumature blu, i sepali cadenti che ricordano le orecchie di un coniglio, chiazzati di bianco, e dalle lunghe foglie appuntite che si stagliano verso l’alto.

Il rosso e il blu del piumaggio del martin pescatore, si fondono meravigliosamente con il viola intenso dell’iris creando un piacevole contrasto che accompagna la visione di tutta l’opera.

In altro a sinistra troviamo anche la poesia dedicata a questo animale, che recita:

kawasemi no

hane wo yosofute

mizu kagami

Il martin pescatore

si aggiusta le piume

specchiandosi nell'acqua

Gli iris hanashobu di Horikiri - Museo Chiossone, Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Utagawa Hiroshige, Giappone, Periodo Edo (1603-1868)

Tecnica e misure:

Xilografia policroma nishikie, inchiostro e colore su carta. Ōban verticale, 36.2 x 24.8 cm

Tipologia:

Xilografia policroma

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Collocazione:

Deposito (n. inv. S-2584/66)

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

L'iris hanashōbu (花菖蒲) cresce in un terreno umido a ridosso di torrenti e stagni, si presenta in un’ampia varietà di colori ed è caratterizzato da una screziatura gialla. Il fiore è anche importante nella tradizione della festa dedicata ai bambini maschi, Kodomonohi. Durante il periodo Edo questa tipologia di iris divenne molto popolare e iniziò ad essere coltivato in sempre più giardini; nella capitale Edo (l’attuale Tōkyō) divenne di moda andare a visitare questi giardini e campi di iris come forma di intrattenimento durante le sere d’estate, per godersi la frescura di queste zone verdi lontane dal centro della città. Tra questi Giardini, lo Shōbuen di Horikiri (堀切菖蒲園), tuttora visitabile e molto amato dai giapponesi, divenne il più popolare. Qui venivano coltivati gli iris destinati al mercato di Edo.

In questa stampa, databile 1857, parte della serie "Cento vedute di luoghi celebri di Edo" (Meisho Edo hyakkei名所江戸百景), Hiroshige ritrae proprio questo giardino, e con un sapiente gioco di sovrapposizioni riesce a concentrare in una singola opera due tipologie di stampe, quella di paesaggio e quella kachōga (fiori e uccelli). In primo piano infatti sono ritratte con estrema accuratezza tre varietà di hanashōbu, mentre in lontananza intravediamo delle ragazze giunte dalla città per godersi la bellezza dei fiori e la brezza serale, come ci suggerisce il rosso dell’orizzonte che indica il tramonto.

Convolvolo azzurro, parapioggia e gallo - Museo Chiossone, Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Utagawa Hiroshige, Giappone, Periodo Edo (1603-1868)

Tecnica e misure:

Xilografia policroma nishikie con impressione karazuri. 35,4 x 17,9 cm

Tipologia:

Stampa policroma

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Collocazione:

Deposito (n. inv. S-387)

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Questa stampa databile 1830-1831 è ambientata nella prima mattina di un giorno d’estate, indicazione resa chiara dall’analisi dei diversi elementi della scena. Fa da protagonista il gallo, simbolo del risveglio mattutino, regale e immobile, in una posa delicata; spiccano il rosso vivace della cresta e il bianco sporco delle piume.

Il convolvolo dietro di esso, il cui nome in giapponese asagao 朝顔 significa “volto del mattino”, contrasta lo sfondo con il suo blu intenso, e simboleggia anch’esso la fine della notte, perché ha una particolare caratteristica: appassisce durante la notte e sboccia nuovamente con il mattino delle giornate estive. Essendo una pianta rampicante e infestante, il convolvolo fiorisce ovunque trovi una parete a cui appoggiarsi: è per questo che fu molto apprezzato ed utilizzato in Giappone a scopi decorativi.

Il terzo elemento è l’ombrello nero e giallo, di cui si intravede solo un lato. Detto janomegasa 蛇の目傘 “ombrello ad occhio di bue” per il suo motivo a cerchi colorati, è utilizzato come parapioggia nella stagione delle piogge tsuyu 梅雨, che in Giappone dura circa da inizio giugno a metà luglio: lo stesso periodo della fioritura del convolvolo.

Il gallo non gode di una buona reputazione all’interno della poesia classica e dei diari delle dame di corte del periodo Heian: il suo richiamo mattutino, infatti, interrompeva gli appassionati incontri notturni degli amanti.

Trovando l'ombrello aperto e poggiato a terra, possiamo immaginare che lì vicino ci siano i due amanti a cui allude la poesia riportata sulla stampa, che stentano a separarsi dopo la notte trascorsa insieme. Come recitano i versi scritti in stile cinese in alto a sinistra, essi sospirano “come sarebbe bella l’alba di un paese dove il gallo non si facesse sentire!”.

Comprendiamo quindi che il gallo – solitamente raffigurato col petto gonfio, mentre lancia il suo richiamo – in questa stampa tace, astenendosi dall’arrecare agli innamorati il dispiacere di doversi dividere.

Riportiamo qui la composizione completa, che rappresenta perfettamente la funzione del gallo.


 

鳴けばこそ / 別れを押し目 / 鶏の音の / 聞こえぬ里の / 暁悲しも

nakeba koso / wakare mo oshime / tori no ne no / kikoenu sato no / akatsuki kanashi mo

A malincuore ci si separa al cantar del gallo: come sarebbe bella l’alba di un paese dove il gallo non si facesse sentire!

(trad. di Donatella Failla)

Fringuello e camelia - Museo Chiossone, Genova

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Utagawa Hiroshige, Giappone, Periodo Edo (1603-1868)

Tecnica e misure:

Xilografia policroma nishikie, inchiostro e colore su carta. Formato Chūtanzaku, 33.2 x 11.5 cm

Tipologia:

Xilografia policroma

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Collocazione:

Deposito (n. inv. S-0360)

Provenienza:

Collezione Edoardo Chiossone, lascito testamentario, 1898

Questa stampa databile XIX secolo è estremamente semplice: sono rappresentati solo due soggetti su uno sfondo vuoto, arricchito solo da un verde brillante nella parte inferiore della stampa. Questa scelta crea un equilibrio tra l’immagine e la poesia, nella parte sinistra.

I due soggetti sono un fringuello, dal piumaggio cinereo, e il ramo di camelia che sta utilizzando come trespolo per il suo riposo. Al contrario di altre raffigurazioni della Camelia Japonica (conosciuta come “Tsubaki” 椿 o ツバキ in Giappone), qui non è presente neve, ma possiamo comunque notare un fiore nel pieno della sua fioritura nella parte bassa e un bocciolo sul punto di schiudersi subito sopra il fringuello. Questo suggerisce che si tratti di uno scenario primaverile, nonostante questo fiore sia normalmente associato all’inverno, siccome la sua fioritura avviene nei mesi di dicembre e gennaio.

Le scelte della verticalità quasi totale del ramo e del rosso per la camelia donano, infine, una particolare eleganza a questa composizione.

La camelia è una pianta sempreverde, in Giappone considerata sacra fin dall’antichità, e lodata per lo splendore dei suoi fiori e la robusta consistenza delle sue foglie. A scopi pratici, è sempre stata utilizzata per la produzione di oli e di tè. Nel linguaggio dei fiori (花言葉, “hana-kotoba”), il significato della camelia varia in base al colore dei suoi petali. La camelia rossa significa “virtù della modestia, quella bianca “bellezza ineccepibile” e quella rosa “modesta bellezza”. Tuttavia, c’è anche un altro significato associato a questo fiore: la camelia rappresenterebbe “la donna che ha commesso un crimine”. Questa seconda lettura è collegata a “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas, una storia d’amore e di tradimento, e all’opera “La traviata” di Giuseppe Verdi.

La pianta di camelia è poi considerata in Giappone, da tempi antichi, un simbolo di longevità, in quanto 32.000 anni per l’uomo corrisponderebbero a un solo anno per l’albero.

Sulla rotta dei capolavori

Data: da 19/05/2023 a 17/09/2023

 

 

 

Dal 19 maggio al 17 settembre sarà possibile percorrere un itinerario inedito all’interno della città, per scoprire la ricchezza di un patrimonio di inestimabile valore e dalla grande varietà. 

Maggiori informazioni a questo link: https://www.visitgenoa.it/sulla-rotta-dei-capolavori

MIGRAZIONI CONTEMPORANEE E MIGRAZIONI INTERNE

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MIGRAZIONI CONTEMPORANEE E MIGRAZIONI INTERNE

Due sono i temi trattati in quest’area, capace di trasformarsi grazie a un gioco di luci e al movimento degli schermi: l'emigrazione interna al Bel Paese con i movimenti  dal sud al nord, dalle campagne alle città e la migrazione italiana verso l'estero nel nuovo millennio, con i suoi cambiamenti che portano l’Italia ad essere nuovamente paese da cui si parte  aprendosi a un mondo che non conosce confini se non quelli costruiti artificiosamente ma che vengono superati continuamente dall’innata curiosità dell’uomo di conoscere da un lato e dall’altro sia dall’istinto alla sopravvivenza sia dalla ricerca di una esistenza felice

MIGRAZIONI E COMUNITA'

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MIGRAZIONI E COMUNITA'

Vivere all'estero significa confrontarsi con nuovi usi, tradizioni e culture. Conoscere la società che ci accoglie, con le sue caratteristiche, spesso diverse da quelle da cui proveniamo, non è semplice, anche a causa del pregiudizio e del razzismo.  Attraverso le installazioni il pubblico può riconoscere i migranti italiani che hanno contribuito allo sviluppo, sociale culturale e economico dei paesi di arrivo,  condividere  i dubbi sulle scelte legate alla vita sentimentale, al cibo e al lavoro e  approfondire le discriminazioni subite e le azioni criminali condotte dai migranti italiani. 
 

LAVORO

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LAVORO

Gli italiani che nei secoli sono partiti per andare a lavorare all’estero hanno esportato le loro capacità, le loro esperienze, le loro professionalità, ma hanno anche dovuto accettare quei lavori che i Paesi d’arrivo offrivano loro, spesso i meno qualificati e i meno pagati. Un video racconta  le storie lavorative delle italiane e degli italiani attraverso i reportage di Rai Teche e  Istituto Luce. Un secondo video approfondisce l’epica storia degli arrotini del Trentino alla conquista dei mercati londinesi .  Attraverso le postazioni interattive è possibile scoprire che lavoro avrebbe fatto ognuno di noi emigrando nelle diverse epoche storiche e in differenti zone del mondo.
 

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