Ornamento dei capi

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Titolo dell'opera:

Collana di denti di capodoglio

Acquisizione:

Enrico A. D'Albertis 1932

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Isole Figi, seconda metà del XIX secolo

Tipologia:

collana

Epoca:

XIX - 1851 - 1900

Inventario:

C.D.A.1083

Misure:

Tipo di misura: altezzaxlunghezza; Unità di misura: cm; Valore: 13x35

Provenienza (nazione):

Fiji

Tecnica:

La struttura della collana è costituita da un fascio di fibre vegetali intrecciate e da denti di capodoglio tagliati longitudinalmente e poi lavorati.

Utilizzo:

Funzione rituale e ornamentale

Descrizione:

Ornamento di grande valore indossato da capi e uomini di rango, non solo nelle Fiji ma anche a Tonga e Samoa. La collana è costituita da un fascio di cordini in fibra vegetale intrecciati in cui sono infilati, attraverso i fori passanti, ventidue denti di capodoglio (Physeter macrocephalus) levigati a forma di zanne. Ogni dente è fermato e distanziato da quello successivo da un nodo di fibra vegetale. Come altri ornamenti realizzati con denti di cetacei, le collane wāsekaseka o wāseisei erano destinate ai capi e gli uomini di rango delle Fiji. La produzione di questo ornamento si sviluppò a Tonga nei primi anni dell’Ottocento probabilmente grazie all’introduzione di utensili di metallo e a un incremento nell’approvvigionamento dei denti di capodoglio: l'avorio veniva importato e non proveniva più solamente dagli esemplari spiaggiati. L'avorio di capodoglio sostituì le meno raffinate collane vuasagale del periodo precedente, composte di denti di altri cetacei, come il globicefalo (Globicephala macrorhyncus) o la pseudorca (Pseudorca crassidens).

Maschera Nō di donna

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Titolo dell'opera:

Maschera Nō Shakumi

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova - lascito testamentario

Ambito culturale:

ambito giapponese

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giappone, periodo Edo, secolo XVII - XVIII

Tipologia:

maschera teatrale

Epoca:

1601 - 1800 - XVII-XVIII

Inventario:

M-738

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 21.2; Larghezza: 14

Provenienza (nazione):

Giappone

Tecnica:

legno intagliato e dipinto

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Descrizione:

Le maschere teatrali giapponesi sono frutto dell’arte e del talento di scultori specializzati: piuttosto piccole e modellate in modo da ottenere svariati effetti espressivi sfruttando il gioco di luci e ombre, sono tratte da un unico pezzo di legno, solitamente di cipresso, dipinto con lacche e pitture policrome. Le maschere Nō (nōmen) sono classificate in cinque caratteri principali, ciascuno comprendente numerose varietà: questa appartiene al carattere principale Onna (donna) della varietà Shakumi, una donna di mezza età. La caratterizzano l’incarnato bianco, le sopracciglia rasate e disegnate sulla parte superiore della fronte e soprattutto i denti anneriti, una pratica cosmetica tipica delle donne sposate. Le maschere rappresentanti ruoli femminili erano indossate da attori di sesso maschile, poiché la recitazione era vietata alle donne. Maschera femminile per teatro Nō "Shiro Shakumi", in legno intarsiato e dipinto raffigurante una donna adulta di mezza età di circa quarant'anni, afflitta dalla perdita di una persona amata. Il volto è ovale e dall'incarnato chiaro; la bocca, dipinta di rosso, è socchiusa e lascia intravedere l'arcata dentale superiore i cui denti sono anneriti tramite la pratica dell'ohaguro in uso all’epoca. Gli occhi sono allungati e hanno iridi dorate, le sopracciglia sono rasate e dipinte con inchiostro in polvere secondo la pratica hikimayu in uso tra le donne sposate del periodo Meiji. I capelli, con alcune ciocche sciolte, sono dipinti sulla sommità della testa e discendono lungo i lati del volto.

Smalti cinesi

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Titolo dell'opera:

Scatoletta

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Cina, tardo periodo Ming, XVI secolo

Tipologia:

cofanetto - Litografia - fronte di sarcofago - trittico - affresco - affresco - stampa a colori - scatola

Epoca:

1601 - 1650

Inventario:

Sm-42

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 7.7
Diametro: 11.15

Provenienza (nazione):

Cina

Tecnica e misure:

Metallo e paste vitree, smalti cloisonné su lega a base di rame, altezza 18,3 cm e 11,5 cm

Descrizione:

Lo smalto cloisonné è il più diffuso tra gli smalti policromi orientali. La tecnica cloisonné consiste nell’eseguire sul fondo il disegno con sottili cordoli in metallo, formando degli alveoli che vengono riempiti di silicati colorati. In Cina, durante i periodi Ming (1368-1644) e Qing (1644-1912), gli atelier controllati dalla casa imperiale crearono opere in smalto di elevatissima qualità tecnica e artistica, tanto che gli smalti cloisonné sono ritenuti tipici prodotti delle arti decorative cinesi. Scatola sferoide, leggermente schiacciata ai poli, con decorazione di fiori autunnali e narcisi entro una formella rotonda bordata di rosso.

Maschera da guerra

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Titolo dell'opera:

Maschera da guerra

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova - lascito testamentario

Autore:

Myōchin, Yoshihiro

Tipologia:

maschera da guerra

Epoca:

1801 - 1850 - XIX- XIV

Inventario:

E-19 | AA 5077

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 24.5; Larghezza: 19; Profondità: 18

Provenienza (nazione):

Giappone, Prefettura di Kyōto, Kyōto

Tecnica:

lega di rame battuta, patinata e parzialmente dorata

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Descrizione:

La maschera è datata Era Meitoku III anno (1392) e firmata Ichijō Horikawa Jūichi Daimyōchin Yoshihiro saku, “Fatto da Myōchin Yoshihiro, undicesima generazione, di Ichijō Horikawa”, ma recenti studi ci portano a credere si tratti di un caso di gimei (falsa attribuzione), una pratica giapponese comune su spade e armature, che mirava ad aumentarne il valore e l'autorevolezza attribuendole a fabbri illustri o facendo risalire le opere a un periodo antico. In questo caso l'opera è attribuita a un membro della famiglia Myōchin, i più importanti fabbri specializzati in armature, ma è datata ad un periodo storico non plausibile. L'attività di un fabbro di nome Myōchin Yoshihiro della zona Horikawa di Kyōto è invece attestata all'inizio del secolo XIX. Le maschere da guerra accompagnavano e completavano l'armatura del samurai; avevano il compito di proteggere il volto del guerriero da possibili ferite, e spesso avevano un aspetto terrificante o mostruoso, sia per spaventare l’avversario che per mostrare l’abilità tecnica nel combattimento del guerriero che le indossava. La maschera da guerra in questione ritrae un Karasutengu, un demone corvo e copriva l’intero volto. Questa tipologia di maschere era assai rara ed era utilizzata esclusivamente da samurai di rango elevato in occasioni ufficiali (in quanto non garantiva una visualità ottimale a differenza delle mezze maschere che coprivano unicamente naso e bocca ed erano le più usate nei combattimenti). La scelta di raffigurare un Tengu su una maschera da guerra sottolinea la volontà di mostrare il guerriero che la indossa come un vero e proprio maestro di spada, un essere straordinario dalle incredibili abilità di combattimento, al pari di un Tengu, considerato un Maestro di spade e un abile combattente.

Buddha Amida

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Titolo dell'opera:

Statuetta di Buddha Amida

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova - lascito testamentario

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Scultore dell'atelier Shichijō, Giappone, periodo Edo, secolo XVII

Tipologia:

statua

Epoca:

1665 - 1670 - XVII

Inventario:

B-1212

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 33.4

Provenienza (nazione):

Giappone

Tecnica:

bronzo- fusione, doratura

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Descrizione:

I Buddha che hanno conseguito la perfetta illuminazione sono detti Nyorai (sanscrito Tathāgata): tra essi si annovera il Buddha Amida, venerato nella setta buddhista della Terra Pura, qui assiso nella postura del loto in meditazione. La statua rappresenta strette affinità con un’opera che lo scultore Kōjō, venticinquesimo capo dell’atelier Shichijō, eseguì su commissione dello Shōgun Tokugawa Ietsuna (1641-1680), destinata al tempio Kan’eijin in memoria della propria madre. Statua raffigurante un Amida Nyorai assiso in meditazione (Amitābha Tathāgata). La figura è seduta e atteggiata nella posizione del loto e indossa una tunica che sul petto si allarga in un ampio scollo, lasciando visibile il busto fino all'altezza della cintura. Le tracce superstiti suggeriscono che l'opera doveva essere per buona parte dorata, mentre un buco e un incavo sul fondo permettono di ipotizzare la presenza, in origine, di un basamento.

Specchio con animali e divinità buddhiste

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Titolo dell'opera:

Specchio, dono di Atsushi Saisho a Edoardo Chiossone

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova - lascito testamentario

Ambito culturale:

ambito cinese

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Cina o Giappone, V - VI secolo d.C.

Tipologia:

specchio

Epoca:

401 - 600 - V-VI

Inventario:

B-546

Misure:

Unità di misura: cm; Diametro: 24.2; Spessore: 0.9; Unità di misura: g

Tecnica:

bronzo- fusione

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Descrizione:

In una memoria datata novembre 1881, il Direttore Generale del Poligrafico di Stato del Ministero delle Finanze, Tokunō Ryōsuke, diretto superiore di Edoardo Chiossone scrisse relativamente a una coppia di specchi (pressoché identici) donati uno a lui e l’altro a Edoardo Chiossone dal loro comune amico Saisho Atsushi in segno della loro amicizia: “Dalla più remota antichità, gli specchi sono stati considerati nel nostro Paese come dei tesori. Poiché il loro carattere intrinseco è quello di essere puri, chiari e senza macchia […] è esattamente come un cuore puro a cui l’egoismo e la falsità sono sconosciuti […] Il Signor Edoardo Chiossone ricerca le antichità con infaticabile coraggio, senza lasciarsi fermare dagli ostacoli; egli ama con ardore inaudito tutti gli oggetti antichi; non esiste altro modo di definirlo, se non un uomo straordinario! Uno dei miei amici, il Signor Saisho Atsushi custodiva molteplici specchi molto antichi: due fra essi riportano gli stessi motivi e le stesse figure. Ne ha donato uno a me, e l’altro al Signor Chiossone. Credo che il Signor A. Saisho abbia in quel momento voluto dar prova del nostro reciproco affetto e della sua durata eterna, come quella degli specchi. Oso sperare che il Signor Chiossone vorrà ben preziosamente custodire questo specchio. Davanti a questo specchio, gli sembrerà di vederci tutti e tre assieme; sarebbe qualcosa di così piacevole! Lo specchio […] rappresenta quattro bugne, quattro animali divini e dieci personaggi sacri eseguiti in maniera impeccabile. L’iscrizione è in parte cancellata, per cui non può essere letta completamente. Non è passato che qualche anno da quando lo specchio è stato disseppellito. Il metallo è coperto da una bella patina verde; un palpabile timbro di antichità. Impossibile oltretutto stabilire l’epoca cui risale. Mese 11° del 14° anno Meiji (novembre 1881), Tokunō Ryōsuke”.
Da questa memoria si apprende come Chiossone fosse ben inserito e stimato nella società giapponese sia che, a sei anni dal suo trasferimento in Giappone, avesse già iniziato strenuamente a collezionare oggetti d’arte e che molti suoi conoscenti ed amici fossero coinvolti nell’agevolarne la raccolta. Dallo scritto di Tokunō comprendiamo inoltre che lo specchio era sepolto e che venne alla luce solo a seguito di uno scavo.
In Giappone, nel XVIII e XIX secolo, infatti, si assistette non soltanto a scavi occasionali per la creazione di impianti e infrastrutture, ben inserite nell’ottica di modernizzazione Meiji, che portarono a rinvenimenti fortuiti, ma anche a veri e propri scavi archeologici alimentati dal crescente gusto antiquario e collezionistico: è probabilmente il caso degli specchi dono di Saisho Atsushi, imminente uomo politico a capo, nel corso del tempo, di diverse Prefetture del Giappone. Un esemplare identico, rinvenuto presso il tempio Kongōrin-ji di Ōsaka, è custodito nel Museo Nazionale di Kyōto e figura nella lista nazionale giapponese degli Importanti Beni Culturali (jūyō bunkazai).
Questi specchi dall’uso rituale, il cui lato riflettente è ottenuto levigando il bronzo (opposto al lato visibile) sono solitamente decorati con motivi taoisti: il nostro esemplare presenta una rara combinazione di motivi decorativi taoisti e figure buddhiste. Specchio di bronzo dall'uso rituale proveniente da un contesto archeologico ignoto, con quattro bugne, quattro animali e dieci divinità buddhiste. Il lato riflettente, opposto a quello decorato, è ottenuto levigando il bronzo.

Giuseppe Mazzoni, La Grande Genova. Veduta d’insieme della Grande Genova con le opere realizzate e altre allo stato progettuale.

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giuseppe Mazzoni, La Grande Genova.

Tecnica e misure:

tempera su carta

Veduta d’insieme della Grande Genova con le opere realizzate e altre allo stato progettuale, 1926.

Con deliberazione del Commissario Prefettizio n. 1102 del 26.08.1926 si diede incarico a Giuseppe Mazzoni di eseguire un piano prospettico di Genova e dei Comuni annessi ad essa nel 1926, dietro un corrispettivo di £. 2.500.

La veduta della Grande Genova fu esposta a Tripoli nel 1927 in occasione della 1^ Fiera di Tripoli.

Niccolò Paganini. Variazioni sulla Carmagnola

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Niccolò Paganini. Variazioni sulla Carmagnola

Manoscritto musicale

In anni recenti le raccolte dell’Archivio Storico si sono arricchite con materiale documentario relativo al grande violinista , tra cui lo spartito della Carmagnola e dell’Inno Patriottico e lettere, datate tra il1831 e il 1839.

Statuti della Compagnia del Mandiletto

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Statuti della Compagnia del Mandiletto, sec.XV

Tra i volumi di storia religiosa conservati all’Archivio Storico del Comune, da segnalare gli Statuti della Compagnia del Mandiletto, associazione nata a Genova alla fine del Quattrocento con lo scopo di dedicarsi alla raccolta e distribuzione di denaro ai poveri presenti in città, a testimonianza della grande vitalità del movimento confraternale  in età moderna a Genova.

Libro di conti di Battista De Luco

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Libro di conti di Battista De Luco, 1472- 1476

Tipologia:

Manoscritto

Tecnica e misure:

Inchiostro su carta, legatura originale in pergamena morbida

 

Il manoscritto contiene le registrazioni delle attività commerciali di Battista de Luco, tipico esempio di esponente di medio livello del ceto mercantile genovese, attivo sulle rotte che Genova con il Mar Egeo e  l’Atlantico, fino all’Inghilterra. Tra le attività registrate, interessante e curiosa la compravendite di piume di struzzo, cera e tessuti, avvenuta ad Alessandria d’Egitto tra il 12 giugno e il 25 agosto 1472.

Il libro di conti fa parte dell’Archivio della Famiglia De Ferrari, pervenuto al Comune di Genova nel 1927, unitamente all’Archivio Brignole Sale.

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