Angelica Kauffman, Il ritratto di Paolo Francesco Spinola

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Angelica Kauffman (Chur, 1741 - Roma, 1793)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 125 x 100 cm

 

Durante il soggiorno romano per seguire i lavori della Sacra Rota per l'annullamento del suo secondo matrimonio con Maria Geronima De Mari, Paolo Francesco Spinola, ultimo discendente degli Spinola di San Luca, ebbe occasione di commissionare al pennello di Angelica Kauffmann, protagonista della più aggiornata cultura artistica della città, il proprio ritratto. Si deve a lei, che firma la tela nel 1793, averci tramandato il volto melanconico di Paolo Francesco colto in un momento di lettura nel suo studio, un'immagine indicativa del suo gusto raffinato e della sua cultura. Da Roma dove fu eseguito il dipinto fu trasferito a Genova nel 1796 anno in cui dai libri di conti conservati in archivio risulta il pagamento del trasporto ed anche, ma solo nel 1824, quello all'indoratore Laviosa per l'esecuzione della cornice.

Joos van Cleve, Vergine in preghiera

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Joos Van Cleve (Cleves, 1485-1540)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tavola, 57 x 43,5 cm

 

La tavola fa parte del nucleo di opere introdotte nel patrimonio del palazzo grazie all'eredità ricevuta da Violantina Balbi, moglie di Giacomo Spinola di Luccoli divenuto proprietario della dimora nel 1824 e che comprendeva, tra l'altro, l'Allegoria della Pace e della Guerra di Luca Giordano.

La tavola si ritiene eseguita nel secondo decennio del Cinquecento e stata spesso accostata al Salvator Mundi, ora conservato al Louvre, di cui si era anche creduto potesse essere il pendant anche se, invece del fondo dorato intorno alla figura della Vergine, risulta ora una pesante e scura coloritura che contrasta con la naturalistica resa della figura sia nel volto che nel morbida resa del panneggio del velo di un vibrante bianco.

Giovanni Benedetto Castiglione "Il viaggio di Abramo"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 1609 - Mantova, 1664)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 239 x 271 cm

 

Sistemato nella quadreria del salone del secondo piano nobile del palazzo, nell'ambito della ristrutturazione e del rinnovo decorativo voluto da Maddalena Doria Spinola nel 1734, il dipinto è da ricondurre al rapporto di Ansaldo Pallavicino con il pittore da lui prediletto e di cui risulta nel 1652 l'acquisto di un nutrito nucleo di opere tra cui la tela che era stata collocata sulla parete di fronte L'entrata degli animali nell'arca, donata da Giacomo Spinola all'Accademia Ligustica dove tuttora si conserva. È invece ancora inserita nella quadreria del secondo piano nobile la Circe che si deve sempre ad un acquisto di Ansaldo, mentre una seconda tela con questo soggetto è rimasta nel patrimonio della villa degli Spinola a San Michele di Pagana donata da Paolo e Franco Spinola nel 1958 al Sovrano Militare Ordine di Malta.

Giovanni Battista Carlone, La vocazione di San Pietro

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovanni Battista Carlone, La vocazione di San Pietro

La tela, insieme alla Crocefissione di San Pietro e alla Caduta di Simon Mago, è uno dei tre bozzetti con scene della storia di San Pietro per gli affreschi della navata centrale della vicina chiesa di san Siro commissionati  nel 1657-58 a Giovanni Battista Carlone da Agostino Pallavicino che molte attenzioni dedicò a quella chiesa come poi anche il figlio Ansaldo nella cui dimora i tre dipinti sono rimasti fino ad oggi e dove li cita per primo la descrizione del Ratti nel 1766. Le scene sono fedelmente riprodotte nell'affresco della navata con una luminosa cromia e inserite in cornici e finte architetture non considerate dai bozzetti che si limitano alla raffigurazione delle storie.

Matthias Melijn, Bacile con “La partenza di Cristoforo Colombo”

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Matthias Melijn (Antwerp, 1589-1653)

Tipologia:

Oggettistica

Tecnica e misure:

Argento fuso, sbalzato e cesellato, diametro 56 cm

 

Dei ricchi e numerosi argenti da parata che caratterizzavano le credenze delle dimore aristocratiche genovesi suscitando lo stupore dei visitatori della città tra Cinque e Seicento, è l'unico esempio conservato in un museo della città ed è preziosa testimonianza di quella ricca produzione in gran parte dovuta alla colonia di argentieri fiamminghi attivi a Genova tra cui Matthias Melijn e Gio Aelbosca Belga. Sono questi rispettivamente gli autori del bacile e dei due vasi, anch'essi a Palazzo Spinola, commissionati intorno al 1630 da Agostino Pallavicino, il padre di Ansaldo, il secondo proprietario del palazzo, cui si deve la scelta del soggetto colombiano che li unisce e che era anche ripreso in un secondo bacile oggi disperso. Considerato il forte impegno pubblico di Agostino per l'affermazione della Repubblica di Genova, la scelta della figura di Cristoforo Colombo era assunta come esempio di intraprendenza e autonomia e come tale ripresa anche in affreschi e dipinti coevi.

Antoon van Dyck, Ritratto di Ansaldo Pallavicino bambino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Antoon Van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1641)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 108 x 64 cm

 

Dell'opera originaria si conserva la parte dedicata al ritratto del piccolo Ansaldo mentre è dispersa la parte con il ritratto del padre Agostino Pallavicino che si suppone completasse il dipinto, purtroppo tagliato già nel corso del Seicento e poi reintegrato in modo da permetterne l'inserimento nella quadreria dei salotti di Maddalena a inizio Settecento. In ottemperanza a criteri di restauro filologico nel restauro degli anni Sessanta del Novecento la tela fu quindi liberata dall'aggiunta e portata alle attuali dimensioni.

Il duplice ritratto era il secondo incarico dato dal Pallavicino al pittore anversano al quale aveva infatti già commissionato nel 1621 il suntuoso ritratto di sé, ora al Paul Getty Center di Los Angeles, in occasione dell'Ambasceria presso papa Gregorio XV. Nel 1625 Agostino si rivolse nuovamente all'artista fiammingo da poco presente a Genova chiedendogli, questa volta in occasione della sua nomina a protettore del Banco di San Giorgio, un ritratto con accanto a sé il piccolo Ansaldo, suo erede.

Scuola di Anton Maria Maragliano, statuine del presepe

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Scuola di Anton Maria Maragliano, XVIII secolo

Tipologia:

Statuine

Tecnica e misure:

Legno e stoffa, altezza da 40 a 65 cm

 

Dalla fine dell’Ottocento nelle guide e nelle cronache genovesi sono ricorrenti le notizie sui presepi allestiti dai padri cappuccini, segno di un particolare legame dei religiosi con questa tradizione.

Nei depositi del Museo dei Cappuccini sono state raccolte nel tempo numerose figure da presepe provenienti da diversi conventi cappuccini della Liguria. Ormai da oltre dieci anni è iniziata un’operazione di recupero e restauro di questi pregevoli manufatti tra i quali spicca senza dubbio il nucleo di manichini abbigliati proveniente dal convento dei cappuccini di Sarzana.

Di grande valore artistico è il maestoso corteo dei Re Magi attribuito alla bottega di Anton Maria Maragliano (Genova, 1664 - 1739). Il famoso scultore, del quale non è documentata con certezza la realizzazione di manichini abbigliati, soleva servirsi di allievi ai quali forniva i modelli su cui basarsi per la loro realizzazione riservando per se la produzione di casse processionali e sculture o gruppi lignei di dimensioni ben maggiori.

Di assoluto pregio sono le statuine realizzate da Pasquale Navone (Genova, 1746 -1791), uno dei più illustri seguaci dell’opera del Maragliano: si tratta di diversi pastori, contadine e popolane riconoscibili per le dimensioni maggiori rispetto a quelle delle altre statuine del gruppo e per la ricercatezza e finezza dei lineamenti e degli incarnati.

Inoltre, merita una menzione a parte la figura del mendicante, tipica del presepe genovese, che spicca in suggestivo contrasto con lo sfarzo del corteo magnifico dei Re Magi. Questa è abbigliata con il tessuto jeans, materiale la cui etimologia deriva dalla parola Genes, Genova, poiché il celebre tessuto americano altro non è che il diretto discendente del Blu di Genova, tela di cotone lavorata e tinteggiata a Genova che veniva utilizzata per i carichi delle navi che solcavano i mari dirette verso il Nuovo Mondo.

Presepe meccanico di Franco Curti

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Franco Curti

Tipologia:

Presepe

Tecnica e misure:

900 x 400 x 500 cm

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La lunga storia di questo presepe inizia negli anni '30 e nel 1947 è documentato che il suo costruttore Franco Curti lo abbia esposto a Carmagnola, suo paese d’origine. Passano gli anni e il presepe inizia a diventare famoso in tutto il Piemonte e in Liguria e dieci anni più tardi i visitatori erano già saliti a circa duecentomila. Nel 1976 Franco dona la sua opera ai Cappuccini della Liguria nelle mani di padre Romano da Calice che lo gestisce dal 1976 al 1983. Nel 1984 padre Romano cede il passo a un suo confratello più giovane, padre Andrea Caruso che porta avanti la tradizione itinerante per i conventi della Liguria fino al 2006.

Dal 2007 il presepe inizia la sua seconda vita entrando a far parte della collezione del Museo dei Cappuccini di Genova, dove ogni anno, nel periodo di Natale, è visitabile.

“Se la rievocazione di questo avvenimento, pur nella sua semplicità, dopo duemila anni attira ancora così tanti visitatori e può suscitare un po’ di quel divino messaggio, penso di poter dire che non sono state inutilmente sprecate le 12000 ore che ho dedicato alla costruzione del mio presepe”. Così parlava nel 1972 Franco Curti.

Ciò che non si vede guardando il presepe sono i 7 motori che danno i movimenti; 307 lampadine variano la luce creando il giorno, l’aurora e la notte; 205 cuscinetti a sfere e 273 tra ruote, pulegge e ingranaggi sincronizzati fanno muovere tutti i personaggi. La ruota che fa più giri è quella dei motori (1400 giri al minuto), la più lenta quella degli effetti di luce (1 giro ogni 3 minuti).

Le costruzioni del presepe sono tutte costruite in traforo, le statue, in maggioranza, sono scolpite a mano da artigiani della Val Gardena. I personaggi in movimento sono oltre 150 e la parte centrale è un trittico di 40 metri quadrati composto dalla ricostruzione di Betania, Gerusalemme e Betlemme al tempo di Gesù. Cadute d’acqua, vedute panoramiche orientali, degradanti cambi di luce e un sottofondo musicale completano il quadro suggestivo della natività.

Completano l’opera 5 quadri meccanici con le Profezie dei Profeti Isaia, Michea e Malachia, la ricerca dell’alloggio e l’Adorazione dei Magi.

 

Statua bifronte con Madonna e Bambino e sant’Antonio e Bambino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Ignoto scultore genovese, seconda metà del XVII secolo

Tipologia:

Scultura

Tecnica e misure:

Marmo scolpito, 123 x 86 x 79 cm

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La scultura è un manufatto unico nel panorama ligure, un marmo scolpito su ambo i lati raffigurante Sant’Antonio da Padova con Gesù e la Vergine con il Bambino. L’opera, recentemente musealizzata, è entrata a far parte delle collezioni del museo mantenendo una tradizionale attribuzione all’ambito di Pierre Puget.

In precedenza la scultura era collocata su uno degli ingressi laterali della Villa Duchessa di Galliera a Voltri, in comunicazione con la vicina chiesa cappuccina di San Francesco. La posizione in uno spazio esterno ha esposto il marmo all’azione degli agenti atmosferici, depauperandone la superficie lapidea e compromettendo la corretta lettura del modellato della scultura, che acquisisce così un valore involontariamente espressivo, caratterizzando nervosamente il ductus del lavoro dello scultore.

L’ascrizione dell’opera ad ambito pugetiano, da rigettare, rileva come l’autore debba essere cercato in un artista attivo nella Genova della seconda metà del XVII secolo, dove a partire dal settimo e ottavo decennio, metabolizzata la lezione di Puget, accanto alle botteghe delle maestranze lombarde, opererà il genovese Filippo Parodi e una generazione di artisti che aveva puntualizzato la sua formazione a Roma. L’ignoto scultore si trova a dover restituire due immagini distinte in un blocco di marmo, cucendo insieme le porzioni laterali con una certa abilità, dove i profili del Santo e di Maria si fondono in un unico volto dai tratti somatici androgini. Le immagini insistono su una tradizione iconografica consolidata nella pittura genovese secentesca: Valerio Castello aveva proposto nelle sue tele i dialoghi fatti di gesti e sguardi, carichi di un trasporto affettivo, come nella madre con il bimbo nella pala della Chiesa di Santa Zita, o nella tenera carezza di Gesù al san Giovannino della tela di Nantes. Un atteggiarsi intimo che si ritrova nella Madonna Carrega di Puget, dove il Bimbo richiama con la mano paffuta l’attenzione della genitrice assorta, anche se nel marmo in oggetto l’artista si sofferma a descrivere l’intensità emotiva dell’incontro, giocato sullo scambio di sguardi che intercorre tra i protagonisti. Sant’Antonio, in posizione stante, stringe a sé il Bambino arretrando con un leggero movimento la gamba destra, sul lato opposto la figura si anima pacatamente attraverso l’espediente di un vento che schiaccia sulle gambe della Vergine il mantello, come nelle opere di Puget e di Parodi.

L’evidente assimilazione dei modelli pugetiani e parodiani fa proporre per l’opera una datazione all’ultimo decennio del Seicento, quando il tema sacro svuotato di accenti patetici per un tono più lieve e sommesso, acquista una progressiva stilizzazione delle forme e dei tratti distintivi, come il taglio degli occhi che si fa più affilato, puntualmente riscontrati nella scultura bifronte del museo cappuccino.

 

Bernardo Strozzi, La Vergine porge il Bambino al Beato Felice da Cantalice

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino (Campo Ligure o Genova, 1582 - Venezia, 1644)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela monocromo, 168 x 118 cm

 

Recuperate da Padre Cassiano da Langasco, rispettivamente nel convento dei Cappuccini di Varazze e in quello di Santa Margherita Ligure, queste due grisailles raffigurano un soggetto molto caro alla devozione cappuccina: l’apparizione della Vergine a Felice da Cantalice che riceve dalle braccia di lei il Bambino, durante la notte di Natale, alla presenza di frate Lupo.

Il dipinto proveniente da Varazze è opera concordemente attribuita a Bernardo Strozzi.

L’ambientazione notturna della scena, illuminata dal chiarore della luce proveniente dall’alto, appare felicemente risolta nell’adozione della tecnica a monocromo, giocata su toni freddi e animata da rialzi nervosi dei bianchi che conferiscono una qualità vibrante all’immagine.

Nello spazio appena evocato della chiesa, l’artista inserisce sul primo piano il corredo per la questua del frate, splendido brano di natura morta, mentre alle spalle del gruppo figurale, lo spazio è reso indefinito dall’inserimento delle nuvole. La Madonna è assisa su di una nuvola nell’atto di porgere il Bambino al Beato, alle sue spalle un angelo le sorregge il manto. L’opera è senza dubbio connessa con la pala di uguale soggetto conservata nella chiesa dei Cappuccini della Santissima Concezione a Genova, dalla quale si distacca per alcune varianti.

Secondo Rita Dugoni il monocromo costituirebbe un abbozzo o un modello per la pala, commissionata allo Strozzi in occasione della beatificazione del frate, avvenuta nel 1625.

L’utilizzo della tecnica a monocromo nell’ambito dei processi compositivi dell’artista sarebbe testimoniato del resto dallo Studio di compianto su Cristo morto della galleria di Palazzo Bianco a Genova. Da Franco Pesenti era stata ipotizzata una datazione anteriore agli anni ‘20 e, sempre dallo studioso, la grisaille veniva ritenuta come concepita autonomamente e riutilizzata, a distanza di qualche anno, per l’elaborazione della pala della Concezione.

Il secondo monocromo, interessato da un consistente intervento di restauro nel 1965, risulta di difficile lettura poiché la pellicola pittorica originale è compromessa in molte zone.

Il dipinto è variamente assegnato a Giovanni Andrea De Ferrari. La presenza di brani di notevole qualità, rintracciabili in particolare nella figura della Vergine, nel velo dispiegato dall’angelo nelle mani di frate Felice, e di zone meno risolte e caratterizzate da una pennellata più compatta, portano a considerare l’opera come uscita dalla bottega dell’artista, presumibilmente con l’intervento del maestro.

La presenza di alcune varianti rispetto al monocromo di sicura autografia strozzesca appare di un certo interesse: la maggiore definizione del volto di frate Felice, il delinearsi dei tratti di frate Lupo e la riduzione del nodo che l’Angelo stringe nella mano destra, sembrano documentare una fase di elaborazione intermedia tra il monocromo di certa autografia e la pala della Santissima Concezione.

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