Opera

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Mario Rossi

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela

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At vero eos et accusamus et iusto odio dignissimos ducimus qui blanditiis praesentium voluptatum deleniti atque corrupti quos dolores et quas molestias excepturi sint occaecati cupiditate non provident, similique sunt in culpa qui officia deserunt mollitia animi, id est laborum et dolorum fuga. Et harum quidem rerum facilis est et expedita distinctio. Nam libero tempore, cum soluta nobis est eligendi optio cumque nihil impedit quo minus id quod maxime placeat facere possimus, omnis voluptas assumenda est, omnis dolor repellendus. Temporibus autem quibusdam et aut officiis debitis aut rerum necessitatibus saepe eveniet ut et voluptates repudiandae sint et molestiae non recusandae. Itaque earum rerum hic tenetur a sapiente delectus, ut aut reiciendis voluptatibus maiores alias consequatur aut perferendis doloribus asperiores repellat."

Gregorio De Ferrari, Sala dell'Estate

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Titolo dell'opera:

Volta della Sala della Primavera e volta della Sala dell’Estate

Autore:

Gregorio, De Ferrari

Tipologia:

affresco

Epoca:

1686 - 1687 - sec. XVII

Tecnica:

affresco

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Descrizione:

A partire dal 1686-1687 Gregorio De Ferrari si trova impegnato, con il suocero Domenico Piola, nella decorazione a fresco del secondo piano nobile di Palazzo Rosso, per la committenza di Gio. Francesco I Brignole Sale (1643-1694): a partire dal salone, passando per le quattro sale a levante fino ad arrivare alla loggia sud rivolta verso il mare, viene messo a punto un unitario e coerente progetto iconografico che ha come tema centrale la simbolica identità tra Apollo dio del Sole, che con il suo carro scandisce il ritmo delle giornate, e il committente Brignole Sale, il cui stemma araldico, un Leone rampante, coincide significativamente con il segno zodiacale dell’estate, la stagione del sole. La decorazione del salone, realizzata da Gregorio De Ferrari e fulcro di questo complesso sistema figurato, ruotava intorno alla mitica figura di Fetonte, figlio di Apollo, e recava agli angoli gli stemmi dei committenti, il Brignole e la moglie Maria Durazzo: purtroppo questa decorazione è andata distrutta a seguito dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Seguono i salotti dedicati alle allegorie delle Quattro Stagioni, iconograficamente connessi al piano simbolico generale quali emblemi del passaggio del tempo. Nei primi due ambienti, ancora di mano del De Ferrari, la Primavera e l’Estate trionfano al centro di due volte incorniciate da stucchi di Giacomo Maria Muttone: nella prima sala Venere, in atteggiamento lezioso e seducente, trionfa su Marte in volo mentre Cupido, emblema per eccellenza delle arti amatorie, dà fuoco alle fiaccole a cavallo di un cigno; tutt’intorno giovani fanciulle e festosi putti giocano tra i fiori, mentre sulla sinistra campeggia un leone, ancora un diretto richiamo all’arma araldica del committente. Nella seconda sala Cerere dea delle messi, in volo accanto a un putto che regge un grande fascio dorato di spighe, prevale sui venti invernali scacciati dall’Aura, mentre il centro della composizione è ancora dominato dalla figura di Apollo-Sole accompagnato da un leone, questa volta allusivo anche – come già nel salone – al segno dello zodiaco e dunque appunto all’estate, in un piacevole gioco di rimandi tra astrologia e celebrazione dinastica. Allegoria d'affresco della primavera e dell'estate.

Kazaridana o scaffale giapponese a intarsio

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Titolo dell'opera:

Mobile a intarsio

Acquisizione:

Enrico A. D'Albertis 1932

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Hakone, Giappone, 1875 - 1880

Tipologia:

armadio

Epoca:

XIX - 1875 - 1880

Inventario:

C.D.A 1583

Misure:

Tipo di misura: altezzaxlarghezzaxspessore; Unità di misura: cm; Valore: 171x72x32

Provenienza (nazione):

Giappone

Tecnica:

Legno a intarsi policromi.

Utilizzo:

Arredo

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Descrizione:

Struttura lignea a ripiani, sportelli e cassetti, rivestita da intarsi lignei eseguiti con diverse essenze in vari colori naturali, in un vasto repertorio ornamentale di motivi geometrici e floreali. Questo interessante elemento di mobilio fu probabilmente acquistato dal Capitano d’Albertis durante il suo primo Giro del Mondo, negli anni 1877-1878. Rappresenta la piena evoluzione tecnica del pregevole intarsio ligneo a mosaico yosegi zaiku 寄木細工 tradizionalmente praticato fin dal 1635, cioè dall’inizio del periodo Edo (1600 - 1867), ad Hakone, cittadina situata sull’omonimo lago nei pressi del Monte Fuji, nella provincia di Odawara. Alimentato dalle immense riserve di legname pregiato del boscoso territorio circostante, questo artigianato artistico trae origine dalle antiche abilità e dalla cultura specifica dei carpentieri, falegnami e intarsiatori giapponesi che nel secolo VIII entrarono in contatto per la prima volta con i manufatti decorati a intarsio importati per i sovrani nipponici dalla Cina d’epoca Tang (618-906).

Sensoriale

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Titolo dell'opera:

Sala sensoriale

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Sala sensoriale

Tipologia:

installazione multimediale interattiva

Epoca:

2024 - 2024 - XXI

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Descrizione:

Sensoriale è un luogo dove il tempo è dilatato, lo spazio accogliente, i sensi finemente sollecitati. Nasce per accogliere e per fare un’esperienza orientata al benessere. La postazione si compone di singoli elementi da combinare in molteplici formazioni: cinque strumenti, una seduta morbida e un cuscino, ordinati secondo il principio geometrico d’armonia della serie di Padovan. Le videoproiezioni mostrano frammenti di luce e fiori. L’essenza di cedro favorisce la distensione psicofisica attraverso l’olfatto.

Mazza dei capi

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Titolo dell'opera:

Mazza dei capi

Acquisizione:

Enrico A. D'Albertis 1932

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Nuova Zelanda, seconda metà del XIX secolo

Tipologia:

mazza

Epoca:

XIX - 1851 - 1900

Inventario:

C.D.A. 492

Misure:

Tipo di misura: altezzaxlarghezzaxspessore; Unità di misura: cm; Valore: 36x12.7x2

Provenienza (nazione):

Nuova Zelanda

Tecnica:

Specifica alla produzione maori, in particolare quella lignea, è la moltiplicazione di motivi curvilinei, di spirali, e la copertura totale delle superfici con decorazioni a traforo o incise. Per un lungo periodo l’arte maori è stata descritta rintracciando solo i caratteri del suo aspetto esteriore. In tempi abbastanza recenti la pubblicazione di opere di studiosi maori ha permesso letture e approfondimenti che aprono a una complessità di simboli plastici inseriti in sistemi sociali, politici e religiosi che devono essere compresi nella loro globalità.

Utilizzo:

Cerimoniale/difensiva/offensiva Portata alla cintura, veniva tenuta con una mano e usata nei combattimenti e nelle cerimonie. Il fendente veniva inferto con il bordo convesso della lama. Cerimonie/combattimenti

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Descrizione:

Mazza piatta a forma di falcetto con manico a intaglio ornato da tre bombature. Le superfici sono decorate a intaglio da gruppi di tre linee alternati a triangoli in rilievo, disposti su tre registri obliqui separati tra loro da tre fasce orizzontali. Lungo il lato interno dell'arma è intagliata una figura stilizzata che simboleggia uno spirito mitologico collegato alla potenza spirituale dell’arma (mana), che aumentava in modo proporzionale ai successi nei combattimenti. La figura ha orecchini circolari, occhi, naso e una bocca simile a un becco da cui fuoriesce la lingua; le mani tridattili intrecciate stringono il corpo informe. Esperti nel combattimento corpo a corpo, i maori hanno ideato una grande varietà di mazze corte intagliate nel legno - denominate in modo generale patu - atte a sferrare colpi improvvisi e potenti dall’alto verso il basso. Secondo la forma e il materiale usato sono definite con un nome specifico. Ogni tipo di patu era modellato e proporzionato alla presa del possessore e aveva un nome proprio: la wahaika è un tipo distinto di patu, portato quotidianamente alla cintura, il cui termine significa "bocca di pesce". Queste armi erano tramandate di generazione in generazione come cimeli di famiglia.

Fred Kabotie, La cerimonia del flaut

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Fred Kabotie, La cerimonia del flauto, 1953

Fred Kabotie fu un noto artista hopi (c. 1900- 1986, pittore, orefice, illustratore, ceramista, scrittore ed educatore) che insegnò pittura ai ragazzi hopi in Arizona per 22 anni (1937-1959), istituendo una vera e propria scuola. 

Questa opera è giunta grazie alla donazione degli Amici del Castello insieme alle opere raccolte durante il suo soggiorno  a Hopiland da Amedeo Dalla Volta nell’estate del 1953, quando la scuola era attiva presso la Hopi High School di Oraibi.

Tra la selezione di opere realizzate dai ragazzi della sua scuola, lo studio per acquarello di Fred Kabotie stesso  costituisce un soggetto ripreso da diverse opere e su diversi materiali, anche di oreficeria, ed evidenzia la centralità del mais nell’agricoltura ed alimentazione degli Hopi, come l’importanza della cerimonia del flauto nel calendario rituale hopi.

Installazione collezioni First Nations

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Titolo dell'opera:

Installazione collezioni First Nations, Sud Dakota

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Massimo Chiappetta e Gerald Mac Master

Tipologia:

ambiente

Epoca:

2004 - 2004 - XXI

Descrizione:

L’installazione è nata dal dialogo tra il progettista e designer del museo Massimo Chiappetta e Gerald Mac Master, artista Cree delle Pianure del Canada. Gerald ha accettato l'invito a interpretare le collezioni del museo provenienti dal suo popolo e presenti a Genova dal 1892. I pezzi vengono dalle Missioni Cattoliche Americane per le celebrazioni colombiane del secolo scorso e donate alla città alla conclusione. L'allestimento porta al mondo femminile ed infantile di alcune popolazioni del Sud Dakota, i cui manufatti sono però adagiati su un letto di polvere di marmo, come segno di omaggio a popoli che abbiamo sterminato con l’alcool, le malattie, i fucili e l’avidità di materie prime e territori da conquistare per il nostro bene. Incorporare la voce indigena nella trasmissione delle collezioni, affiancando più voci e più prospettive per noi è stato fondamentale per ampliarne sia la visione sia l’interpretazione.

Cristo in Croce

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Titolo dell'opera:

Cristo in Croce

Acquisizione:

Mario Marini Montesoro 1957 Genova - donazione

Ambito culturale:

ambito peruviano

Autore:

Scuola di Cuzco

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1601 - 1800 - XVII-XVIII

Inventario:

C.I.C. 96

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 143; Larghezza: 105.6

Provenienza (nazione):

Perù, Cuzco

Tecnica:

Olio e oro zecchino su tela

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Descrizione:

Questo dipinto testimonia l’interesse dei pittori indigeni peruviani suscitato dalla pittura su tela, su influenza europea e specificatamente spagnola. Con l'arrivo dei Conquistadores spagnoli nel XVI secolo anche nuove forme di espressione artistica fanno il loro ingresso in Perù, e sotto l’influenza dei maestri di origine europea nasce la Scuola del Cuzco, dove gli Incas avevano la loro capitale. Dopo la caduta dell’Impero incaico per mano dei Conquistadores, nei secoli successivi si sviluppa in Perù un’arte creolizzata, in cui elementi indigeni si combinano con elementi di matrice europea. In questa scia si pone questa tela secentesca, in cui la ricca presenza di oro zecchino dona luce e calore e tradisce l'influenza spagnola L’artista si è cimentato con un tema che ha plasmato non solo la fede cristiana ma l’intera cultura occidentale, di cui da quel momento è entrato a far parte. Olio su tela raffigurante Cristo crocifisso vestito con perizonium in pizzo e circondato da vasi di fiori e candelabri.

Ornamento dei capi

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Titolo dell'opera:

Collana di denti di capodoglio

Acquisizione:

Enrico A. D'Albertis 1932

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Isole Figi, seconda metà del XIX secolo

Tipologia:

collana

Epoca:

XIX - 1851 - 1900

Inventario:

C.D.A.1083

Misure:

Tipo di misura: altezzaxlunghezza; Unità di misura: cm; Valore: 13x35

Provenienza (nazione):

Fiji

Tecnica:

La struttura della collana è costituita da un fascio di fibre vegetali intrecciate e da denti di capodoglio tagliati longitudinalmente e poi lavorati.

Utilizzo:

Funzione rituale e ornamentale

Descrizione:

Ornamento di grande valore indossato da capi e uomini di rango, non solo nelle Fiji ma anche a Tonga e Samoa. La collana è costituita da un fascio di cordini in fibra vegetale intrecciati in cui sono infilati, attraverso i fori passanti, ventidue denti di capodoglio (Physeter macrocephalus) levigati a forma di zanne. Ogni dente è fermato e distanziato da quello successivo da un nodo di fibra vegetale. Come altri ornamenti realizzati con denti di cetacei, le collane wāsekaseka o wāseisei erano destinate ai capi e gli uomini di rango delle Fiji. La produzione di questo ornamento si sviluppò a Tonga nei primi anni dell’Ottocento probabilmente grazie all’introduzione di utensili di metallo e a un incremento nell’approvvigionamento dei denti di capodoglio: l'avorio veniva importato e non proveniva più solamente dagli esemplari spiaggiati. L'avorio di capodoglio sostituì le meno raffinate collane vuasagale del periodo precedente, composte di denti di altri cetacei, come il globicefalo (Globicephala macrorhyncus) o la pseudorca (Pseudorca crassidens).

Maschera Nō di donna

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Titolo dell'opera:

Maschera Nō Shakumi

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898 Genova - lascito testamentario

Ambito culturale:

ambito giapponese

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giappone, periodo Edo, secolo XVII - XVIII

Tipologia:

maschera teatrale

Epoca:

1601 - 1800 - XVII-XVIII

Inventario:

M-738

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 21.2; Larghezza: 14

Provenienza (nazione):

Giappone

Tecnica:

legno intagliato e dipinto

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Descrizione:

Le maschere teatrali giapponesi sono frutto dell’arte e del talento di scultori specializzati: piuttosto piccole e modellate in modo da ottenere svariati effetti espressivi sfruttando il gioco di luci e ombre, sono tratte da un unico pezzo di legno, solitamente di cipresso, dipinto con lacche e pitture policrome. Le maschere Nō (nōmen) sono classificate in cinque caratteri principali, ciascuno comprendente numerose varietà: questa appartiene al carattere principale Onna (donna) della varietà Shakumi, una donna di mezza età. La caratterizzano l’incarnato bianco, le sopracciglia rasate e disegnate sulla parte superiore della fronte e soprattutto i denti anneriti, una pratica cosmetica tipica delle donne sposate. Le maschere rappresentanti ruoli femminili erano indossate da attori di sesso maschile, poiché la recitazione era vietata alle donne. Maschera femminile per teatro Nō "Shiro Shakumi", in legno intarsiato e dipinto raffigurante una donna adulta di mezza età di circa quarant'anni, afflitta dalla perdita di una persona amata. Il volto è ovale e dall'incarnato chiaro; la bocca, dipinta di rosso, è socchiusa e lascia intravedere l'arcata dentale superiore i cui denti sono anneriti tramite la pratica dell'ohaguro in uso all’epoca. Gli occhi sono allungati e hanno iridi dorate, le sopracciglia sono rasate e dipinte con inchiostro in polvere secondo la pratica hikimayu in uso tra le donne sposate del periodo Meiji. I capelli, con alcune ciocche sciolte, sono dipinti sulla sommità della testa e discendono lungo i lati del volto.

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