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Titolo dell'opera:

Tsuba con conchiglie

Ambito culturale:

ambito giapponese

Autore:

Echizen Ju Kinai (Scuola Kinai)

Tipologia:

paramano

Epoca:

1701 - 1800 - XVIII

Inventario:

T-568

Misure:

Unità di misura: UNR

Tecnica:

Ferro patinato inciso e traforato

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Descrizione:

Tsuba” (鐔 o più comunemente 鍔), guardia della spada/paramano. La tsuba era una parte indipendente e rimuovibile dal corpo della katana (刀) che sì, aveva come scopo originale quello di salvaguardare la mano di chi impugnava la spada, ma che diventò nel tempo sempre più un indicatore di status sociale. Si tratta di una “semplice” placca metallica di cui si hanno tracce risalenti alla fine del periodo Kofun (250 a.C.-538 d.C.), ma che a partire dal periodo Edo (1600-1868) assunse forme sempre più articolate e particolari. Se già tra il XIV e il XV si iniziarono a usare leghe a base di metalli morbidi al posto dell’acciaio per la loro forgiatura, è dal periodo Edo che presero la funzione di “indicatore di status” in quanto, quando la katana era riposta nel suo fodero (鞘, “saya”), erano l’unica parte visibile assieme all’impugnatura (柄, “tsuka”). Nella loro fabbricazione si introdusse l’uso di innesti d’oro o d’argento e si iniziarono a raffigurare elementi naturali, mitici o fantastici sulla superfice degli tsuba, che assunsero quindi forme sempre più articolate. Questo vale in particolare per la parte “esterna” o “superiore” dello tsuba detta ”omote” (表). Tsuba con festone di diciotto conchiglie.>br>Il motivo a conchiglie appartiene alla scuola Kinai 記内家, attiva in Giappone tra il XVII e il XVIII secolo. Questa scuola era affiliata alla famiglia di fabbri Yasutsugu (康継), che produceva le lame per i Tokugawa. La caratteristica distintiva dello stile Kinai è il traforo modellato a tondo ed eseguito con grande maestria. I soggetti più ricorrenti sono elementi naturalistici, e, in particolare, draghi. Questa scuola è famosa, inoltre, per le sue incisioni su lama.

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Titolo dell'opera:

Veduta del Monte Fuji nel "piccolo sesto mese"

Autore:

Totoya, Hokkei

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1837 - 1837 - XIX

Inventario:

P-0341

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 32.1; Larghezza: 54.8; Varie: Altezza montatura: 110 cm
Larghezza montatura: 66.8 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

Ultimi prestiti:

La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

La montagna giapponese per eccellenza è il Fuji(富士山, Fuji-yama) un vulcano alto 3776 m situato sull'isola giapponese di Honshū; Con i suoi 3.376 mt. rappresenta la montagna più alta del Giappone e viene considerato una delle "tre montagne sacre" (三霊山, Sanreizan) del Paese insieme al monte Tate e al monte Haku, a tal punto che gli shintoisti considerano doveroso almeno un pellegrinaggio sulle sue pendici una volta nel corso della vita. La sua cima è innevata per circa 10 mesi l’anno. Dipinto con montatura originale in seta: ichimonji in kinran a fondo giallo-aranciato con girali a stelo singolo di fiori hōsōge e fogliami; chūberi e jōge dati da un paramento unico in donsu monocromo blu-nerastro con grandi disegni di corolle di susino stilizzate; jikushi in avorio tornito. L’artista riprende la celeberrima immagine del Monte Fuji creata da Hokusai per la serie di stampe ukiyoe "Trentasei vedute del Fuji" (1830-1833); la montagna ha la cima che si staglia a destra e scende verso sinistra in un dolce declivio incurvato proprio come nelle stampe di Hokusai. Sul lato sinistro sono rappresentate foreste di conifere, come in una delle varianti di Hokusai “il Fuji rosso” e il “Fuji bianco”, mentre la nube anulare fascia le pendici con un cappuccio di neve che ricopre la cima sono innovazioni di Hokkei. L'autore della poesia kyōka 狂歌, calligrafata a sinistra, è Garyōen Umemaro, capo del circolo di poesia kyōka Hanazon-ren. I versi recitano: Ecco una montagna che non conosce stagioni Il Fuji è ammantato con la neve della veste estiva Nel tepore del piccolo sesto mese [decimo mese]. [Firmato] Garyōen Umemaro, ottavo mese, autunno dell’anno del gallo,ottavo del Periodo Tempō Per Umemaro il Fuji indossa “la neve delle veste estiva” nel “tepore del piccolo sesto mese” un nome anticamente attribuito al decimo mese del calendario tradizionale, in cui le giornate autunnali, placide e fresche, assomigliavano a quelle di inizio estate (del sesto mese). Questo genere poetico giapponese, fiorito principalmente nel periodo Edo, tratta di una forma di poesia umoristica e satirica, spesso caratterizzata da giochi di parole e un tono scherzoso. Il significato sta nel contraddire giocosamente la tradizione classica, in particolare invertendo il senso dell'antico attributo 'toki shiranu Fuji', “il Fuji che non conosce stagioni”, espressione derivata da un waka (poesia giapponese) dell'Ise Monogatari che descrive il Fuji come perennemente coperto di neve, anche in estate.

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Titolo dell'opera:

Usi e costumi popolari del Capodanno visti per strada

Autore:

Miyagawa, Chōshun

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1720 - 1720 - XVIII

Inventario:

P-0324

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 34.2; Larghezza: 471.4

Tecnica:

inchiostro, colori e oro su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Rotolo dipinto con montatura nuova in seta: hyōshi in kinran a fondo verde-azzurro con minuto motivo geometrico a scacchiera e rondelle con foglie; mikaeshi in carta decorata con kin-sunago; jikushu in legno di ciliegio naturale tornito e decorato in lacca makie con fiori e petali di ciliegio. Formato da quattro scene, il rotolo si apre con un albero di susino in fiore, davanti al quale fa il suo spettacolo un burattinaio ambulante circondato da tre bambini. Lì accanto, tra un ciliegio fiorito e un pino, un manzai vestito di un suō grigio chiaro a disegni verdi e blu, con il copricapo haberi eoshi e un ventaglio pieghevole in mano, danza al suono del tamburello da spalla del saizō e del flauto shakuhachi di due komusō. Assistono al ballo tre ragazzini e una donna con tre bambine. La seconda scena è formata da tre gruppi: due anziani venditori di utensili da thé che portano rami di pino augurali; due fanciulli che si girano a guardare uno yamabushi che sta suonando una conchiglia ed è in compagnia di un attendente che porta sulla schiena un enorme cappello a forma di foglia di loto; un elegante attore effemminato accompagnato da un ragazzino e seguito da un servitore che trasporta un kimono. L'apertura del terzo episodio è segnata da un susino rosso. Un prete shintoista avanza con un bastone rituale munito di cartigli. Gli viene incontro una cortigiana che tiene per mano un bambino ed è seguita da un ragazzino effemminato e da una cameriera con un infante in spalla. Il gruppo desta la curiosità di un ambulante. A breve distanza, seguita da due cameriere che portano fagotti, una dama incede coprendosi il capo con una mantiglia e si gira all'indietro in direzione di un uomo con un'enorme maschera di leone cinese che sta per iniziare una danza al ritmo del kankaradaiko. Nei pressi stanno in ascolto due uomini e un bambino ciechi e un suonatore di liuto che si allontana a lunghi passi, con lo strumento in spalla avvolto in un telo bianco. La quarta scena inizia presso alcuni ciliegi in fiore. Una donna con i capelli ravvolti in una cuffia grigia incede insieme a un bambino e a una bambina, mentre in senso opposto procede una sacerdotessa shintoista accompagnata da un servo che porta un bauletto a stanga. Per ultime vengono tre Ōharame che trasportano fascine di legna da ardere. Chiude la composizione un ruscello che serpeggia tra rive erbose.

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Titolo dell'opera:

Parodia al femminile dei Sette Filosofi della Foresta di Bambù

Autore:

Teisai, Hokuba

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1830 - 1844 - XIX

Inventario:

P-0316

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 55; Larghezza: 119; Varie: Altezza montatura: 168.3 cm
Larghezza montatura: 128.3 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

I sette saggi sono sette letterati taoisti cinesi del III secolo che, rifiutando il pensiero confuciano e le pratiche sciamaniche wu, si ritirarono in un eremo per essere indipendenti e perpetuare la filosofia wuwei. A partire dal XVIII secolo, in Giappone, cominciano a comparire delle raffigurazioni parodistiche di questo tema, dove ai sette saggi sono sostituite sette belle donne o cortigiane, come in questo caso. Queste donne, di diversa estrazione sociale, sono raffigurate ognuna in una posa che fa risaltare al meglio i punti di forza di ogni abito (dalla sontuosa veste della cortigiana decorata con una tigre, attraverso eleganti kimono fino a semplici vesti da bagno, yukata) ciò fa supporre che il dipinto sia stato commissionato da una sartoria come stratagemma pubblicitario, per mostrare la qualità e l’ampia gamma di prodotti in vendita, accessibili a tutte le classi. La donna al centro, che tiene in mano una tazza da tè, indossa distrattamente una veste yukata a fondo azzurro su cui spiccano dei pipistrelli blu, stilizzati e in volo. Il fatto che artista e committente abbiano deciso di pubblicizzare proprio questo motivo, testimonia quanto fosse richiesto e popolare. Dipinto con montatura originale Tamato rinbo in seta: ichimonji in atsuita policromo con motivo geometrico Bishamon-kikkō; chūberi in tessuto operato a fondo blu con girali e peonie; jōge in raso color avorio; jikushu in legno e lacca bruna urumi urushi intarsiata in madreperla iridescente sottile con fiori hōsōge. L'opera raffigura sette donne in un'ampia stanza chiusa ad angolo sul lato sinistro da un grande paravento a due ante, dipinto a inchiostro con alcune piante di bambù presso un torrente. Quattro figure sono sedute mentre le restanti sono stanti. Si tratta di una raffigurazione in chiave parodistica dei Sette Filosofi della Foresta di Bambù. Il soggetto è preso a pretesto per rappresentare tipi femminili di diversa estrazione sociale: una oiran, una ragazza di città che si accinge a scrivere una poesia su un cartiglio tanzaku, una geisha con lo shimasen, le probe e benestanti mogli di un mercante e di un artigiano, due cameriere.

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Titolo dell'opera:

Tigre fra i bambù che guarda la luna piena

Autore:

Katsushika, Hokusai

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1818 - 1818 - XIX

Inventario:

P-0277

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 103.7; Larghezza: 33.1; Varie: Altezza montatura: 182 cm
Larghezza montatura: 44 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

D'antica origine cinese, il tema della tigre fra i bambù simboleggia il forte che trova riparo presso il debole ed è basato su un detto popolare secondo il quale solo questo animale è in grado di penetrare nel folto di una foresta di bambù. Siccome la tigre non è un animale autoctono del Giappone, i pittori non potevano osservarla dal vero, ecco perché il modo in cui la tigre è qui rappresentata non è realistica: l'iconografia locale è in parte derivata dalla pittura cinese e coreana, in parte è frutto di fantasia. Simbolo di forza e di coraggio nella tradizione cinese, la tigre è ritenuta capace di combattere e deviare le potenze negative ed è portatrice di una fisionomia leggendaria, mitologica e cosmologica. Annoverata tra i shishin, le "Quattro Creature Sacre" (le altre tre sono il drago, l'uccello vermiglio, la tartaruga con serpente), nella cosmografia arcaica (che comprendeva i punti cardinali, le stagioni, i colori, gli elementi naturali e le stelle) la tigre è associata all'occidente, all'autunno, al colore bianco, al vento e alle costellazioni di Orione, del Toro e di Andromeda. Inoltre, nello zodiaco è il terzo animale eponimo dei sottocicli di dodici anni, motivo per cui la datazione del dipinto si orienta intorno al 1818, anno della tigre e ultimo anno dell'era Bunka. Dipinto con montatura originale Yamato hyōgu in seta: ichimonji e fūtai in kinran a fondo nocciola con disegni di onagadori in volo alternati a fiori; chūberi in donsu bicromo a fondo verde con disegni color avorio di steli e foglie di asaro; jōge in shikeginu color crema; jikushu in avorio tornito. L'opera raffigura una tigre accosciata presso due canni di bambù disposte diagonalmente. L'animale guarda il cielo nel quale splende un'enorme luna piena. Nel dipinto ricorrono le tipiche sembianze delle tigri dipinte in Giappone: naso stretto e molto schiacciato, orecchie minuscole e aguzze, occhi enormi, zampe grosse e artigliate.

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Titolo dell'opera:

Trio di suonatrici di kokyū, koto e shamisen

Autore:

Katsushika, Ōi

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1818 - 1830 - XIX

Inventario:

P-0256

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 29.7; Larghezza: 59; Varie: Altezza montatura: 93 cm
Larghezza montatura: 62.9 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su carta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

L’opera è attribuita Katsushika Ōi, figlia del famosissimo Katsushika Hokusai. I lavori di Katsushika Ōi si distinguono per degli elementi di innovazione rispetto alla tradizione, che era caratterizzata da figure stilizzate e colori piatti: qui al contrario si ha l’utilizzo di giochi di luci e ombre, la sperimentazione con la prospettiva occidentale e la dinamicità delle scene, data dall'andamento curvo delle figure e dall’inusuale decisione di rappresentare una delle suonatrici di schiena, dando ancora più naturalezza e profondità alla scena.
Come la maggioranza delle opere di Ōi il dipinto non è firmato ma la tecnica, la qualità pittorica e il peculiare chiaroscuro rendono sicura la sua attribuzione alla pittrice. Dipinto con montatura non classificata costituita da un unico paramento in seta canneté con disegni di peonie broccate in argento; bordino rosso con disegni in oro a contorno del dipinto; jikushu in legno e lacca rossa screziata di nero tipo Negoronuri. Un trio di suonatrici siede in un interno, esibendosi in un concerto sankyoku di musica tradizionale, genere musicale giapponese d’insieme composto dal trio strumentale kokyū, koto e shamisen. L'ambiente è pervaso da una penombra suggestiva e rischiarato da un'invisibile sorgente luminosa che getta bagliori sugli strumenti, sui corpi e sui volti incipriati delle musiciste. Presa dalla musica, la suonatrice di kokyū, sulla sinistra, tiene il viso inclinato e sorride: indossa un kimono celeste cosparso di corolle di susino stilizzate sopra una sottoveste scarlatta. La suonatrice di shamisen, a destra, probabilmente una geisha d'età matura, indossa un sobrio abito a quadretti bianchi, grigi e neri. La cortigiana d'alto rango che suona il koto al centro della scena è vista di spalle, colta mentre muove agilmente le dita sulle corde. Le ampie falde della veste e dell'obi sono immerse in una zona d'ombra in primo piano. La luce batte sul lato destro della figura, attraversando i numerosi spilloni infilati a raggiera nell'acconciatura.

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Titolo dell'opera:

Passeggio al fresco della sera sul Fiume Kamo presso la Shijō a Kyōto

Autore:

Chōbunsai, Eishi

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1801 - 1818 - XIX

Inventario:

P-0240

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 95.8; Larghezza: 33.1; Varie: Altezza montatura: 154.3 cm
Larghezza montatura: 37.1 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Ancor oggi punto nevralgico del centro di Kyōto, all'inizio del XVII secolo il ponte della Shijō divenne il punto focale della nuova cultura dei chōnin, con particolare riguardo all'insorgenza del "Kabuki di donne" (onna Kabuki), la prima forma di teatro popolare. Proprio in quel tratto, il letto asciutto dal Kamogawa si trasformava durante l'estate in uno spazio pubblico adibito ad ogni sorta di intrattenimenti, tra cui le esibizioni della compagnia di Okuni, la diva iniziatrice del Kabuki, la cui impresa teatrale è commemorata da una statua moderna a lei dedicata, posta sulla riva sinistra presso l'imbocco del ponte. Dipinto con montatura originaria fukuro minchō shitate in shikeginu color nocciola; jikushu in avorio tornito. Raffigura, con colori tenui e freddi appena ravvivati da alcuni tocchi accesi, la passeggiata lungo il fiume Kamo e, nello specifico, il percorso passante per il ponte Shijō, lungo la quarta strada di Kyōto. Una grande folla si accalca lungo il tragitto.

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Titolo dell'opera:

Cortigiana in piedi che legge una lettera

Autore:

Kubo, Shunman

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1784 - 1784 - XVIII

Inventario:

P-0235

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 81.4; Larghezza: 33.1; Varie: Altezza montatura: 159 cm
Larghezza montatura: 42 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Nel quartiere dei piaceri di Yoshiwara vigeva un complesso galateo che, nel regolare e formalizzare i rapporti tra cortigiana e cliente, esigeva che dopo ogni incontro i due si scambiassero lettere appassionate, riconfermando e rinsaldando il loro legame. Le immagini di yūjo intente a scrivere, aprire e leggere lettere d'amore rappresentavano una grande lusinga per il narcisismo maschile: si può pensare che questo dipinto di Shunman e uno con stesso tema di Shinsai siano stati commissionati dai danna, gli amanti fissi delle cortigiane. Questo importante fenomeno socio-culturale, estetico e figurativo del "culto della cortigiana" pervase gli ambienti intellettuali e letterari ukiyoe di Edo durante gli anni ottanta del XVIII secolo, esprimendo una forte idealizzazione delle donne di piacere, della loro sapienza letteraria e poetica, delle loro raffinate doti di cultura e umanesimo. Dipinto con montatura originale sujiwari hyōgu in carta shikegami color grigio chiaro con bordini violetti; jikusho in legno e lacca rossa. L'opera raffigura una cortigiana stante rappresentata di tre quarti. La donna è intenta a leggere una lunga missiva amorosa che tiene aperta, srotolata tra le mani. Ha i capelli sciolti ed indossa un soprabito decorato con un albero di susino in fiore, formante un ricco strascico arrontondato alla base della figura. La veste è decorata con onde a embrice stilizzate. L'obi, legato in un nodo lasco e rigonfio con le due falde pendenti sul davanti, è adorno di un disegno di spezzoni sparsi con tre "scaglie di tartaruga".

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Titolo dell'opera:

Le Sette Divinità della Fortuna

Ambito culturale:

ambito giapponese

Autore:

Torii, Kiyonaga - Utagawa, Kunisada - Utagawa, Toyoharu - Utagawa, Toyokuni - Katsushika, Hokusai - Utagawa, Toyohiro - Katsukawa, Shun'ei

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1810 - 1813 - XIX

Inventario:

P-0207

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 67.6; Larghezza: 81.6; Varie: Altezza montatura: 182 cm
Larghezza montatura: 93.8 cm

Tecnica:

inchiostro, colori e oro su seta

Ultimi prestiti:

La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Le Sette Divinità della Fortuna (Shichifukujin) sono divinità portatrici di felicità, buona sorte, amore, bellezza, longevità, coraggio, saggezza, prosperità e ricchezza, e comprende figure originarie di diverse regioni dell'Asia (Cina, India, Giappone) e riconducibili a diverse religioni (Buddhismo, Taoismo e Shintō). Il gruppo è costituito da sei figure maschili e una femminile, formatosi nel periodo Muromachi, ma il loro culto si diffuse e divenne molto popolare presso il ceto urbano degli artigiani e dei mercanti durante il periodo Edo. Secondo la credenza, i Shichifukujin viaggiano sulla "barca dei tesori" (takarabune) e arrivano in Giappone la mattina di Shōgatsu, il primo giorno dell'anno, recando favorevoli auspici per l'abbondanza dei raccolti e la ricchezza (Daikokuten), il nutrimento quotidiano (Ebisu), la lunga vita (Fukurokuju), la felicità e la buona sorte (Hotei), la saggezza (Jurōjin), il coraggio (Bishamonten), l'amore, la bellezza e il talento canoro (Benzaiten). A motivo di queste capacità propiziatrici, l'icona augurale dei Shichifukujin veniva esposta a Capodanno nel tokonoma, nella stanza del tatami. Oltre a rappresentare un'importante caso in seno alla storia della pittura ukiyoe, il dipinto documenta le strette relazioni dei quattro maggiori esponenti della Scuola Utagawa. Dipinto con montatura originale sandan hyōgu in seta: ichimonji in kinran a fondo blu intenso con disegni di girali con foglie e germogli di loto; chūberi in kinran fondo avorio con disegni shōchikubai di bambù, pino e fiori di susino; jōge in donsu monocromo blu scuro con disegni di fiori; jikushu in porcellana di Kutani con smalti rosso e oro sopra coperta. L'opera raffigura i Shichifukujin, le Sette Divinità della Fortuna e riunisce l'opera di sette pittori: Utagawa Toyoharu (1735-1814), Utagawa Toyokuni (1769-1825), Utagawa Toyohiro (1773-1828), Utagawa Kunisada (1786-1864), Torii Kiyonaga (1752-1815), Katsushika Hokusai (1760-1849), Katsukawa Shun'ei (1762-1819). A questi si aggiunsero i fratelli Santō Kyōden (1761-1816) e Santō Kyōzan (1769-1858). Ognuno degli artisti coinvolti nell'impresa dipinse le figure e i dettagli che troviamo in quest'opera: in particolare ciascuno di loro prese come soggetto una delle figure divine in funzione alle caratteristiche dell'artista, apportando a fianco la firma. Utagawa Toyoharu realizzò Jurojin al centro della composizione con un gomito appoggiato a una balla di riso mentre guarda in direzione di Daikokuten. Utagawa Toyokuni, allievo del precedente, realizzò Daikokuten secondo la classica iconografia con il copricapo maruzukin, il mazzuolo e il grande sacco di ricchezze mentre la dea Benzaiten, con in mano lo strumento musicale biwa, e un piccolo torii (il portale del santuario Shinto) come diadema è stata dipinta da Utagawa Kunisada. Bishamonten, dipinto da Torii Kiyonaga, è reso con la usuale armatura mentre brandisce una lancia. Fukurokuju, opera di Katsukawa Shun'ei, è riconoscibile dalla testa oblunga mentre sta seduto in disparte, quasi oscurato dal grande Hotei che, panciuto e sorridente, venne raffigurato da Katsushika Hokusai. Infine, Ebisu venne ritratto da Toyohiro Utagawa mentre ride soddisfatto con i gomiti appoggiati a una cesta contenente un grande dentice rosso. La poesia presente sull’opera è invece composta e firmata Santō Kyōden e calligrafata e firmata da Santō Kyōzan.

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Titolo dell'opera:

Giovinetta che esegue la danza del cavallo di primavera

Autore:

Katsukawa, Shunshō

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1782 - 1783 - XVIII

Inventario:

P-0193

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 99.8; Larghezza: 33; Varie: Altezza montatura: 179.2 cm
Larghezza montatura: 44.1 cm

Tecnica:

inchiostro, colori e oro su seta

Ultimi prestiti:

La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Originaria dell'isola di Sado (odierna Prefettura di Niigata) dove viene ancor oggi eseguita, la harugoma è una danza cerimoniale che in passato si teneva ovunque in Giappone all'inizio della primavera a Shōgatsu, il primo mese del calendario lunare, per propiziare le sorti dell'annata. Gli interpreti erano kadozukegeijin, saltimbanchi girovaghi che andavano di casa in casa e, dopo aver pronunciato una formula augurale, cantavano e danzavano davanti all'ingresso principale, talora indossando un costume con maschera a protome equina, o recando un bastone con una piccola scultura in cima raffigurante una testa di cavallo munita di briglie. Questa danza passò dal repertorio degli spettacoli ambulanti a quello del teatro Kabuki, dove cominciò a essere eseguita durante il periodo Genroku (1688-1704). Il novembre del 1782 fu il momento culminante della popolarità teatrale dell'harugoma, con la prima rappresentazione dello spettacolo "Mutsumashi tsuki no tetori", che richiamò un pubblico foltissimo anche a Yoshiwara e che, in ragione del suo successo, fu probabilmente replicato fino all'anno seguente. Queste circostanze ci inducono a pensare che Shunshō abbia dipinto l'opera in concomitanza con la popolarità della danza harugoma tra il 1782 e il 1783. Dipinto con montatura nuova Yamato hyōgu in seta: ichimonji e fūtai in hiraori bianco ricamato in seta policroma e oro con girali e fiori; chūberi in donsu bicromo nocciola e verde con motivo a saetta; jōge color avorio; jikushu in legno e lacca bruno-rossiccia semilucida. L'opera raffigura una giovane donna intenta a eseguire la harugoma, una danza cerimoniale che in passato si teneva all'inizio della primavera a Shōgatsu. La figura è disposta di tre quarti e si solleva in equilibrio sulla punta del piede sinistro, piegando all'indietro la gamba destra. La ragazza volge la testa per guardare il bastone, cimato da una piccola scultura a protome equina, che regge nella mano destra. Con la sinistra, invece, manovra le briglie scarlatte che si è passata dietro al collo. La giovane indossa un kimono a grandi righe sbieche celesti e grigie, con corolle di ciliegio fluttuanti. Le lunghe maniche sono guarnite ai polsi da nastri grigi, rossi e verdi. Un fazzoletto marrone le copre il capo ed è annodato sotto il mento. L'abito è chiuso da un obi di velluto nero ricamato a spirali verdi infiorettate d'oro e amaranto. Sul lato sinistro del dipinto spunta il tronco di un susino, con rami punteggiati di boccioli e qualche fiore aperto.

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