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Corneille De Lyon (The Hague, 1500 - Lione, 1575)
Olio su tavola di rovere, cm. 16 x 12
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Corneille De Lyon (The Hague, 1500 - Lione, 1575)
Olio su tavola di rovere, cm. 16 x 12
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Jan Van Scorel (Schoorl, 1495 - Utrecht, 1562)
Olio su tavola, cm. 131 x 102
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Scuola fiamminga
Olio su tavola, cm. 112 x 91
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Jan Massijs (Anversa, 1509 - ante 1575)
Olio su tavola di noce, cm. 78 x 60
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Jan Massijs (Anversa, 1509 - ante 1575)
Olio su tavola di rovere, cm. 126 x 93
Il soggetto che Jan Massijs affronta in questo dipinto è la rappresentazione allegorica della Carità cristiana, una delle tre Virtù Teologali. Secondo la tradizione iconografica, essa è raffigurata come una madre nell’atto di allattare un bambino, mentre altri due le stanno in grembo. La presenza di tre bimbi – le tre virtù – vuol significare che la Carità, “sebbene sia una sola ha nondimeno triplicata la
sua forza” (Cesare Ripa), riassumendo in sé anche le qualità della Fede e della Speranza.
Massijs eseguì questa tavola durante il periodo dell’esilio (1544-1555), in cui, allontanato dalle Fiandre per la sua vicinanza alle idee luterane, si recò in Francia e in varie parti d’Italia, soggiornando a Genova, probabilmente intorno al 1549-1550.
La Carità di Palazzo Bianco è un esempio mirabile ed emblematico della sintesi che i pittori di Anversa tentavano di operare intorno alla metà del Cinquecento fra la cultura manierista romana, ormai patrimonio internazionale, e la tradizione fiamminga.
I riferimenti, per non dire le citazioni, a modelli italiani appaiono ben chiari: la stesura del paesaggio è di evidente matrice leonardesca, mentre la composizione rimanda a Raffaello, Michelangelo e persino a Correggio.
Ciò che più colpisce, tuttavia, è il particolare atteggiamento dialettico di Massijs nei confronti di tali esempi, che rende questo dipinto non un tentativo di imitazione o emulazione, bensì un’opera originale e unica.
Gli scorci paesaggistici che aprono in profondità il dipinto esaltano lamonumentale figura in primo piano. La statuaria e prorompente sensualità della donna è raggelata e bloccata dall’elegante rigore geometrico della composizione, giocata su solidi volumi plastici, cui fa riscontro la precisa definizione dei contorni e la smaltata trasparenza dei colori. Gli elementi architettonici classicheggianti costituiscono ulteriore conferma dell’opzione culturale “romanista” del pittore.
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Joachim Beuckelaer (Anversa, circa 1534 - Anversa? circa 1574)
Olio su tavola, cm. 203 x 103. Monogramma sulla tinozza: "JB"
Acquistata ad Anversa dal nobile genovese Gio. Agostino Balbi durante il suo soggiorno nelle Fiandre, che si protrasse dal 1595 al 1621, questo dipinto, insieme con La cuoca di Aertsen, contribuì significativamente alla diffusione, a Genova, di tematiche di genere che incontrarono da subito il gusto della emergente classe borghese e mercantile, incline a veder rappresentati concretamente aspetti della vita quotidiana nonché gli abbondanti frutti delle ricchezze accumulate.
Questi testi pittorici giocarono, dunque, un ruolo determinante nello sviluppo della pittura genovese; basti pensare a dipinti come la famosissima Cuoca di Bernardo Strozzi o al Pifferaio dello stesso maestro, impensabili nel panorama della pittura italiana senza l’apporto e l’influsso di questi maestri del Nordeuropa.
Nipote di Pieter Aertsen e suo allievo, Beuckelaer si cimentò soprattutto in scene di interni, di cucine e di mercati, con uno stile assai riconoscibile, in cui a una composizione piuttosto rigida dove le figure umane, raffigurate in gesti bloccati e statuari, non hanno la varietà e la vividezza del ritratto ma sono piuttosto dei tipi, si contrappone una descrizione dettagliata e spesso movimentata di oggetti, animali, suppellettili, eseguiti con maestria.
La scansione minuziosa della realtà, tuttavia, non è in contraddizione con un eventuale significato simbolico di alcuni oggetti rappresentati come l’edera che, secondo una simbologia diffusa, significa la vita che si rigenera e quindi anche la Resurrezione di Cristo e la presenza dell’uovo emblema della perfezione divina, della fecondità e della vita.
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Cristo dolente in atto di benedire
Viezzoli M. C. 1953 Genova - acquisto
Memling, Hans
Scomparto di dittico dipinto
1480 - 1490 - XV
PB 1569
Unità di misura: cm; Altezza: 53,4; Larghezza: 39,1
olio su tavola
Hans Memling - Bruges - 1994
Hans Memling al Louvre - Parigi - 1995
Firenze e gli antichi Paesi Bassi - Livorno - 2008
Peinture flamande et hollandaise - Strasburgo - 2009
Memling. Rinascimento fiammingo - Roma - 2014-2015
Passion. Face of Christ - Lussemburgo - 2016
Nato in Baviera, presumibilmente intorno al 1435, nessuna traccia documentaria rivela vicende della sua vita fino alla data del suo trasferimento a Bruges avvenuto nel 1465. La stretta dipendenza stilistica delle sue opere giovanili nei confronti della pittura di Rogier van der Weyden confermerebbe indirettamente le fonti storiografiche che lo descrivono come allievo e collaboratore del maestro di Bruxells. Il Cristo dolente, acquistato dal Comune di Genova nel 1953, proviene dalla collezione fiorentina dei marchesi Tempi ed è unanimemente riconosciuto come il prototipo autografo di una serie di immagini analoghe di cui esistono oltre una dozzina di versioni, quasi tutte di mano italiana. Alcune di queste furono eseguite a Firenze nel 1500, fatto che sembra rafforzare l’ipotesi di una presenza dell’opera in questa città ab antiquo. Due di queste copie, rispettivamente conservate al Musée dex Beaux-Arts di Digione e di Strasburgo, sono pervenute come pannelli di un dittico accoppiate a una Mater Dolorosa, la Vergine a mezza figura in preghiera con il volto inondato di lacrime, secondo un’iconografia devozionale affermata nei Paesi Bassi già a metà del XV secolo. La versione autografa della Madonna, probabile pendant della tavola genovese, è stata recentemente individuata in una collezione privata inglese. L’opera originaria era quindi costituita da due pannelli di cui la tavola genovese con il Cristo dolente a mezzo busto costituiva lo scomparto sinistro e la Vergine in collezione inglese quello destro; le due parti erano messe in relazione dal gesto del Cristo, il cui braccio destro in posizione benedicente oltre che suggerire un effetto tridimensionale doveva creare una relazione fra le figure. Nella composizione, costruita con un impianto essenziale di grande impatto emotivo, la minuziosa descrizione di alcuni particolari come la corona di spine con il sangue che scende lungo il volto, le lacrime e le stigmate, rivela la straordinaria e raffinata tecnica pittorica di Memling. (Besta, 2010) Il dipinto rappresenta il ritratto in primo piano di Cristo dolente con la corona di spine in atto di benedire.
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Maestro fiammingo fine XV sec.
Olio su tavola, cm. 51 x 39
Sede:
Comune di Genova - Palazzo Tursi
Via Garibaldi 9 - 16124 Genova
C.F. / P.iva 00856930102