Ritratto di gentiluomo fiorentino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giorgio Vasari (Arezzo, 1511 - Firenze, 1574)

Tecnica e misure:

Olio su tavola di pioppo, cm. 88 x 64

Questo Ritratto, realizzato da Giorgio Vasari, presenta una figura maschile posta di tre quarti: i pochi elementi presenti nel dipinto, come il fazzoletto candido, elemento di spicco all’interno della bellissima gamma cromatica di rosati, o i guanti tenuti con noncurante eleganza, consentono di pensare che si tratti di un gentiluomo fiorentino. La scarsella aperta era, peraltro, il tipo di borsa in uso nella città toscana tra la fine del Quattrocento e le soglie del Cinquecento. Allo stesso periodo appartengono i capi di vestiario, in particolare lo zuccotto e la camicia, caratterizzata dal brevissimo collo che fuoriesce dalla giubba. Vasari, pittore, letterato e autore delle celeberrime Vite de’ più eccellenti architetti, scultori e pittori, volle forse ritrarre il gentiluomo in un’epoca un poco precedente, secondo il filone ritrattistico in voga dagli inizi del Cinquecento. Infatti, Firenze, persa ormai ogni traccia della libertà repubblicana e sempre più provinciale, intorno al 1550 cerca in ogni occasione la celebrazione esteriore della gloria passata.

I santi Sebastiano, Giovanni Battista e Francesco (tavola centrale) (1503) e Madonna col Bambino (cimasa)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Filippino Lippi (Prato, 1457 - Firenze, 1504)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 298x185 e Olio su tavola, cm. 95x 185- firmata e datata sulle architetture dietro san Sebastiano: “Philippinus Florentinus Faciebat”; “A.D. M.CCCCC.III-”. L’iscrizione “Napoleonis Lomelllini Proprietas” è stata apposta nel 1858

Capolavoro assoluto delle collezioni civiche, questa tavola con cimasa è opera di uno dei pittori più interessanti e innovativi della scuola fiorentina di secondoQuattrocento, Filippino Lippi, figlio del frate carmelitano Filippo Lippo, anch’egli pittore di primo piano nella Firenze del XV secolo.
La pala, realizzata tra il 1502 e il 1503 per la committenza di Francesco Lomellini, personaggio in vista del mondo politico genovese e avveduto committente, è eccellente esempio delle qualità pittoriche e dell’originalità di concezione della pittura di Filippino: la sua arte, infatti, testimonia l’incontro tra la grande tradizione rinascimentale toscana, con la sua attenzione al naturale e alla figura umana studiata nel suo rapporto con lo spazio, e un nuovo più inquieto sentire, che segna, già sullo scorcio del secolo, il superamento delle certezze, dell’equilibrio e della misura della prima stagione di “rinascita” del Quattrocento. Le figure di Filippino, infatti, sono insolitamente allungate e asciutte, caratterizzate da una accentuazione patetica che si allontana dalla bellezza delle forme del primo “classicismo” rinascimentale.
La tavola di Palazzo Bianco è perfetto esempio della poetica del pittore, trovando, anche nelle architetture che inquadrano i santi rappresentati, elementi di bizzarria altamente significanti: le antiche arcate in rovine – simbolo del trionfo dei valori cristiani sul mondo pagano – sono infatti dipinte in scansione non regolare e spicca la presenza di una colonna in marmo rosso poco coerente con il resto della costruzione; inoltre il san Sebastiano trafitto da frecce non è dipinto perfettamente in asse rispetto al basamento sul quale posa, assumendo una postura volutamente instabile.
Ad arricchire la complessità dei rimandi simbolici è la presenza, sulla sinistra della composizione, di una biscia nascosta tra le fessure degli antichi marmi, simbolo negativo di infedeltà contrapposto alla lucertola, animale di Dio, sempre riscaldato dai raggi del sole; e ancora, l’epigrafe sulla mensa ornata da arpie su cui è posto san Sebastiano reca l’iscrizione “Imp. Dio. Et. Max”, che colloca la vicenda del martirio sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano. È opportuno sottolineare, osservando l’accuratezza dei rilievi di questa base marmorea, che lo stesso Vasari ricorda l’uso frequente da parte di Filippino “delle cose antiche di Roma”.
Merita attenzione l’accuratezza di dettagli del paesaggio di fondo a destra, con figurine in abiti contemporanei e la cimasa con una Madonna con Bambino tra due angeli, dai raffinati accordi cromatici. Il dipinto, inviato a Genova da Firenze, reca data e “impresa” personale del pittore – l’acrostico Glo/Vi/s – sul retro.

Sacrificio di Isacco

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giuseppe Vermiglio (Alessandria, 1585-1635)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 117,3 x 145

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San Gerolamo (Van Somer)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Hendrik Van Somer (Lokeren, 1607 – Napoli, 1656 circa)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 136 x 97

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La decollazione di S. Giovanni Battista

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovan Battista Crespi detto il Cerano (Romagnano Sesia, 1573 – Milano, 1632)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 61,4 x 48

Piccola, ma notevole, la tela che raffigura la decollazione del Battista reca la cifra dell'artista lombardo e si caratterizza per la grandiosità compositiva e i forti contrasti di luce. Questo dipinto  proviene dalle collezioni degli Ospedali Civili di Genova.

San Giovanni Battista nel deserto (De Ferrari)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Gregorio De Ferrari (Genova, 1647-1726)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 130 x 156

Anche in questo dipinto dell’artista ligure è presente il movimento: le rocce e le ombre delle palme sembrano giocare con la figura del santo. 
Il San Giovanni Battista nel deserto, col suo pendant San Gerolamo nel deserto, è un’opera ricca di citazioni dal Bernini, eseguita nei primi anni del 1670, periodo in cui l’artista era tornato a Genova e meditava sulle fonti barocche della propria cultura.

 

 

 

Salomé con la testa del Battista

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Titolo dell'opera:

Salomè con la testa del Battista

Acquisizione:

E. L. Peirano 1926 - legato

Autore:

Stomer, Matthias

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1601 - 1700 - XVII

Inventario:

PB 1997

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 95; Larghezza: 85

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Verdammte Lust! Kirche. Korper. Kunst - 2023 - Frisinga (Germania)

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Descrizione:

Restituito correttamente alla mano di Matthias Stom da Attilio Podestà (Podestà in "Studi di storia dell'arte" 1971, pp. 249-255), il dipinto rappresenta una procace Salomè a mezza figura che tiene tra le mani, appoggiandosi a un tavolo, un bacile d'argento contenente la testa livida del Battista, martirizzato per volontà di Erode proprio per compiacere la bella Salomè, figlia di sua moglie, Erodiade. I colori dalle tonalità squillanti, e la luce chiara contrastano con il tipico carattere notturno di molti dei dipinti realizzati da Stom in Italia, rivelando piuttosto la matrice nordica della sua formazione. Vista la fortuna riscontrata dalla produzione del pittore a Genova (Zennaro 2011, I, pp. 371-376), non si può escludere per quest'opera una committenza o un acquisto per conto di un collezionista genovese, per quanto nulla si sappia ancora della sua provenienza storica. (Priarone in Frisinga 2023, pp. 186-189) Il dipinto rappresenta Salomè affiancata dalla sua ancella, mentre stringe tra le mani un piatto d'argento contenente la testa di Giovanni Battista.

Decollazione di san Giovanni Battista (circa 1617)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone (Morazzone, 1573 - Piacenza, 1626)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 112 x 82,5

Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone fu, insieme a Cerano e Procaccini, uno dei maggiori interpreti delle istanze post-tridentine dellaMilano dei Borromeo, i quali fecero dell’esportazione di artisti lombardi un veicolo di celebrazione familiare e di propaganda religiosa. Genova fu uno dei luoghi dove tale diffusione fu più intensa e profonda, tanto da influenzare il complesso percorso stilistico di molti pittori locali.
Anche per via del soggetto il dipinto potrebbe essere, dunque, una delle opere eseguite da Morazzone durante il suo ipotizzato soggiorno genovese nel 1617, destinato a soddisfare il gusto di qualche colto collezionista, di cui, tuttavia, si ignora l’identità.
Le piccole dimensioni, che hanno fatto erroneamente pensare a un bozzetto, non devono indurre a sottovalutare questo che, a buon diritto, può essere considerato un capolavoro del Morazzone: complesso nella costruzione e nel dominio dello spazio, forte nella comunicazione emotiva, aristocratico negli esiti formali.
Dalla tetra oscurità di una prigione, uno squarcio di luce irrompe a rivelare l’atto cruento appena compiuto: domina la scena il carnefice, possente nella corporatura, che segna la profondità diagonale del quadro con la posa delle gambe e del braccio teso a sollevare la testa recisa del Battista, prima di posarla nel piatto, dinanzi a una Salomè che la guarda languida, quasi estasiata. Il corpo livido del santo è disteso a terra, mentre altri testimoni, carcerati e carcerieri, assistono attoniti. Solo la protome leonina, in rilievo sullo scudo di un armigero, rivolge il suo terribile ruggito verso lo spettatore.

Simon Vouet "David con la testa di Golia"

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Titolo dell'opera:

David con la testa di Golia

Acquisizione:

Giovanni Battista Cambiaso 1923 Genova - acquisto

Autore:

Vouet, Simon

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1620 - 1622 - sec. XVII

Inventario:

PB 2201

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 121; Larghezza: 94

Tecnica:

olio su tela

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Van Dyck a Genova. Grande pittura e collezionismo - Genova - 1997
Vouet - Parigi - 1991
Valentin - Parigi - 1974

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Descrizione:

Simon Vouet, pittore caravaggista francese, dovette eseguire la tela fra il 1620 e il 1622, anni in cui è attestato un suo soggiorno a Genova. In particolare, nell’estate del 1621 egli fu ospite nella villa di Sampierdarena dei fratelli Marcantonio e Gio. Carlo Doria, fra le personalità di maggior spicco in città sia per capacità economiche, sia per essere eccellenti mecenati, committenti e collezionisti di opere d’arte. Qui egli realizzò vari dipinti, fra cui probabilmente una Santa Caterina, un ritratto del suo ospite e mecenate, e il dipinto in esame, che, in pendant con una Giuditta, tuttora in collezione privata, si trovava nella residenza cittadina di Gio. Carlo Doria in vico del Gelsomino, l’attuale via David Chiossone. Il dipinto raffigura David che regge il capo di Golia, mostrando il momento in cui il ragazzo, quasi attonito, volgendo lo sguardo in un punto al di fuori del quadro e reggendo l’enorme testa del gigante con la mano sinistra, sembra riflettere sulla grandiosità del gesto, compiuto con l’aiuto di dio. I raffinati accostamenti di colore, il movimento impalpabile suggerito dall'uso della luce, la ricerca introspettiva, il realismo, le scelte compositive rigorose restituiscono una severa rivisitazione della lezione di Caravaggio, tanto che il David è stato definito "le plus caravagesque de toutes ses ouvres connues". Come nelle migliori opere del Merisi è la luce l’altro grande protagonista della composizione. Questa, da una fonte esterna lambisce quasi tutta la figura di David, avvolgendolo in una posa estatica, quasi fosse in preda a una divina visione. Passato alla famiglia Cambiaso nel XVIII secolo, il dipinto fu acquistato dal Comune di Genova per Palazzo Bianco nel 1923. Il dipinto rappresenta Davide con in mano la testa di Golia.

Caravaggio, Ecce Homo, ph: Visconti 2011

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Titolo dell'opera:

Ecce Homo

Acquisizione:

1908 ? Genova - acquisto

Autore:

Caravaggio, Merisi Michelangelo

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1605 - 1605 - sec. XVII

Inventario:

PB 1638

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 128; Larghezza: 103

Tecnica:

olio su tela

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Descrizione:

La tela è registrata per la prima volta a inizio anni Venti nell’inventario di Palazzo Bianco come “Lionello Spada (copia)”, senza indicazione di provenienza; considerata evidentemente di modesto valore, viene trasportata nel 1929 nella villa Cambiaso di proprietà comunale e lì rimane fino alla seconda guerra mondiale. Gravemente danneggiato dai bombardamenti, il quadro è ignorato fino al 1951 quando, nella mostra milanese Caravaggio e i caravaggeschi curata da Roberto Longhi, viene esposta un’altra versione dello stesso soggetto conservata alla Galleria Regionale di Messina (Mostra del Caravaggio 1951, p. 43), ritenuta “copia cruda” ma “abbastanza fedele” di un originale di Caravaggio perduto. Caterina Marcenaro, allora Direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune, identifica la redazione autografa del maestro lombardo nell’Ecce Homo di Palazzo Bianco, che viene, dopo un importante intervento conservativo ad opera di Pico Cellini (1953-54), pubblicato come originale del Caravaggio dallo stesso Longhi sulla rivista “Paragone” nel 1954. La critica successiva accoglie con esiti discordanti l’attribuzione al Merisi; d’altra parte due fattori pesano nel tempo sulla valutazione del quadro: la non integrità dell’originale ductus pittorico del dipinto, che il Cellini descrive dopo i danni bellici come “corteccione fritto e rinsecchito tutto subbolito…” da lui restituito a leggibilità con un restauro integrativo condotto prendendo a modello la copia messinese; dall’altro il mistero sulla storia antica del quadro e sul momento del suo ingresso nelle collezioni del museo. Solo recentemente, infatti, è stato ritrovato un documento d’archivio, datato 1908, che riporta una proposta di acquisto fatta a Orlando Grosso, allora segretario specializzato dell'Ufficio Belle Arti, per opere già appartenute a Giovanni Cabella, tra cui un “Leonello Spada, Cristo mostrato al popolo, buona opera di pittura della scuola bolognese del Seicento conservato in ottimo stato”, così segnalato dallo studioso come il più meritevole di ingresso nelle raccolte comunali (Biblioteca Civica Berio, Fondo Orlando Grosso, Cassetto 21, fascicoli 6-7, pp. 91 r-v). Non è stato rintracciato l’atto ufficiale di acquisizione, ma è probabile poi segua di alcuni anni, e che comunque l’opera venga registrata solo dopo la prima guerra mondiale, finendo per questo inventariata insieme ad altre sopraggiunte nel frattempo, in particolare le numerose tele del legato di Casa Piola (1913) che comprendevano anche molte ‘copie d’autore’ (Besta, Priarone in “Superba ognor di belle Imprese andrai” 2020). Ed è probabilmente per questo che il “Leonello Spada” visto da Grosso diventa “Spada (copia)” nel registro del museo - con la stessa dizione di tutte le altre copie da grandi maestri - e poi, nella seconda versione dell’inventario, più chiaramente una “copia da Spada Leonello”. Non sembra inopportuno riportare l’attenzione proprio sulle complesse vicende di inventariazione del quadro, e sulla successiva interpretazione dei dati inventariali, poiché la notazione ‘copia da Lionello Spada’ è stata poi riportata dalla critica per lungo tempo come ‘copia di Lionello Spada’, leggendo dunque il dato inventariale come la registrazione non di un’opera derivante da un prototipo dello Spada, ma di un’opera di mano dello Spada da un originale del Caravaggio (su questi aspetti Besta, Priarone in c.d.s.). Anche per questo, le successive campagne diagnostiche sull’opera (Gregori, Lapucci 1991; Orlando in Caravaggio e i genovesi 2019; Bonavera in Caravaggio e i genovesi 2019) hanno mirato in modo particolare alla ricerca di segnali di prima invenzione della composizione, riscontrando ‘pentimenti’ che hanno portato a escluderne il carattere di copia, confermando la natura di prima versione del soggetto. Ma è ancora legittimo chiedersi: per mano di chi? L’attribuzione a Caravaggio si è consolidata nel tempo (Spike 2013), anche a motivo della storica identificazione con il quadro dipinto dal Merisi per il nobile romano Massimo Massimi (Barbiellini Amidei 1987) che però, stando ai documenti, avrebbe avuto misure maggiori della tela genovese, pur manomessa nel tempo (Di Fabio 1997; Priarone 2011, pp. 104-105 nota 54). L’ipotesi che si tratti della stessa tela del Merisi poi giunta in Sicilia al seguito di Juan de Lezcano, segretario dell’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, spiegherebbe secondo alcuni studiosi la presenza della copia messinese; da qui l’opera sarebbe poi passata a Napoli, Madrid e Genova (Vannugli 2009). Dubbi attributivi hanno continuato ad accompagnare il dipinto, che ancora oggi non vede un riconoscimento unanime e che è tornato sotto i riflettori dopo il ritrovamento di un’altra versione autografa dello stesso soggetto, di diversa composizione, comparsa nel 2021 in un’asta madrilena, che più convincentemente potrebbe collegarsi ai documenti prima connessi al quadro genovese (Besta, Priarone in Caravaggio e i genovesi 2019). Il dipinto rappresenta Cristo con la corona di spine, a fianco a loro un uomo e Pilato.

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