Ritratto di gentiluomo "dalle maniche rosse", (1549-1550)

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Titolo dell'opera:

Gentiluomo dalle maniche rosse

Acquisizione:

Brignole-Sale De Ferrari Maria 1874 Genova - donazione

Autore:

Bordon, Paris

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1549 - 1550 - XVI

Inventario:

PR 43

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 110; Larghezza: 84

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

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Descrizione:

Il personaggio ritratto è stato, in passato, identificato (Bailo-Biscaro, 1900) con Ottaviano Grimaldi, nobile mercante genovese che nel 1524 si trovava a Venezia e vi esercitava la mercatura. Il Vasari narra che Paris Bordone "in Genova mandò al signor Ottaviano Grimaldi un suo ritratto ... Con esso un altro simile di una donna lascivissima". Tale dipinto di dama pare potersi identificare con quello di giovane donna della National Gallery di Londra (inv. 674), che, secondo la tradizione, proviene dalla famiglia Brignole. Esso presenta la stessa impaginazione del "ritratto di gentiluomo", soprattutto nell'inserto dello sfondo, il quale risulta complementare a quello della tela genovese. Se non è da escludere che i due dipinti siano stati eseguiti per lo stesso committente, non vi sono però altri elementi a conforto della identificazione del gentiluomo e della dama nelle persone di Ottavio Orimaldi e della sua amica. Forse è da tener presente che esiste ancor oggi nella galleria di Palazzo Rosso un ritratto di dama con un'antica attribuzione a Paris (inv. 142). Più recentemente, sulla base di motivi stilistici e formali, è stato proposto di riconoscere nel gentiluomo il collezionista milanese Carlo da Rho, presso il quale Bordon aveva soggiornato fra il 1549 e il 1550 circa e per cui realizzò un ritratto insieme a quello della moglie, Paola Visconti (Cintra, Palazzo Reale). Quest’ultimo dipinto, pervaso da un’atmosfera malinconica di gusto quasi lottesco, riveste una particolare importanza nella storia della produzione ritrattistica del pittore, segnando un momento di svolta stilistica verso una stesura formale più sciolta e duttile rispetto a quella netta e analitica degli esemplari precedenti. La stessa scorrevolezza di tessuto pittorico, così come lo stesso clima sotteso e intimistico unito a un taglio già manieristico, si ritrova nel ritratto di Palazzo Rosso che potrebbe costituirne quindi il pendant e che, come quello, è databile alla fine del quinto decennio del XVI secolo. Sia quindi si ritenga valida questa ipotesi – Paola Visconti tiene peraltro in mano un plico di lettere d’amore – sia nel caso contrario, l’opera doveva comunque fare coppia con un ritratto femminile secondo i canoni del ritratto galante eseguito in occasione di un fidanzamento o comunque a suggello di un particolare momento della vita di due innamorati (una partenza, un distacco, la lontananza). L’opera raffigura, all’interno di un ambiente domestico, un personaggio a mezza figura con indosso un giaccone scuro da cui escono le maniche rosse dell’abito; con la mano destra tiene una lettera che, in una sorta di sintesi temporale, si ritrova raffigurata anche sullo sfondo, consegnata a una dama bionda sulla cima di un loggiato, verosimilmente la sua innamorata.

Dama

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Gregorio De Ferrari (Genova, 1647-1726)

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San Giovanni Evangelista, San Zaccaria e una Santa

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Francesco Brea (Nizza, 1495–1562)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 70x94

Santa Maria Maddalena fra due Sante

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Francesco Brea (Nizza, 1495–1562)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 70x94

Ritratto di Francesco Filetto

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bernardo Licinio (Venezia, 1485-1550)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 91x82

Madonna col Bambino, San Giovannino e Santa Elisabetta

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Andrea D’Agnolo, detto Andrea del Sarto (Firenze, 1486-1530)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 141x108

Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e la Maddalena, (1520-1522)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio (Serina, 1480 circa - Venezia, 1528)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 71x108

Si informa che il dipinto non è al momento esposto per ragioni conservative e che verrà ricollocato all’interno del percorso museale di Palazzo Rosso tra circa 40 giorni (25 settembre 2015)


Il dipinto è uno dei capolavori di Palma il Vecchio, esponente dell'arte veneta del primo Cinquecento. L'artista si formò a Venezia alla scuola di Giovanni Bellini e, in seguito, venne influenzato dalle istanze stilistiche di Giorgione e Tiziano. In questa "Sacra Conversazione" databile intorno al 1520-1522, le figure ritratte a mezzo busto sono perfettamente inserite nel luminoso paesaggio dello sfondo, pervaso da una luce chiara e diffusa propria della pittura veneta fra Quattro e Cinquecento. La simmetria con cui sono disposti i personaggi ai lati della Vergine è un manifesto richiamo a Bellini, ma la sontuosità del drappeggio ondulato, così come la solennità degli atteggiamenti della Maddalena e del Battista e lo spazio ben articolato e non costretto, rivelano una autonoma maturità dello stile del pittore in senso pienamente rinascimentale.
Da sottolineare la splendida cromia dell'opera, in cui il blu oltremarino del manto della Vergine prevale sul blu con iridescenze grigie dell'abito di Maria Maddalena a sua volta  in armonioso contrappunto con la tunica grigia e il mantello verde oliva del Battista.
I teneri sguardi delle donne, i morbidi riccioli della capigliatura del Battista, l'accuratezza dei particolari quali la manica di velluto bordeaux del braccio destro della Maddalena, l'eccellente qualità della trama attraverso l'intera superficie del dipinto, questi ed altri aspetti fanno di quest'opera un eccellente esempio della pittura di Palma.
 

La Madonna col Bambino, San Giuseppe e San Giovannino

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Pietro Bonaccorsi, detto Perin del Vaga (Firenze, 1501 - Roma, 1547)

Tecnica e misure:

Olio su tavola, cm. 40x30

Già riconosciuta come opera di un ignoto pittore manierista di Anversa, questa "Madonna col Bambino, San Giuseppe e San Giovannino" è oggi riconosciuta alla mano di Perin del Vaga, a motivo anche dell'alta qualità del disegno preparatorio sottostante la tela. Al pittore, allievo e collaboratore di Raffaello a Roma, era stata già attribuita un'opera di identico soggetto nella collezione Balbi di Piovera, sempre a Genova.

Arazzo raffigurante Marte a grottesche

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Arazzo raffigurante Marte a grottesche

Tecnica e misure:

cm. 363 x 630

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Questo grande arazzo, tessuto a Bruxelles, apparteneva a una delle serie che Perin del Vaga disegnò per la dimora di Andrea Doria, il Palazzo del Principe.
Questa serie è stata modernamente denominata Dei a grottesche: in ciascun arazzo campeggia il simbolo o l'allegoria di una divinità.
Il dio Marte è qui simboleggiato, al centro, da una panoplia con due prigioni e accompagnato da elaborati motivi di grottesche, girali fitomorfi, creature mostruose, amorini, vittorie alate.
Perin del Vaga che era stato un collaboratore di Raffaello a Roma, venne chiamato dal Doria dopo il 1527 proprio per soprintendere alla decorazione e all'arredo di quella principesca residenza.

Principe Moscovita, (circa 1430-1440)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Michele Taddeo di Giovanni Bono, detto Giambono (Venezia, 1420 circa - 1462 circa)

Tecnica e misure:

Tempera su tavola, cm. 53x40

Il ritratto presenta un uomo a mezzo busto, posto di profilo, stagliato su un fondo uniforme verde. La sontuosa veste di velluto broccato, decorata con un motivo a melagrana impreziosito da lamine d'argento graffite, l'ampio bavero di pelliccia e la larga tesa del cappello rosso conferiscono al personaggio un'aria vagamente esotica che, insieme all'incarnato bianco e piuttosto flaccido, le labbra carnose, lo scorcio dell'occhio non troppo definito dal disegno, hanno fatto pensare a uno dei principi magiari che vennero in Italia nel 1433 per l'incoronazione dell'imperatore Sigismondo.
La vicenda attributiva del dipinto, piuttosto travagliata, comincia con il riferimento, del tutto inverosimile, a Leonardo da Vinci, nell'inventario seicentesco della raccolta veneziana del pittore e collezionista Nicolas Régnier, da cui lo acquistà il nobile genovese Giuseppe Maria Durazzo.
Dagli inizi del Novecento, in ragione dell'alta qualità sia formale sia tecnica, si è a buon diritto consolidata la collocazione di quest'opera nell'ambito della più qualificata produzione del "gotico internazionale". Pisanello, cui il nitore numismatico del profilo sembra avvicinarsi, e, in seguito, Giambono sono i nomi su cui si è divisa la critica, propendendo più decidamente per il secondo. Un recente intervento propone, infine, Gentile da Fabriano, maestro e modello cui spesso Giambono si ispira.
La bella cornice "a edicola", con doratura a guazzo in oro zecchino, che racchiude il dipinto, pur non essendo quella sua originale, risale al primo quarto del XVI secolo e si ispira a elementi architettonici rinascimentali di matrice brunelleschiana.
 

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