Il marchesato di Groppoli (1729)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Carlo Antonio Tavella (Milano, 1668 - Genova, 1738)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 235 x 160

Dopo una giovanile formazione milanese, a partire dal 1688 Tavella soggiorna in Emilia e Toscana e, probabilmente, a Roma dove tuttavia la sua presenza non è direttamente documentata, accostandosi a quel filone di pittura di paesaggio più classicista e arcadico che vedeva in Gaspard Dughet il principale riferimento.
Tornato a Milano nel 1695 si lega a Pieter Mulier detto il Tempesta fino alla morte di quest’ultimo, nel 1701; a partire da questa data si trasferisce definitivamente a Genova, città di origine della sua famiglia. Nella città ligure, d’altra parte, aveva già eseguito tra il 1691 e il 1692 i tre paesaggi ad affresco (in origine quattro) per le pareti della sala delle Arti liberali del palazzo Brignole - Sale, l’attuale Palazzo Rosso, prima testimonianza della sua attività artistica.
Sempre per la famiglia Brignole - Sale realizza nel 1729 due vedute del feudo di Groppoli, possedimento situato in Lunigiana sulla sponda destra della valle del Magra che, nonostante si trovasse entro i confini del granducato di Toscana, diede il titolo di marchese alla famiglia genovese fin dal XVII secolo. Nel museo si conservano le due differenti versioni di questo soggetto, entrambe direttamente commissionate da Gio. Francesco II.
Il dipinto in questione, di dimensioni maggiori, già andato disperso a seguito delle vicende ereditarie della famiglia, è ricomparso sul mercato antiquario solo in tempi recenti ed è frutto di una acquisizione del Comune di Genova (2004), con finanziamento della Compagnia di San Paolo.
 

Gio.Francesco II Brignole - Sale (1747-1748)

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Jacopo Antonio Boni (Bologna, 1688 - Genova, 1766)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 266 x 179

Nel marzo del 1746 Gio. Francesco II Brignole - Sale fu eletto doge della Repubblica di Genova e il pittore bolognese Jacopo Antonio Boni, già attivo per lavori ad affresco a Palazzo Rosso nel 1744-1745, fu incaricato di dipingerne l’immagine ufficiale. Il modello compositivo dell’immagine ricalca pedissequamente nella posa di tre quarti – pressoché identica – e nell’ambientazione una delle opere più celebri e famose del pittore parigino Hyacinthe Rigaud, il Ritratto di Luigi XIV, realizzato nel 1701 (Parigi, Louvre). Lo stesso Rigaud nel 1739 aveva eseguito un ritratto di Gio. Francesco II in occasione dell’andata a Parigi di questi in qualità di ambasciatore e, precedentemente, nel 1704, aveva effigiato anche il di lui padre, Anton Giulio. La scelta di rifarsi al prototipo dedicato al potente monarca francese evidenzia chiaramente l’intento celebrativo del committente, che è raffigurato con un sontuoso manto regale, la mozzetta di ermellino e il bastone del comando all’interno di un’imponente scenografia creata dal tendaggio a baldacchino e dallo scorcio della colonna binata che apre su il paesaggio dello sfondo, in cui è abbozzato l’episodio della battaglia della Bocchetta.
Il dogato di Gio. Francesco II, infatti, incorse durante i drammatici fatti storici del 1746 – quelli che ebbero come protagonista il mitico Balilla – quando a Genova, invasa dalle truppe austro-piemontesi, scoppiò una rivolta popolare che portò alla cacciata del nemico e alla liberazione della città. La scritta sulla lettera appoggiata al tavolino, che recita: “pro patria/et libertate”, la maschera di Giano bifronte sul plinto della colonna e l’armatura ai piedi del doge risultano quindi tutti elementi che, oltre a personalizzare il dipinto, alludono agli avvenimenti coevi e al difficile ruolo ricoperto da Brignole - Sale a salvataggio delle istituzioni repubblicane da lui rappresentate.

Allegoria dell’Inverno - particolare della volta

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Domenico Piola (Genova, 1627-1703)

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Domenico Piola dipinse le volte delle ultime due stanze di levante del secondo piano nobile di Palazzo Rosso fra il 1687 e il 1688, come attestano i saldi dei pagamenti che lo riguardano.
È il periodo successivo al suo ritorno dal viaggio-fuga intrapreso nel 1684, a seguito del bombardamento francese della città, che lo portò in varie località del Nord Italia e soprattutto a Parma, dove ebbe modo di confrontare e di aggiornare sulle soluzioni correggesche il suo modo di concepire lo spazio dipinto in rapporto a quello architettonico. Questa esperienza, e, insieme, il contatto con Gregorio De Ferrari, suo genero e allievo, conferì al suo linguaggio una più sciolta leggerezza, soprattutto nella pratica di un uso del colore più lieve e meno corposo, cui si associa il gusto per lo spazio aperto e per la composizione intesa in senso ruotante.
Sono elementi ravvisabili nella concezione delle sale con le allegorie di Autunno e Inverno, dove Domenico si avvalse della collaborazione dello stuccatore Giacomo Muttone e del quadraturista bolognese Stefano Monchi.
Nella sala dell’Inverno, Piola attua una assoluta libertà nella impaginazione dello spazio. Al plastico intrecciarsi dei corpi dei venti invernali, si contrappone Inverno, eccezionalmente giovane e vestito di chiaro, che si scalda al braciere, con alle spalle Marzo o Favonio, mentre le allusioni al carnevale e alla caccia, arricchite di animali e personaggi esotici, movimentano i margini della volta, a stento contenute da una possente balaustra dipinta. Scene di banchetti, musicanti, ozio, giocose risse, o giochi di fanciulli, rendono complessivamente viva e dinamica la lettura di questo affresco, dal punto di vista sia tematico sia della percezione dello spazio dipinto, effetto accentuato dalle prospettive architettoniche a trompe-l’oeil di Nicolò Codazzi sulle pareti.

 

Gesù Bambino Salvatore

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio (Genova, 1639 - Roma, 1709)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 128,5 x 96,7

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Il viaggio della famiglia di Abramo

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Titolo dell'opera:

Il viaggio di Abramo

Acquisizione:

Maria Brignole-Sale De Ferrari 1874 Genova - donazione

Autore:

Grechetto, Castiglione Giovanni Benedetto

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1652 - 1655 - XVII

Inventario:

PR 92

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 186; Larghezza: 282

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

Il genio di G.B. Castiglione il Grechetto - Genova - 1990
Ottomani, Barbareschi, Mori nell'arte a Genova. Fascinazioni, scontri, scambi nei secoli XVI-XVIII - Genova - 2024-2025

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Descrizione:

La tela è citata già nell'inventario della quadreria di Giovanni Francesco I Brignole-Sale, compilato entro il 1684. In esso, tuttavia, le misure dichiarate corrispondevano a un ingrandimento atto a inserire l'opera in una quadratura di una sala del primo piano nobile della residenza di famiglia sita in Strada Nuova. L'opera subì poi altre modifiche in occasione della sua traslazione al secondo piano, e solo nel secondo dopoguerra venne riportata alle dimensioni originali. La presenza della firma e di una datazione mutila che presenta ad oggi solo le prime due cifre, ma trascritta in precedenza come "165[-]", consente il confronto del dipinto con altri realizzati da Grechetto negli anni Cinquanta del XVII secolo. Questi dati hanno permesso l'avanzamento di una datazione relativa alla conclusione del secondo soggiorno romano dell'artista, facendo riferimento in particolare al rientro a Genova dopo l'agosto 1651. Conseguenzialmente ai tragici esiti della peste che colpì la città tra 1656 e 1657, Grechetto si trasferì prima a Venezia e poi a Mantova presso i Gonzaga. Nella tela in esame è ormai evidente l'influenza di Rembrandt, soprattutto se si osserva il repertorio di teste con turbante di cui Castiglione si serve per evocare l'affastellamento del popolo ebraico in viaggio (Genova 2024, cat. 28, pp. 238-240). Il soggetto della composizione fa parte dei cosiddetti esodi biblici. In particolare, la tela raffigura, insieme a Sara e Agar con Ismaele in grembo, Abramo che si appresta a lasciare la città di Ur per recarsi a Canaan. Il taglio diagonale della scena permette di percepire il movimento della carovana costituita da donne e uomini, bestiame e oggetti di vario tipo: un espediente che permette al pittore di esercitare la propria abilità pittorica liberamente, nonostante quello trattato fosse un tema sacro.

Madonna col Bambino, San Giovannino e i Santi Giovanni Evangelista e Bartolomeo

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Titolo dell'opera:

Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista, Bartolomeo e Giovanni Evangelista

Acquisizione:

Maria Brignole-Sale De Ferrari 1874 Genova - donazione

Autore:

Barbieri, Giovanni Francesco detto il Guercino

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1660 - 1661 - sec. XVII

Inventario:

PR 90

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 344; Larghezza: 221

Tecnica:

olio su tela

Ultimi prestiti:

GENOVA E GUERCINO. DIPINTI E DISEGNI DELLE CIVICHE COLLEZIONI - GENOVA - 1992

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Descrizione:

Secondo Malvasia, il dipinto era destinato al Duomo di Cento, ma non raggiunse mai tale collocazione, rimanendo in casa di Guercino fino alla sua morte. La vicenda dell'opera, riconosciuta per prima da Nefta Grimaldi (1957, fig. 143) nel dipinto di Palazzo Rosso, ma assente in qualsiasi altra fonte successiva al biografo bolognese, è rimasta oscura fino al 2017, quando, grazie ad un'acuta rilettura dell'eccezionale Libro dei Conti del pittore e di altri documenti d'archivio, Piero Boccardo propose molto convincentemente di riconoscere il quadro oggi conservato a Palazzo Rosso nel "dipinto di san Bartolomeo" citato nel registro contabile (Boccardo in The Burlington Magazine, giugno 2017, pp. 450-452). L'opera, infatti, pagata a Guercino tra il 1660 e il 1661, peraltro una cifra congrua alle dimensioni e alla complessità di una pala d'altare, non era ancora mai stata identificata. La presenza, poi, di san Giovanni Battista bambino all'interno del dipinto "di san Bartolomeo", come descritto nei due fogli annessi al Libro dei Conti e dedicati esclusivamente a quest'opera, fece comprendere allo studioso che non poteva trattarsi di una composizione sul tema della vita del santo. Infine, l'opera venne commissionata e pagata da Sebastiano Fabri, membro di una ricca famiglia di proprietari terrieri che deteneva il giuspatronato della cappella dedicata proprio a san Bartolomeo nella Collegiata di San Biagio a Cento. Se, dunque, è assai credibile che la destinazione originaria dell'opera fosse l'altare dei Fabri, resta ancora senza spiegazione il fatto che la pala, alla fine, non venne mai posta in opera - per quanto saldata - rimanendo nella casa dell'artista. È direttamente dagli eredi del pittore che nel 1684 venne acquistata per 3398 lire da Gio. Francesco I Brignole-Sale per essere posta a Palazzo Rosso, dove ancor oggi si può ammirare. In relazione alla tela si conoscono due disegni preparatori: uno a penna e inchiostro, relativo alla figura di san Bartolomeo, conservato al Metropolitan Museum of Art (inv. N. 1963 63. 67); l'altro, a matita rossa, pertinente la collezione Koening-Fachsenfeld (inv. N. Ii/62), oggi depositata presso la Staatsgalerie di Stoccarda, riferibile al panneggio della veste di san Giovanni evangelista. Il dipinto rappresenta la Madonna con in braccio Gesù Bambino, ai sui piedi San Giovannino. Vicino a loro Giovanni Evangelista e San Bartlomeo, in alto a destra due putti.

L’ adorazione dei Magi

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Bonifacio de’ Pitati, detto Bonifacio Veronese (Verona, 1487 - Venezia, 1553)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 213 x 381

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Allegoria dell’Autunno - particolari

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Domenico Piola (Genova, 1627-1703)

Affresco Volta sala dell'Autunno di Domenico Piola

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Domenico Piola (Genova, 1627-1703)

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Domenico Piola dipinse le volte delle ultime due stanze di levante del secondo piano nobile di Palazzo Rosso fra il 1687 e il 1688, come attestano i saldi dei pagamenti
che lo riguardano. È il periodo successivo al suo ritorno dal viaggio-fuga intrapreso nel 1684, a seguito del bombardamento francese della città, che lo portò in varie località del Norditalia e soprattutto a Parma, dove ebbe modo di confrontare e di aggiornare sulle soluzioni correggesche il suo modo di concepire lo spazio dipinto in rapporto a quello architettonico. Questa esperienza, e, insieme, il contatto con Gregorio De Ferrari, suo genero e allievo, conferì al suo linguaggio una più sciolta leggerezza, soprattutto nella pratica di un uso del colore più lieve e meno corposo, cui si associa il gusto per lo spazio aperto e per la composizione intesa
in senso ruotante.
Sono elementi ravvisabili nella concezione delle sale con le allegorie di Autunno  e Inverno, dove Domenico si avvalse della collaborazione dello stuccatoreGiacomo Muttone e del quadraturista bolognese Stefano Monchi.
Il tema dell’Autunno è risolto con la rappresentazione tradizionale del trionfo di Bacco. La volta raffigura, immerso in una chiara luce diffusa, il dio non intento, tuttavia, in sfrenati festeggiamenti, bensì giovane, imberbe, colto in un momento di pacata tenerezza quando, giunto nell’isola di Nasso, incontrò Arianna, abbandonata lì da Teseo, si innamorò di lei e la volle come sposa. Il risultato è un dipinto in cui il disegno come elemento strutturante dell’immagine lascia il posto al colore che, attraverso lievi trapassi luminosi, modella i corpi e i piani spaziali.
Il tiaso bacchico, animato e vivace, è relegato ai margini della composizione: Sileno ebbro, baccanti, centauri, satiri e gli animali cari a Dioniso – capre, pantere, scimmie – padroneggiano lunette e peducci con registri cromatici più vivi e plastici, in piacevole, dialogante contrasto con la volta.
Il bel fregio di stucco dorato che corre lungo i quattro lati della stanza, in un susseguirsi continuo di tralci di vite, oltre a ribadire il tema della stagione, dà lo spunto per il motivo decorativo della cornice della grande specchiera collocata fra le finestre.
 

Ritratto di Geronima Sale-Brignole con la figlia Maria Aurelia

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Antoon Van Dyck (Anversa, 1599 - Londra, 1641)

Tecnica e misure:

Olio su tela, 226,3 x 151,8 cm

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Commissionato da Gio.Francesco Brignole (1582-1637) nel 1627, il grande ritratto raffigura la moglie del committente assieme ad Aurelia, una delle due figlie. Il dipinto è attualmente conservato a Palazzo Rosso per volontà di Gio.Francesco I Brignole-Sale (1643-1694) di mantenere il ritratto legato alla casata.
L’intervento di restauro eseguito per la mostra genovese dedicata all’artista fiammingo nel 1997, ha rivelato una stesura pittorica ben conservata in entrambe le figure e ha restituito freschezza al viso della madre quarantaduenne. 
La pulitura ha pure confermato la complessiva severità dell’immagine data dal nero vestire della dama, secondo il gusto spagnoleggiante dell’epoca, e dal fondo buio, dal quale una luce proveniente da sinistra rivela solo una colonna su un alto plinto e un ricco tendaggio rosso. Il quadro mostra le eccellenti qualità pittoriche dell’artista nella ricchezza dei chiaroscuri, che conferiscono alla bianca veste cerimoniale della fanciulla un accento luministico drammatizzato e scultoreo.

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