Ragazzo con le Conchiglie dalla Caverna Pollera

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Ragazzo con conchiglie dalla Caverna Pollera

Tipologia:

Sepoltura

Tecnica e misure:

Ossa umane, conchiglie, lastre di pietra

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Descrizione:

E’ un ragazzo di circa 18 anni vissuto nella Caverna della Pollera 6500 anni fa circa. E’ stato sepolto all’interno di una cassa di lastre di pietra di grandi dimensioni, lastre coprivano anche le gambe ma non la parte superiore del corpo. Sono presenti anche blocchi di medie e piccole dimensioni.

Il ragazzo è sdraiato sul dorso con le gambe flesse lateralmente e il braccio sinistro posto sotto la testa, in una posizione tipica della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata che si sviluppa nel pieno Neolitico in Liguria e in parte dell’Italia Settentrionale.

Sopra le lastre di pietra sono presenti numerose conchiglie (Spondylus,  già Triton ora Charonia, Glycimeris, Cardium) raccolte sulle spiagge e lavorate nella grotta per realizzare monili, attrezzi, trombe, ami.

Anziano neolitico caverna Pollera

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Anziano neolitico dalla Caverna Pollera

Tipologia:

Scheletro

Tecnica e misure:

Ossa umane

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Descrizione:

Lo scheletro, in buone condizioni di conservazione, mostra che questo individuo tra i 50 e i 70 anni quando muore 6500 anni fa e viene sepolto . Il suo corpo porta i segni del tempo e di una esistenza non facile: una frattura alla spalla destra, forse dovuta ad una caduta, che non è stata immobilizzata completamente, perdita dei denti, problemi alle articolazioni della colonna vertebrale dovuti all’età e all’intensa attività fisica, un trauma craniale che è probabile sia stato curato in maniera abbastanza efficace da consentirgli di sopravvivere.

Oltre allo scheletro è arrivata a noi solo un’ascia in pietra verde, molto consumata dall’uso, che probabilmente era uno strumento personale del defunto. L’ascia è uno strumento di lavoro abituale tra le popolazioni neolitiche, è ritenuta un simbolo maschile perché ritrovata solo nelle sepolture di uomini in questa e altre culture preistoriche.

Hokusai “La grande onda”

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Titolo dell'opera:

Nel cavo d'onda al largo di Kanagawa

Acquisizione:

Collezione Edoardo Chiossone 1898

Autore:

Katsushika, Hokusai

Tipologia:

stampa a colori

Epoca:

1801 - 1850 - XIX

Inventario:

S-2583/13

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 26; Larghezza: 37.6

Tecnica:

carta giapponese- xilografia

Ultimi prestiti:

Hokusai. Sulle orme del Maestro - Roma, Museo dell'Ara Pacis, Spazio esp. Ara Pacis - 12 ottobre 2017 – 14 gennaio 2018
Dipinti e stampe del Mondo Fluttuante. Capolavori Ukiyoe del Museo Chiossone di Genova - Genova, Palazzo Ducale - 16 aprile – 21 agosto 2005

Descrizione:

Universalmente nota come "La grande onda", questa stampa è la più popolare della serie "Trentasei vedute del Monte Fuji" e rappresenta un caso altamente innovativo nella storia del vedutismo ukiyo-e, "l'arte del mondo fluttuante", produzione artistica destinata al pubblico borghese del Periodo Edo (1600–1867). Divenuta celeberrima in Occidente alla fine del secolo XIX grazie alla diffusione del Giapponismo, questa potente veduta fu molto amata dagli impressionisti e continua ancor oggi a influenzare il design, il marketing e la pubblicità. La composizione è costituita da tre elementi principali: il mare in tempesta, le barche e il monte Fuji. Le imbarcazioni sono denominate oshiokuri-bune, chiatte lunghe 12/15 metri utilizzate per il trasporto del pesce ancora vivo. Ogni imbarcazione è manovrata da otto rematori e trasporta due passeggeri. Questa stampa può essere considerata l'immagine iconica della moderna contrapposizione tra uomo e natura. La grande onda che mette in difficoltà i marinai è un'immagine della natura che sovrasta l'uomo, e contrasta con l'altro grande elemento naturale dell'opera: la montagna vulcanica del Fuji, simbolo nazionale del Giappone. L'artista divenne famoso per i suoi paesaggi creati utilizzando una tavolozza di indaco e blu di Prussia importato.

Materie prime dal Tirreno

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Risorse litiche dal Tirreno

Tipologia:

Campioni di rocce e minerali

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Descrizione:

La varietà di rocce e materie prime dell’area tirrenica è straordinaria.  Nel corso del tempo molte di esse per ragioni legate a distanza, difficoltà di reperimento, tecniche di lavorazione e opere realizzate, sono diventate dei veri e propri “tesori”. Basti pensare al marmo di Carrara, bianco e di grana fine, ancora oggi estratto sulle Alpi Apuane. L’attività estrattiva del marmo si sviluppò intensamente in età romana quando con questo materiale vennero costruiti i principali edifici pubblici di Roma e del suo impero. Poiché l’esportazione avveniva tramite il porto di Luni (SP), i Romani lo chiamavano “marmo lunense”.  Oltre al marmo selce, diaspro, pietre verdi, ossidiana, ocra rossa, ma anche metalli come rame e ferro, tutti provenienti dall’area tirrenica, sono stati lavorati dall’uomo sino dai tempi più antichi per realizzare attrezzi, armi, edifici, sculture e gioielli.

Stele di Apollonia

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Titolo dell'opera:

Stele di Apollonia

Ambito culturale:

ambito greco

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Stele di Apollonia

Tipologia:

stele

Epoca:

III a.C. - 300 a.C. - 225 a.C.

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 37; Larghezza: 34; Profondità: 7

Tecnica:

marmo

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Descrizione:

Stele funeraria quadrangolare con coronamento a frontoncino scolpito a basso rilievo su cui è incisa in greco una scritta dedicatoria al demos, tipica delle steli smirniote. Sotto il frontone l'iscrizione principale ricorda Apollonia, figlia di Potamon e moglie di Archippos. Al centro dell'opera è scolpita a bassorilievo con martellina la scena figurata: a sinistra una figura femminile seduta su un trono, con indosso un chitone legato sotto il petto e coperta sul capo da un mantello che scosta dal volto con la sinistra, riconducibile al tipo della cosiddetta pudicitia. Al centro un altare cilindrico, decorato in alto e in basso da una cornice a cordoncino. A destra una figura di dimensioni minori, un inserviente, con indosso un chitone legato sotto il petto e un apoptigma che arriva sopra il ginocchio. Il braccio sinistro scende lungo il corpo, e il destro, abraso, doveva essere proteso in avanti. Si tratta di una scena di eroizzazione della defunta, che viene rappresentata come una dea mentre una serva compie un sacrificio in suo onore. Da Porta Soprana a Genova.

Tromba in conchiglia

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Conchiglia di Charonia

Tipologia:

Strumento musicale

Tecnica e misure:

Conchiglia

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Descrizione:

Nelle caverne preistoriche del Finalese (SV) sono state ritrovate conchiglie di Charonia con l’apice tagliato e levigato: venivano usate 6000 anni fa come trombe naturali, forse per segnalazioni. L’uso delle conchiglie per ottenere suoni è attestato in molte parti del mondo e in varie epoche. Anche nella mitologia antica Tritone, figlio del dio del mare Poseidone, è spesso rappresentato in atto di suonare questa conchiglia soffiandoci dentro. Prove musicali hanno dimostrato che gli esemplari di Charonia conservati al Museo di Archeologia Ligure sono molto potenti e danno la possibilità di emettere note e suoni diversi.

Anonimo scultore di cultura nordica "Immacolata"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Anonimo scultore di cultura nordica, seconda metà XVII secolo

Tipologia:

Scultura

Tecnica e misure:

Avorio lavorato ad incisione, 38,3 x 15 x 11 cm


Ecco una straordinaria Immacolata in avorio (seconda metà sec. XVII) che rivela un’abilità davvero non comune nella lavorazione. Non si conosce, purtroppo, la provenienza di questo vero capolavoro, ma se il tipo iconografico lo fa ricondurre a un ambito genovese, alcuni dettagli (si veda in particolare la complicata acconciatura) la riconducono a un artista nordico. Chi possa essere nello specifico è arduo a dirsi. Gli scultori in avorio stranieri (fiamminghi, francesi, tedeschi) venivano in Italia – e Genova era una delle mete principali – a raffinare l’arte dell’intaglio, e poi, spesso, in Italia si trattenevano o si stabilivano.
 

Parimenti, in Italia gli artisti dell’avorio erano numerosi e quasi sempre, come i colleghi stranieri, producevano opere lavorando molti materiali: non solo l’avorio, ma anche i lapidei, il legno, i metalli. E purtroppo quasi nessuno firmava e/o datava le proprie realizzazioni. A noi rimane l’ammirazione per un riconosciuto capolavoro fra gli avori del tempo e un quesito scientifico sul quale lavorare a fondo.

 

Ettore Tito "Amazzone"

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Titolo dell'opera:

L'amazzone

Acquisizione:

Luigi Frugone 1953 Genova - legato

Autore:

Tito, Ettore

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1906 - 1906 - XX

Inventario:

GAM1571

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 208; Larghezza: 128

Tecnica:

olio su tela

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Descrizione:

L’opera, di grandissime dimensioni - misura più di 2 metri in altezza - è stata ripensata dall’artista nel corso degli anni. Nella prima versione il dipinto si presentava più sviluppato nella parte sinistra, dove il corpo del cavallo era totalmente delineato e arretrato sul fondo. L’artista tagliò poi la tela su tre lati, tra cui in altezza, eliminando una zampa, una parte del fianco e la punta delle orecchie del grande animale, mentre riduceva l’albero e il prato sul lato destro, inquadrando e spingendo in primo piano la scena grazie all’introduzione di una staccionata. Questo elemento, delimitando il primo piano occupato dal cane, che è separato dal piano occupato dalla donna e il suo cavallo, scandisce la scena che raggiunge così un'unità compositiva d’insieme di grande forza espressiva. L'amazzone raffigurata è la moglie di Tito, Lucia, accompagnata dal suo purosangue e dal levriero di famiglia, Furio, dopo una passeggiata a cavallo.

Archivio Provinciale dei Cappuccini

L’Archivio storico della Provincia di Genova dei Frati Minori Cappuccini conserva documentazione a partire dal 1538, anno in cui i frati giunsero, chiamati dall’amministrazione degli ospedali  per occuparsi dell’assistenza ai malati.

Nel volgere di un secolo la Provincia aveva conventi diffusi su tutto il territorio ligure, da Sarzana a Mentone, per giungere a nord sino a Ovada e Voltaggio. Gli atti testimoniano l’attività di apostolato dei frati sul territorio, le missioni in Africa e Sudamerica e più in generale i rapporti con la popolazione e le istituzioni civili e religiose.

Le carte riflettono le vicende storiche di cinque secoli, con testimonianze dirette non solo sugli aspetti devozionali e le pratiche caritative, ma anche su opere d’arte, sui mutamenti politici e sociali e sulle ultime guerre mondiali. La tipologia documentaria è varia e consiste in corrispondenza, atti notarili, bolle pontificie, decreti, memorie, biografie di frati, registri di vestizioni, pratiche riguardanti l’edificazione e il restauro di chiese e conventi, fotografie. La consistenza complessiva è di circa 4000 unità archivistiche, tutte riordinate e inventariate con software CEIAr.

Gli inventari dei fondi archivistici dei conventi sono pubblicati sul sito dei beni culturali ecclesiastici  www.beweb.chiesacattolica.it. Il fondo della Curia provinciale, contenente i più antichi atti relativi al governo della Provincia, alle missioni e alle vite di frati, non è ancora pubblicato, ma dispone comunque di un inventario informatizzato.

Le 10 meraviglie

Edoardo De Albertis, L’Autunno

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Titolo dell'opera:

L'autunno

Acquisizione:

De Albertis Edoardo 8 marzo 1926 Liguria/ GE/ Genova - acquisto

Autore:

De Albertis, Edoardo

Tipologia:

scultura

Epoca:

1925 - 1925 - XX

Inventario:

GAM0462

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 195; Larghezza: 45; Profondità: 54

Tecnica:

fusione in bronzo

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Descrizione:

Il grande bronzo, d'ispirazione michelangiolesca, era stato progettato per il padiglione italiano nell'Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali Moderne inaugurata nel 1925 a Parigi. L'opera reggeva l'architrave di ingresso alla sala dei liguri. La scultura corrisponde a quella poetica simbolista che aveva denotato tutta la produzione precedente dell'artista che, con Plinio Nomellini e C. Roccatagliata Ceccardi, era diventato un punto di riferimento per gli ambienti culturali e artistici della città. Una delle realizzazioni più importanti dello scultore rimane la sala dell'"Arte del Sogno" progettata per la VII Biennale di Venezia del 1907, con la collaborazione dell'amico Nomellini, Galileo Chini e Gaetano Previati: essa è massima espressione della creazione di un ambiente in cui si fondono scultura, pittura e arti applicate.

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