Liguri dei Mille

"Tra i Mille .... e non solo: i Liguri con Garibaldi"
In occasione dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’impresa dei Mille, nel salone del Museo del Risorgimento viene inaugurata una sezione dedicata a ricordare il contributo ligure all’epopea garibaldina.
Il contributo di Genova e della Liguria alla storia del nostro Risorgimento è stato di particolare rilievo sia in pensieri sia in azioni, basti pensare a tre grandi protagonisti (Mazzini, Garibaldi e Mameli) e ai molti liguri che hanno combattuto come volontari nelle guerre per l’indipendenza italiana e, soprattutto, hanno preso parte ad uno degli avvenimenti fondamentali del processo unitario, la Spedizione dei Mille, che proprio nell’ambiente politico genovese, permeato di antiche tradizioni repubblicane e centro del movimento democratico di ispirazione mazziniana, trovò il terreno più adatto alla sua realizzazione.
L’elenco alfabetico dei Mille salpati da Quarto all’alba del 6 maggio 1860, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” del 12 novembre 1878, comprende 1089 nomi, di cui 157 liguri, provenienti da un territorio assai esiguo per superficie eppure inferiori per numero solo ai lombardi e ai veneti. 138 provenivano da Genova e dal genovesato, 10 dal territorio spezzino, 6 dal savonese e 3 dall’estremo ponente ligure.
Tra questi, accanto a figure note come Nino Bixio, il luogotenente di Garibaldi, Giuseppe Cesare Abba, di Cairo Montenotte, il futuro scrittore delle “Noterelle da Quarto al Volturno”, Stefano Canzio, il brillante ufficiale dei Mille che sposerà Teresita, la figlia di Garibaldi e sarà il primo presidente dell’autorità portuale di Genova, Antonio Mosto, il fondatore dei famosi Carabinieri Genovesi insieme ad Antonio Burlando e Francesco Bartolomeo Savi, compaiono i nomi di giovani di ogni condizione sociale e professione provenienti dai vari centri della Liguria, i quali presero parte con entusiasmo alla grande impresa garibaldina. Per alcuni è possibile ricostruire una breve biografia, ma spesso si tratta di oscuri eroi di cui si hanno pochissime notizie; le loro storie rivivono però nel ricordo e nei cimeli posseduti dai discendenti, fieri di avere un antenato tra la gloriosa schiera dei Mille.
Alcuni provenivano di territori afferenti all’attuale provincia di Savona, come Angelo Astengo, di Albisola Marina, che dopo la battaglia del Volturno ottenne il grado di sottotenente, tornando a combattere alla testa di un drappello di volontari nella campagna del Trentino del 1866; Emanuele Banchero di Savona, marinaio di diciannove anni, nel maggio del 1860 imbarcato sul piroscafo “Piemonte”, che insieme al “Lombardo” trasportò i Mille a Marsala; Giuseppe Baracco, originario di Finalmarina, capitano di mare, non ancora diciassettenne quando partì e fu alfiere di Nino Bixio; Francesco De Maestri, di Spotorno, che già aveva combattuto agli ordini di Garibaldi nella Legione Italiana a Montevideo e fu attivo tra i Mille sia pur senza un braccio, amputatogli a causa di una grave ferita subita durante la guerra del 1848 contro l’Austria; Guglielmo Macarro, nativo di Sassello, che fece l’intera campagna e, benchè ferito a Palermo, si distinse sul Volturno. Dall’odierna provincia di Imperia Giuseppe G. B. Gastaldi, di Porto Maurizio, capitano marittimo, che aveva conosciuto Garibaldi in Perù, a Porto Callao, nel 1851, e scrisse in seguito le sue “Memorie di uno dei Mille”; Andrea Rossi, di Diano Marina, il pilota del “Piemonte”, già fedele seguace di Garibaldi in Sud America, diventato poi sindaco di Diano.
Altri erano originari dei territori dell’odierna provincia di Spezia: i marinai Francesco Castellini, di sedici anni, mozzo sul “Piemonte”, Luigi Andreotti e Gio Batta Monteverde di S. Terenzo di Lerici, Giuseppe Debiasi e Onesto Faccini di Lerici, imbarcati sul “Lombardo”. Quando Bixio, con un finto atto di pirateria, nella notte tra il 5 e 6 maggio 1860 si impadronì dei due piroscafi della Compagnia Rubattino ancorati nel porto di Genova, vollero tutti, ad ogni costo, partire con la spedizione di Garibaldi, sebbene fossero stati lasciati liberi di sbarcare e il Faccini - poiché era necessario che le operazioni per l’uscita dal porto dei due vapori avvenissero col massimo silenzio - si gettò più volte in mare a fasciare le catene, ricevendo in premio dallo stesso Garibaldi un marengo d’oro.
Paolo Raso, di Sarzana, affiliato sin da giovanissimo alla “Giovine Italia”, era fornaio e una volta conclusa la Spedizione, durante la quale si segnalò particolarmente alla presa di Palermo, ritornò alla vita di prima, continuando a fare il panettiere per mantenere la sua numerosa famiglia.
Altre valorose camicie rosse giungevano dal Golfo del Tigullio per portare il loro contributo di valore alla storica spedizione: Bartolomeo Canessa, fuochista sui vapori della Marina mercantile e Lorenzo Pellerano, facchino, entrambi di Rapallo; Carlo De Ferrari, di Sestri Levante, albergatore di professione e Giuseppe Vaccaro, nato a S. Maria di Bacezza (Chiavari). Nel cimitero di San Maurizio dei Monti, nell’entroterra rapallese, vi è la tomba di uno dei Mille: Giovanni Pendola, falegname genovese, la cui famiglia era però originaria di quella località, dove egli si stabilì ormai anziano.
E come non ricordare Simone Schiaffino, il biondo eroe di Camogli, l’alfiere dei Mille, che fu timoniere del “Lombardo” e cadde a Calatafimi, a soli 24 anni, colpito al petto da un cacciatore borbonico.
Si aggregarono alla spedizione anche elementi nativi dei piccoli borghi del genovesato: da Rossiglione, Gerolamo Airenta, caro amico dell’Abba che a lui dedica alcune delle sue “Noterelle”; da Campomorone, Gaetano Cambiaso; da Isola del CantoneNicolò Casassa che, terminata l’impresa, emigrò per qualche anno a Buenos Ayres dove aprì una bottega da droghiere; da S. Quirico Polcevera, Quirico Traverso, che morì il 1° ottobre nello scontro di Maddaloni; da Rivarolo Ligure, Giovanni Battista Roggerone e Giuseppe Canepa. Il Roggerone diede prova di grande coraggio nei vari fatti d’arme che gli valsero il grado di sottotenente  a Milazzo, cadde a Maddaloni nella battaglia del 1° ottobre 1860. Giuseppe Canepa, panettiere in Genova, si arruolò fra i Mille, pur essendo stato esonerato dal servizio militare in quanto primogenito di vedova.
Montoggio era nato Luigi Delucchi, che si sarebbe imbarcato dallo scoglio di Quarto – secondo una tradizione orale tramandata in famiglia – all’insaputa del padre insieme al quale si era recato a Genova proprio quel 5 maggio 1860.
Risposero all’appello anche Giulio Delucchi di Sampierdarena, giornalista e amico di G. C. Abba che lo nomina due volte nelle Noterelle; Giuseppe Gambino e Pietro Ventura di Voltri e Luigi Carbone di Sestri Ponente, maestro d’ascia e costruttore navale a Lavagna.
Prà diede i natali a Pietro Traverso, figlio di un modesto negoziante, da poco laureato in legge al momento della partenza per la Sicilia, trovando la morte a Villa Gualtieri in Maddaloni il 1° ottobre 1860, e a Francesco Rivalta, nato a Palmaro di Prà, appartenente al corpo dei Carabinieri Genovesi che, al contrario, ebbe una vita lunghissima, morendo quasi novantunenne. A uno dei fratelli del Rivalta, lo scultore Augusto, si deve il monumento equestre di Garibaldi in Largo Pertini a Genova.
Prà nacquero anche Salvatore Travi Luigi Giuseppe Sartorio, avvocato, che morì a Calatafimi, il 15 maggio 1860, nel primo aspro scontro tra garibaldini e borbonici.
Molti infine provenivano dalla Genova di allora - il cui territorio fino al 1873 si estendeva tra la Lanterna e le cosiddette” fronti basse” del Bisagno – ma solo di una piccola parte di essi si hanno notizie dettagliate:
Francesco Carbone, giovane ufficiale dei Carabinieri Genovesi che, non ancora ventenne, diede prova del suo animo temerario il 27 maggio durante la presa di Palermo.
Giovanni Battista Bozzo, untore di pelli, inserito prima nella Compagnia Bixio e successivamente nel corpo dei Carabinieri Genovesi, per il valore dimostrato nell’aspro combattimento di Milazzo del 20 luglio 1860 meritò la nomina a caporale.
Carlo Banchero, fervente mazziniano, condannato alla pena di venti anni di lavori forzati per la sua attività di cospiratore nel moto di Genova del 1857, riuscì ad essere fra i Mille per effetto dell’amnistia concessa nell’aprile del 1859;
Giambattista Capurro, anch’egli implicato nel tentativo insurrezionale del 1857, appartenne al glorioso manipolo dei Carabinieri genovesi guidati da Antonio Mosto  a Palermo. Gli erano accanto altri ardimentosi compagni dalla mira infallibile: Ernesto Cicala, Stefano Dapino, figlio di un ricco corallaio, “testa d’oro da cherubino, tanto era biondo”, come lo definisce l’Abba.
Filippo Cartagenova, terminata la sua esperienza di garibaldino, si trasferì a Varazze, dove visse modestamente, conducendo, insieme alla moglie, una bottega di merceria.
Francesco Cassanello aveva solo diciotto anni nel 1860, ma dimostrò il suo coraggio nei diversi combattimenti tra le fila dei Carabinieri Genovesi tanto da meritare la promozione a sottotenente e la medaglia d’argento al valor militare. Dopo il 1870 si dedicò alla fabbrica di famiglia delle paste alimentari che ingrandì e migliorò, rendendola una delle prime del genere in Liguria.
Enrico Copello, appartenente a una facoltosa famiglia genovese, aveva studiato in collegi svizzeri e si trovava a Milano quando seppe della preparazione della spedizione; giunto a Genova insieme al gruppo di volontari milanesi, incurante dei rimproveri paterni, seguì Bixio nell’azione per la cattura del “Lombardo” e del “Piemonte”, e fu, dopo l’undicenne Giuseppe Marchetti di Chioggia, uno tra i più giovani dei Mille, poiché aveva compiuto quindici anni pochi mesi prima. Pur avendo ottenuto a Palermo il grado di sottotenente nella VI Compagnia Carini, preferì combattere come semplice soldato tra i Carabinieri Genovesi.
Gaetano Angelrico Erede, nato in una famiglia di sentimenti repubblicani, era un giovane pieno di entusiasmo patriottico e già nel 1859 era fuggito di casa per arruolarsi come volontario nella guerra contro l’Austria, ma l’Armistizio di Villafranca aveva interrotto bruscamente il suo sogno di un’Italia unita. Un anno dopo poté realizzare questo ardente desiderio, unendosi alla Spedizione dei Mille nel manipolo comandato da Antonio Mosto; si distinse a Calatafimi, nell’attacco a Palermo e cadde gloriosamente sul campo a soli diciannove anni nella sanguinosa battaglia di Milazzo, il 20 luglio 1860, colpito da una palla in fronte. Alla raccolta di autografi custoditi nell’Archivio dell’Istituto Mazziniano appartengono gli appunti di viaggio con impressioni storico-artistiche e disegni a matita che Angelrico realizzò via via che la Spedizione avanzava in Sicilia.
Un altro esempio di prode soldato è quello di Paolo Emilio Evangelisti appartenente alla Prima Compagnia Bixio: costretto a letto per una fucilata che lo aveva colpito al viso nella battaglia di Calatafimi, dopo due mesi, stanco della forzata inattività, fuggì di notte dall’ospedale ancora bendato per raggiungere la sua Compagnia. Pur provato, tornò a combattere, rimanendo gravemente ferito per la seconda volta nella giornata del 1° ottobre, durante l’assalto dei Ponti della Valle presso Maddaloni; per la sua valorosa condotta, fu nominato capitano da Garibaldi. A testimonianza tangibile, nel salone del Museo del Risorgimento è esposta proprio la camicia rossa che l’Evangelisti indossava il 1° ottobre 1860, recante sulla schiena lo strappo causato dal proiettile borbonico.
Luigi Malatesta, legato al movimento repubblicano genovese, si era mostrato attivo politicamente sin da giovinetto, partecipando alla rivolta di Genova del 1849 e al tentativo insurrezionale del giugno 1857, collegato alla spedizione di Carlo Pisacane. Seguì Garibaldi in tutta la spedizione da Calatafimi al Volturno nella schiera dei Carabinieri Genovesi e successivamente in tutte le campagne come l’amico Stefano Olivari. L’Olivari, conosciuto in Genova col diminutivo di “Steanin”, fu temerario protagonista di spericolate imprese, e si racconta che nella guerra del 1866, su ordine di Garibaldi, a notte fonda, munito solo di un pugnale tra i denti, attraversò a nuoto, insieme al capitano garibaldino Francesco Carbone, il lago di Garda, riuscendo ad eliminare una spia nascosta vicino all’accampamento austriaco.
Sfortunato fu invece Carlo Emanuele Quezel: esercitava il mestiere di falegname ed era stato riformato alla visita per la leva militare a causa della bassa statura, ma questa “mancanza” non gli impedì di partire con Garibaldi e di segnalarsi nei vari combattimenti, ottenendo il grado di sottotenente. Rimase purtroppo ferito gravemente alla testa negli scontri per la presa di Palermo, tanto da perdere l’occhio sinistro e subire una deformazione permanente all’osso frontale, probabile causa della pazzia che lo portò alla morte a soli 39 anni.
Una evidente dimostrazione dello straordinario fervore patriottico che animava quegli uomini è rappresentato da Andrea Rebuzzone, Giuseppe Rissotto e Tommaso Roncallo, i quali, benché esentati dal servizio militare obbligatorio, in quanto unico sostegno per la famiglia, si arruolarono nei Mille.
Della spedizione fece parte anche Gio Batta Tassara, professore di scultura, autore di numerose e pregevoli opere aventi per soggetto personaggi del periodo risorgimentale. Al Museo del Risorgimento di Genova è conservato un semibusto in bronzo a mezzorilievo, con l’effigie di Garibaldi modellata dal vero dal Tassara nel 1861 e contrassegnata con la firma autografa del Generale.
Il gruppo ligure vanta inoltre un doppio primato: in esso sono compresi il garibaldino più anziano e l’ultimo superstite tra i 1089: Tommaso Parodi ed Egisto Sivelli.
Tommaso Parodi, fedele compagno di Garibaldi, al suo fianco sin dai tempi della Legione italiana di Montevideo, aveva 69 anni quando sbarcò coi Mille a Marsala, portando la sua lunga esperienza di soldato unita a una robusta costituzione fisica, nonostante fosse da considerarsi – per quell’epoca – ormai anziano; morì quasi centenario nel 1890.
Gio Batta Egisto Sivelli invece, aveva solo sedici anni quando nel maggio del 1860 scappò di nascosto da casa per salpare da Quarto con Garibaldi, che lo ebbe sempre caro. Fu presente in tutte le battaglie e al termine della campagna venne congedato col grado di sottotenente. Sivelli fu l’ultimo dei Mille a morire il 1° novembre 1934, all’età di novantuno anni, dopo una vita di laborioso lavoro come orafo nel negozio di filigrane in via Roma, ereditato dal padre. Il Sivelli, insieme a Francesco Rivalta e a pochi altri superstiti, il 5 maggio 1915 poté assistere alla grandiosa cerimonia di inaugurazione del monumento ai Mille a Quarto.
Un altro genovese non più giovane, ma deciso a “morire d’una palla, piuttosto che invecchiare sin chi sa quando e finire in un letto”, come scrive l’Abba nelle sue Noterelle, fu Luca Delfino che a 53 anni, sebbene padre di numerosa prole, preferì affrontare il pericolo delle battaglie seguendo Garibaldi come semplice milite nelle fila dei Carabinieri Genovesi, dimostrando il suo coraggio a Calatafimi e a Palermo.
Venti tra i volontari liguri caddero da prodi nel corso della spedizione: Giuseppe Belleno, Ambrogio Boggiano, Enrico Casaccia, Paolo Fasce, Andrea Montaldo, Angelo Profumo, Simone Schiaffino e Luigi Giuseppe Sartorio a Calatafimi; Carlo Mosto, fratello minore di Antonio, a Parco di Palermo; Domenico Beccaro, Giovanni Garibaldi e Gaetano Roccatagliata nei giorni dell’assalto a Palermo; Angelrico Erede a Milazzo; Giuseppe Poggi, ferito gravemente alla spina dorsale a Milazzo, morì dopo alcuni giorni di dolorosa agonia nell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina); Giuseppe Profumo a Reggio Calabria; Luigi Galleani all’ospedale di Napoli per le gravi ferite riportate; Angelo Cereseto, Gio Batta Roggerone, Pietro Traverso e Quirico Traverso caddero sul Volturno nella giornata del 1° ottobre.
Tuttavia la cifra di 1089 garibaldini contenuta nell’elenco ufficiale del 1878 non può considerarsi veramente completa, innanzitutto perché durante tutta l’impresa non si tennero veri “ruolini” e in secondo luogo perché parecchi, per diversi motivi, non vollero o non furono in grado di esibire la prova documentata della loro partecipazione alla schiera dei Mille sbarcati a Marsala. E’ questo il caso, ad esempio, del genovese Giovanni Battista Mosto, il quale, giovinetto diciassettenne, analfabeta ma ricco di ideali patriottici, nella fatidica notte tra il 5 e il 6 maggio si imbarcò, insieme agli altri volontari del capoluogo ligure, sul piroscafo Lombardo e l’8 novembre 1860, appena conclusa la campagna di Sicilia, si arruolò nella Regia Marina da guerra. Solo parecchi anni dopo poté procurarsi una certificazione sottoscritta da Antonio Mosto, Stefano Canzio, Luigi Malatesta e altri venticinque superstiti dei Mille, attestante la sua effettiva appartenenza alla leggendaria spedizione. Ma tutto ciò non valse a far includere il suo nome nell’elenco ormai divenuto definitivo e non godette della pensione dei Mille. Tuttavia a quel brav’uomo bastava la propria consapevolezza di esser stato uno dei componenti della gloriosa schiera, anche senza un riconoscimento ufficiale.
La spedizione di Garibaldi in Sicilia non si esaurisce comunque con i cosiddetti “Mille” in quanto, dopo il primo contingente di camicie rosse partito dalla spiaggia della Foce e dallo scoglio di Quarto tra il 5 e il 6 maggio 1860, altri volontari si unirono alle successive spedizioni in aiuto a Garibaldi. Migliaia di giovani accorsero a Genova per arruolarsi e si calcola che tra i mesi di giugno e agosto circa 21.000 volontari salparono dalla costa ligure alla volta della Sicilia, anche se non esiste una documentazione precisa. I contingenti più importanti per numero furono quello guidato da Giacomo Medici – comprensivo di 2.500 uomini e 8.000 fucili - che partì da Genova Cornigliano nella notte tra il 9 e il 10 giugno, e quello agli ordini di Enrico Cosenz, con oltre 2.000 volontari, che salpò il 2 luglio.
Fecero certamente parte di una delle numerose spedizioni di soccorso tanti giovani liguri, rimasti purtroppo sconosciuti, in gran parte umili popolani, combattenti improvvisati, male armati con fucili arrugginiti e poche cartucce, ma tutti sostenuti da patriottico entusiasmo, i quali hanno contribuito a scrivere una delle pagine centrali del nostro Risorgimento.

Federico Gattorno
Federico Gattorno, nato a Genova nel 1836 da una agiata famiglia di armatori e commercianti, era stato plasmato sin da bambino al culto della patria dallo zio materno Federico Campanella, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini, e si era avvicinato ben presto al movimento repubblicano, partecipando a diverse cospirazioni mazziniane,  instaurando un forte rapporto di amicizia con lo stesso Mazzini. Avviato dal padre all’attività armatoriale, fu costretto ad imbarcarsi sulle navi di proprietà della famiglia e fece lunghi viaggi all’estero, specie sul Mar Nero, dedicandosi al commercio in granaglie, ma pur sempre attivo propagatore del diritto alla libertà dei popoli.
Nel maggio del 1860 si trovava proprio nel Mar Nero per motivi di lavoro, quando ebbe notizia dello sbarco dei Mille a Marsala. La decisione del giovane patriota fu immediata: si precipitò a Costantinopoli, vi formò una squadra di centocinquanta uomini e ripartì per raggiungere Garibaldi in Sicilia. Da allora fu al suo fianco in tutte le campagne per l’indipendenza italiana per oltre vent’anni, sino alla guerra del 1870 dove compì atti di valore nell’Armata dei Vosgi in qualità di Colonnello Capo di Stato Maggiore dei Corpi Garibaldini.
Alla morte dell’Eroe, ne proseguì le iniziative in Parlamento, essendo stato eletto deputato ben quattro volte nel Collegio di Rimini, sempre largamente sostenuto dal voto repubblicano.
Nel 1897 al comando di un battaglione di Volontari Garibaldini, seguì il Generale Ricciotti Garibaldi nella campagna di Grecia contro la tirannide turca, dando l’ennesima prova del suo coraggio.
Morì nel 1913 a Roma, città nella quale si era stabilito dopo l’elezione al Parlamento, ma il suo corpo riposa nel cimitero di Staglieno, nel boschetto irregolare vicino alla tomba di Mazzini e di altri patrioti del Risorgimento, accanto alla moglie Amelia Filomena Aloi, che volle essere unita per l’eternità al compagno della sua vita.
L’amicizia tra Giuseppe Garibaldi e Federico Gattorno nacque proprio nel 1860, durante la spedizione dei Mille, e si consolidò in tutte le successive campagne di guerra combattute fianco a fianco.
La testimonianza tangibile dell’amicizia e stima che legò il genovese Gattorno all’Eroe dei Due Mondi, è racchiusa nei petali di una rosa rossa, conservati in una piccola teca di cristallo insieme a una ciocca di capelli, gelosamente custodita di generazione in generazione in una villa di Quarto e ora concessa alla pubblica visione, insieme ad altri cimeli e documenti, grazie alla disponibilità della Signora Amelia Rosa Aloi, nipote di Spiridione Aloi, ultimo Sindaco del Comune di Quarto e cognato di Federico Gattorno, che ne aveva sposato la sorella Amelia Filomena.
La rosa sarebbe quella che Garibaldi stringeva in pugno al momento della morte, il 2 giugno 1882 a Caprera, e che poi fu donata, come gesto d’affetto, dalla moglie Francesca Armosino o dai figli al caro amico Gattorno, prontamente accorso sull’isola non appena avuta notizia dell’ulteriore peggioramento delle già gravi condizioni di salute del Generale, a causa di un fortissimo attacco bronchiale, come risulta da una dichiarazione, sigillata con un timbro in ceralacca rossa, scritta e firmata da uno dei notai genovesi più famosi all’epoca, Zeffirino Olivieri, in cui si attesta l’autenticità di quanto contenuto nell’urna: "Qui si contengono capelli del Generale Garibaldi e la rosa che venne tolta dalle sue fredde mani al letto di morte".

a cura di Liliana Bertuzzi (responsabile attività didattica del Museo del Risorgimento)

I GARIBALDINI LIGURI