La mostra "Giuseppe Mazzini e la musica" si è svolta a Roma presso il Museo Napoleonico dal 31 marzo al 6 giugno 2011
In mostra un racconto figurato sul rapporto di Giuseppe Mazzini con la musica.
Esposta anche una delle tre amate chitarre del “Padre della Repubblica”, insieme a documenti originali, oggetti personali dalla Domus Mazziniana di Pisa e dall’Istituto Mazziniano di Genova. A testimoniare una passione personale piegata anche a fini politici.
Certo che immaginare Giuseppe Mazzini, che l’iconografia tramanda severo e quasi corrucciato, con la chitarra in mano, intento a suonare le melodie à la mode, non è così immediato. Eppure Mazzini di chitarre ne aveva e ne suonava più di una, segno di una vera passione e di una cultura musicale di prim’ordine.
Di questo dà conto l’affascinante mostra “Giuseppe Mazzini e la musica” allestita dal 31 marzo al 28 maggio al Museo Napoleonico di Roma a cura di Pietro Finelli, Giuseppe Monsagrati, Paolo Peluffo, Raffaella Ponte, Stefano Ragni e Anna Villari.
L’esposizione, promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Unità Tecnica di Missione per le Celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia e da Roma Capitale Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali, celebra il valore sociale e rivoluzionario della musica in epoca risorgimentale e descrive il rapporto che Giuseppe Mazzini instaurò con la musica stessa, approfondendone i risvolti sia dal punto di vista teorico e filosofico sia da quello più intimo e personale. E’ del resto ben noto come Mazzini sia stato amico di molti artisti, da Mario Candia, la cui casa parigina venne utilizzata come base per incontri e cospirazioni patriottiche, a Giulia Grisi, Antonio Ghislanzoni e Agostino Ruffini.
Testimonianze originali, oggetti personali e documenti provenienti dalla Domus Mazziniana di Pisa e dall’Istituto Mazziniano di Genova sono accompagnati in mostra da pannelli e immagini.
Tra le testimonianze originali, il testo de La Filosofia della musica, pubblicato nel 1836, il manoscritto con lo spartito musicale autografo, il Canto delle mandriane bernesi che riproduce un canto popolare svizzero ascoltato nel 1836 durante l’esilio svizzero a Grenchen, e alcuni degli spartiti della collana di spartiti musicali patriottici patrocinata dallo stesso Mazzini negli anni Sessanta del secolo.
In mostra il visitatore viene accompagnato lungo un viaggio ideale alla scoperta del progetto mazziniano di una musica sociale e “rivoluzionaria”, che si inquadra in un più ampio contesto di uso “emozionale” della musica (e in particolare del melodramma) in politica.
L’esposizione si articola a più livelli tematici: il primo si sofferma sulla passione personale di Mazzini in campo musicale e, oltre ai pannelli che riportano stralci di lettere che rivelano i suoi gusti e le sue passioni, presenta al visitatore la chitarra, risalente alla prima metà del XIX secolo e appartenuta, sulla base della documentazione disponibile (una lettera di Filippo Bettini a Jannet Nathan), alla madre di Mazzini, Maria Drago, poi a Mazzini stesso e da questi donata, nel 1866, a Jannet Nathan.
Un ulteriore approfondimento è riservato a La Filosofia della musica, la più compiuta riflessione mazziniana sul tema, comparsa inizialmente a puntate su “L’Italiano”, rivista promossa da Mazzini e da altri esuli di orientamento democratico a Parigi. Questa riflessione si inserisce all’interno di un più ampio dibattito sulla natura, le forme e la funzione del melodramma in epoca risorgimentale e il cui testo venne notevolmente influenzato dall’ambiente culturale francese “repubblicano-romantico-lamennaisiano” e dalle opere di George Sand e Frederich Liszt. La musica come chiave d’accesso alla natura autentica di un popolo, dunque, una riflessione che porta Mazzini a incitare i «giovani artisti» affinché si innalzino «collo studi de’ canti nazionali delle storie patrie».
Ancora una riflessione è dedicata alla triade Rossini, Donizetti e Mayerbeer, triade che lo stesso Mazzini poneva al vertice della produzione musicale romantica al momento della stesura della Filosofia, e anche in seguito.
Infine l’incontro di Mazzini con Giuseppe Verdi, momento di altissimo valore simbolico. E’ noto come tra l’estate e l’autunno del 1848, Mazzini abbia inviato a Verdi, che si trovava a Parigi, un Inno scritto da Goffredo Mameli; Verdi mise in musica il testo e così l’autore del futuro Inno nazionale, il Profeta dell’Unità d’Italia e il più grande musicista italiano del Risorgimento (e non solo) si trovarono accomunati in un unico testo.
In mostra l’edizione originale dell’Inno del 1848 e quella del 1865.
Al termine del percorso una sezione – vista la scelta come sede espositiva della mostra di un luogo carico di storia come il Museo Napoleonico di Roma – è dedicata al rapporto tra Mazzini e i Bonaparte.
Una decina di ritratti, tra litografie e incisioni, presentano alcuni personaggi, anche femminili, della famiglia Bonaparte che entrarono in contatto con Mazzini e che furono coinvolti a vario titolo nel processo risorgimentale.
Da sottolineare ancora la presentazione in mostra del ritratto di Mazzini di Emile Ashurst Venturi, proprietà dell’Istituto mazziniano di Genova, qui esposto dopo il restauro eseguito per l’occasione su commissione dell’Unità Tecnica di Missione. L’opera riveste una duplice importanza: per la qualità del ritratto, pienamente godibile grazie al restauro, e perché a dipingerlo è stata una donna, Emile Ashurst, figlia di un intellettuale radicale, amica cara e preziosa per Mazzini negli anni dell’esilio londinese.