Tromba in conchiglia

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Conchiglia di Charonia

Tipologia:

Strumento musicale

Tecnica e misure:

Conchiglia

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Descrizione:

Nelle caverne preistoriche del Finalese (SV) sono state ritrovate conchiglie di Charonia con l’apice tagliato e levigato: venivano usate 6000 anni fa come trombe naturali, forse per segnalazioni. L’uso delle conchiglie per ottenere suoni è attestato in molte parti del mondo e in varie epoche. Anche nella mitologia antica Tritone, figlio del dio del mare Poseidone, è spesso rappresentato in atto di suonare questa conchiglia soffiandoci dentro. Prove musicali hanno dimostrato che gli esemplari di Charonia conservati al Museo di Archeologia Ligure sono molto potenti e danno la possibilità di emettere note e suoni diversi.

Anonimo scultore di cultura nordica "Immacolata"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Anonimo scultore di cultura nordica, seconda metà XVII secolo

Tipologia:

Scultura

Tecnica e misure:

Avorio lavorato ad incisione, 38,3 x 15 x 11 cm


Ecco una straordinaria Immacolata in avorio (seconda metà sec. XVII) che rivela un’abilità davvero non comune nella lavorazione. Non si conosce, purtroppo, la provenienza di questo vero capolavoro, ma se il tipo iconografico lo fa ricondurre a un ambito genovese, alcuni dettagli (si veda in particolare la complicata acconciatura) la riconducono a un artista nordico. Chi possa essere nello specifico è arduo a dirsi. Gli scultori in avorio stranieri (fiamminghi, francesi, tedeschi) venivano in Italia – e Genova era una delle mete principali – a raffinare l’arte dell’intaglio, e poi, spesso, in Italia si trattenevano o si stabilivano.
 

Parimenti, in Italia gli artisti dell’avorio erano numerosi e quasi sempre, come i colleghi stranieri, producevano opere lavorando molti materiali: non solo l’avorio, ma anche i lapidei, il legno, i metalli. E purtroppo quasi nessuno firmava e/o datava le proprie realizzazioni. A noi rimane l’ammirazione per un riconosciuto capolavoro fra gli avori del tempo e un quesito scientifico sul quale lavorare a fondo.

 

Ettore Tito "Amazzone"

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Titolo dell'opera:

L'amazzone

Acquisizione:

Luigi Frugone 1953 Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Ettore Tito (Castellammare di Stabia, 1859 - Venezia, 1941)

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1906 - 1906

Inventario:

GAM1571

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 208; Larghezza: 128

Tecnica e misure:

Olio su tela, 208 x 128 cm

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Descrizione:

L’opera, di grandissime dimensioni - misura più di 2 metri in altezza - è stata ripensata dall’artista nel corso degli anni. Nella prima versione il dipinto si presentava più sviluppato nella parte sinistra, dove il corpo del cavallo era totalmente delineato e arretrato sul fondo. L’artista tagliò poi la tela su tre lati, tra cui in altezza, eliminando una zampa, una parte del fianco e la punta delle orecchie del grande animale, mentre riduceva l’albero e il prato sul lato destro, inquadrando e spingendo in primo piano la scena grazie all’introduzione di una staccionata. Questo elemento, delimitando il primo piano occupato dal cane, che è separato dal piano occupato dalla donna e il suo cavallo, scandisce la scena che raggiunge così un'unità compositiva d’insieme di grande forza espressiva. L'amazzone raffigurata è la moglie di Tito, Lucia, accompagnata dal suo purosangue e dal levriero di famiglia, Furio, dopo una passeggiata a cavallo.

Archivio Provinciale dei Cappuccini

L’Archivio storico della Provincia di Genova dei Frati Minori Cappuccini conserva documentazione a partire dal 1538, anno in cui i frati giunsero, chiamati dall’amministrazione degli ospedali  per occuparsi dell’assistenza ai malati.

Nel volgere di un secolo la Provincia aveva conventi diffusi su tutto il territorio ligure, da Sarzana a Mentone, per giungere a nord sino a Ovada e Voltaggio. Gli atti testimoniano l’attività di apostolato dei frati sul territorio, le missioni in Africa e Sudamerica e più in generale i rapporti con la popolazione e le istituzioni civili e religiose.

Le carte riflettono le vicende storiche di cinque secoli, con testimonianze dirette non solo sugli aspetti devozionali e le pratiche caritative, ma anche su opere d’arte, sui mutamenti politici e sociali e sulle ultime guerre mondiali. La tipologia documentaria è varia e consiste in corrispondenza, atti notarili, bolle pontificie, decreti, memorie, biografie di frati, registri di vestizioni, pratiche riguardanti l’edificazione e il restauro di chiese e conventi, fotografie. La consistenza complessiva è di circa 4000 unità archivistiche, tutte riordinate e inventariate con software CEIAr.

Gli inventari dei fondi archivistici dei conventi sono pubblicati sul sito dei beni culturali ecclesiastici  www.beweb.chiesacattolica.it. Il fondo della Curia provinciale, contenente i più antichi atti relativi al governo della Provincia, alle missioni e alle vite di frati, non è ancora pubblicato, ma dispone comunque di un inventario informatizzato.

Le 10 meraviglie

Edoardo De Albertis, L’Autunno

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Titolo dell'opera:

L'autunno

Acquisizione:

De Albertis Edoardo 8 marzo 1926 Liguria/ GE/ Genova

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Edoardo De Albertis (Genova, 1874-1950)

Tipologia:

scultura

Epoca:

1925 - 1925

Inventario:

GAM0462

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 195; Larghezza: 45; Profondità: 54

Tecnica e misure:

Bronzo, 195 x 45 x 34 cm

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Descrizione:

Il grande bronzo, d'ispirazione michelangiolesca, era stato progettato per il padiglione italiano nell'Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali Moderne inaugurata nel 1925 a Parigi. L'opera reggeva l'architrave di ingresso alla sala dei liguri. La scultura corrisponde a quella poetica simbolista che aveva denotato tutta la produzione precedente dell'artista che, con Plinio Nomellini e C. Roccatagliata Ceccardi, era diventato un punto di riferimento per gli ambienti culturali e artistici della città. Una delle realizzazioni più importanti dello scultore rimane la sala dell'"Arte del Sogno" progettata per la VII Biennale di Venezia del 1907, con la collaborazione dell'amico Nomellini, Galileo Chini e Gaetano Previati: essa è massima espressione della creazione di un ambiente in cui si fondono scultura, pittura e arti applicate.

L’Archivio Istituto Mazziniano

Le raccolte documentarie conservate nell’Archivio dell’Istituto rappresentano un indispensabile punto di riferimento per la ricerca storica.

Creato da Arturo Codignola, con criteri in oggi non più rispondenti ai dettami della dottrina archivistica contemporanea - intere serie di documenti vennero in allora sottratte  all’Archivio Storico del Comune -, fu sottoposto ad una prima catalogazione realizzata con rigore scientifico ad opera di Bianca Montale, negli anni  in cui fu  direttrice dell’Istituto Mazziniano (1956-1970).

Nel corso del 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato portato a compimento il progetto di ricognizione e schedatura informatizzata della documentazione, promosso dalla direzione dell’Istituto in collaborazione e sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza archivistica per la Liguria, e interamente finanziato dal Ministero dei Beni Culturali.

Nel corso del 2017 è stato completato il progetto denominato "Censimento e valorizzazione delle fonti relative alla  Prima Guerra Mondiale conservate nelle collezioni documentarie e iconografiche dell’Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento di Genova", finanziato nell’ambito dell’avviso pubblico per la selezione di iniziative culturali commemorative della Prima Guerra Mondiale, emesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale (Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art.1, comma 309).

Scarica l'inventario dell'Istituto Mazziniano

Consulta il materiale relativo alla Grande Guerra

Consulta la banca dati del fondo documentario relativo al Legato Itala Cremona Cozzolino, digitalizzato dall'Università di Milano, Dipartimento di Matematica sul sito www.luigi-cremona.it

Inventario Archivio Istituto Mazziniano aggiornato al novembre 2021

Le 10 meraviglie

Domenico Parodi, affresco, "Apollo e Marsia"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Domenico Parodi (Genova, 1668-1740)

Tipologia:

Decorazione ad affresco

Tecnica e misure:

Affresco

 

La Galleria degli Specchi è certamente uno degli ambienti più celebri e celebrati del palazzo.
In origine, nel 1650, era decorata solo dai quadri e dalle statue di Giovanni Battista Balbi, figlio di Stefano primo proprietario della dimora. L’aspetto attuale, di straordinario impatto scenografico, si deve a Domenico Parodi (1672-1742) che, intorno al 1725, realizzò una delle sue imprese più felici e meglio orchestrate.
Vizi e divinità viziose si contrappongono alle Virtù nella complessa macchina iconografica commissionata da Gerolamo Ignazio Durazzo: stucchi veri si mutano sotto gli occhi dell’osservatore in quelli dipinti, mentre la pittura finge la scultura, l’oro vero si confonde con quello evocato, specchi e luci dilatano lo spazio, allegorie e figure del mito si mescolano a personaggi della storia antica in una serie di espedienti illusionistici di straordinaria inventiva e varietà.
Questo episodio, anch’ecco collocato in uno spazio semicircolare speculare a quello dell’opposta testata, evoca la contesa tra Apollo, intento a suonare la cetra, e Marsia, impegnato con la sua siringa. Attorno a loro stanno le nove muse che decreteranno la vittoria del dio, che infliggerà al satiro la più crudele delle punizioni. Tra le compagne di Apollo si riconoscono in primo piano Melpomene con la spada, ovvero la Tragedia, e sul fondo Urania, musa dell’Astronomia con il globo, mentre in piedi, alla sinistra di Apollo, con la tromba, sta Euterpe ovvero la Musica.
In alto due putti in volo stringono nelle mani serpenti in riferimento a un’altra vittoria di Apollo, quella su Pitone.

 

Valerio Castello, affresco, "La Fama"

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Valerio Castello (Genova, 1624-1659)

Tipologia:

Decorazione ad affresco

Tecnica e misure:

Affresco

 

L’Anticamera del Duca di Genova, vera e propria camera picta, risale alla committenza diretta dei Balbi, primi proprietari della dimora che, con lungimiranza e raffinatezza di scelte, coinvolsero Valerio Castello (1624-1659), artista chiave dell'età barocca genovese, attivo in questo ambiente tra il 1653 e il 1654.

Per la dimora allora Balbi inventò questa aggraziata, sinuosa figura alata, stagliata contro un cielo chiarissimo, color azzurro lapislazzulo, intenta, con decisione, a suonare la sua lunga tromba: è la Fama che annuncia a tutte le genti fortune e glorie della famiglia. Una fama raggiunta attraverso le Virtù, come sottolineano le allegorie poste entro le nicchie sul cornicione e identificate in Intelletto, Vigilanza, Immortalità e Saggezza.

La costruzione prospettica di finte quadrature è opera del pesarese Giovanni Maria Mariani, un artista formatosi a Bologna e molto attivo a Roma dove morì nel 1679.

Sulle pareti Valerio immagina un’architettura che amplifica in senso illusionistico lo spazio della sala verso l’esterno: l’effetto trompe l’oeil si percepisce ancora sopra le porte con clipei sorretti da putti, mentre al centro delle pareti trovano posto pannelli decorativi a finti stucchi dorati.

Anche le tempere sullo zoccolo di base sono di mano del Castello e fingono rilievi a monocromo su fondo rosso dedicati alle personificazioni della Pittura, Scultura, Astronomia e Musica mentre nelle specchiature su fondo verde sono i Quattro Elementi, Tritoni, Centauri e Lapiti.

Giovan Carlo Doria a cavallo

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Peter Paul Rubens (Siegen, 1577 - Anversa, 1640)

Tipologia:

Dipinto

Tecnica e misure:

Olio su tela, 265 x 188 cm

 

Segnalato nell’inventario dei beni di Giovan Carlo Doria redatto entro il 1617 e in tutti i successivi inventari della quadreria allestita nel palazzo in vico del Gelsomino, il dipinto passò in seguito al figlio Agostino e nel 1640, dopo la scomparsa di quest’ultimo, al fratello Marcantonio Doria. La tela fu descritta da Carlo Giuseppe Ratti nella quadreria di Marcantonio IV Doria. Successivi passaggi ereditari determinarono il trasferimento del ritratto a Napoli, dove venne esposto nel palazzo dei Doria d’Angri.
Nel marzo 1940 il dipinto fu posto in vendita insieme ad altre opere presenti nella collezione. La domanda di esportazione che la nuova proprietà presentò il 18 giugno 1940 fu negata dal Ministro dell’Educazione Nazionale su parere sfavorevole del Consiglio Nazionale dell’Educazione, ma un anno dopo il dipinto fu ceduto ad Adolf Hitler e destinato al museo di Linz. Il 16 novembre 1948 il ritratto fu restituito all’Italia e destinato a Firenze (Palazzo Vecchio), dove rimase fino al 1985, anno in cui fu riportato a Napoli in deposito presso il museo di Capodimonte. Nel 1988 la tela fu definitivamente assegnata alla Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola.
È possibile definire con precisione la sequenza degli eventi che portarono alla realizzazione del ritratto. La professione a cavaliere dell’Ordine di San Giacomo, datata 28 dicembre 1612, si pone a conclusione di una pratica avviata da una “supplica” che risale al 1603 circa. Filippo III l’8 luglio 1606, informò l’Ordine della volontà di conferire le insegne al nobile, decisione che doveva essere comunicata entro trenta giorni. Si deve quindi supporre che l’annuncio ufficiale dell’investitura abbia spinto Giovan Carlo a commissionare il dipinto, in cui appare già con la croce dell’Ordine, senza attendere di vestire l’abito (1610) e di prestare giuramento (1612). Nel 1606 approfittò della presenza a Genova di Rubens, il quale realizzò nello stesso anno un ritratto del padre Agostino, oggi perduto, e quello della cognata Brigida Spinola.

 

Sala dell’Autunno

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Autore/ Manifattura/ Epoca:

Sala dell'Autunno

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Sala Autunno-foto Visconti 2012

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