Nel X secolo d.C. i maori si spingono dalla Polinesia orientale verso sud-ovest, raggiungendo Aotearoa, “l’isola dalla lunga nuvola bianca”. La presenza sulle loro grandi imbarcazioni di donne, cani e piante utili fa scartare l’ipotesi di derive accidentali. Passati dal clima tropicale a quello australe, i maori devono affrontare nuove situazioni ecologiche che segnano anche profondi cambiamenti economici e culturali. Nei secoli seguenti la riconversione ad attività sedentarie e l’aumento demografico provocano una concorrenza territoriale, soprattutto nell’Isola del Nord, che dà origine a scontri frequenti.
Vengono edificati i pa: villaggi fortificati con ampie terrazze artificiali, fossati, palizzate, che più tardi susciteranno l’ammirazione degli strateghi britannici.
Dal 1790 il territorio si popola di uomini di mare inglesi, cacciatori di foche e balene, ma è solo dopo il 1835 che Londra decide di annettere queste isole.
Il Trattato di Waitangi del 1840, redatto in inglese e in maori, per una traduzione ambigua, determina un malinteso di fondo che peserà nei rapporti tra autoctoni e colonizzatori. Il testo inglese indicava l’imposizione incondizionata della sovranità britannica, il testo maori conservava ai capi l’autorità territoriale mentre lasciava alla Corona solo un ruolo di controllo in tutte le questioni sorte con i pakehas (inglesi).