Palazzo Bianco e i suoi depositi
Una "Galleria secondaria" di diciotto sale con più di duecento dipinti tutti da scoprire
Palazzo Bianco, individuato a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento come museo civico di arte e storia, vide successive e differenti sistemazioni del suo cospicuo e complesso patrimonio civico. L’assetto attuale, quello che ha segnato maggiormente la storia del Museo, si data all’immediato dopoguerra, ossia alla riapertura della galleria nel 1950 con un nuovo ordinamento voluto da Caterina Marcenaro (1906-1976), neo direttore dell’Ufficio Belle Arti, e un allestimento studiato da Franco Albini (1905-1977), architetto di formazione razionalista.
Il risultato, fondato su una selezione rigorosa delle opere esposte e su scelte museografiche inedite, fu di alto profilo, sconvolse le attese più tradizionaliste e pose il rinnovato Museo all’attenzione del mondo della cultura a livello nazionale e internazionale. L’allestimento era infatti caratterizzato da un estremo rigore formale, che traspariva dal colore grigio chiaro di pareti e volte, dalla pavimentazione uniforme, dall’uso sapiente dell’illuminazione e, infine, dai supporti delle opere realizzati con materiali poveri, industriali, verniciati in nero.
Fece scalpore anche la modernità innovativa nel concepire e allestire i depositi: fatti non per nascondere le opere, ma per conservarle e renderle visibili al pubblico degli studiosi, degli appassionati, dei turisti e dei curiosi.
Palazzo Bianco possiede un ampio spazio dedicato ai depositi, esteso quanto un piano dell’edificio, al quarto livello del Museo.
I quadri sono presentati con lo stesso criterio adottato in Galleria, ovviamente con una disposizione più fitta, che si avvale anche di paratie al centro delle sale a cui sono fissate opere per aumentare lo spazio disponibile. È stato concepito per essere visitabile, per fungere da Galleria secondaria, da "riserva" a cui attingere per variare e ampliare il percorso espositivo principale, o per presentare quadri in attesa di restauro o in corso di studio. Un deposito ricco è una risorsa inestimabile per un museo, perché gli garantisce la possibilità di cambiare, di reinventarsi, di rinnovarsi.
A disposizione del pubblico sono dunque più di duecento dipinti, ordinati in 18 sale. Il panorama sulla pittura di scuola genovese fra Cinque e Settecento è molto ampio; seguono i pittori italiani e la sezione dedicata ai Fiamminghi, agli Olandesi e ai Francesi.
Il percorso inizia dalla pittura genovese, con opere di maestri cinquecenteschi (Luca Cambiaso, Cesare Corte), della prima metà del Seicento (Bernardo Castello, Giovan Battista Paggi, Simone Barabino, Bernardo Strozzi, Giovanni Andrea De Ferrari, Domenico Fiasella, Anton Maria Vassallo e Luciano Borzone), e della seconda metà del secolo (Valerio Castello, Stefano Magnasco), oltre alla nutrita serie di dipinti di invenzione e copie da grandi capolavori realizzate da "Casa Piola", con opere di Domenico, Anton Maria e Paolo Gerolamo, di cui è esposta una serie di bozzetti per decorazioni a fresco. La sezione è conclusa da tele di Raffaele Badaracco, Gregorio De Ferrari, dalla ritrattistica settecentesca (Domenico Parodi e il Mulinaretto) e da paesaggi del medesimo periodo di ambito genovese. I depositi ospitano inoltre opere italiane del Cinque e Seicento e dipinti di maestri fiamminghi e olandesi fra Cinque e Settecento: tra gli altri, Van Deynen, Wildens, De Wael, Daniel van den Dijck, Joos de Momper, Malò e Tempesta.