I Brignole, originari dell’entroterra di Rapallo, appartenevano a quell’ambiente di commercianti-imprenditori della lavorazione della lana prima, e della seta poi, che nel giro di due o tre generazioni si affermarono al punto di arrivare a far parte del ceto dirigente della Repubblica di Genova.
Tra le famiglie cosiddette nuove, essi furono tra i primi a vantare un predicato nobiliare, grazie a un’oculata politica di alleanze matrimoniali. Il matrimonio di Gio.Francesco Brignole (1582-1637) con Geronima, unica figlia di Giulio Sale, assicurò al loro figlio Anton Giulio, nato nel 1605, il nome e il titolo, nonché il relativo feudo, il palazzo di città e la villa in Albaro, e soprattutto la consistente ricchezza di famiglia. Intorno al 1617, Gio.Francesco abbandonò la residenza avita e si trasferì nella dimora del suocero in piazza degli Embriaci e, per dimostrare lo status sociale raggiunto, nel 1621 ne fece rinnovare la decorazione da Andrea Ansaldo.
Nella stessa ottica è da considerarsi la commissione a Van Dyck, nel 1627, dei ritratti della moglie con la figlia Aurelia, del figlio Anton Giulio e della nuora Paolina Adorno: le dimensioni monumentali degli stessi e la ricchezza delle vesti indossate dagli effigiati vanno interpretati come emblemi della potenza economica acquisita.
Nel 1635, gli investimenti effettuati e la "politica" condotta in ambito cittadino portarono all’elezione a doge di Gio.Francesco, destinato a morire appena quattro giorni dopo lo scadere del suo mandato, nel luglio del 1637.
Con Anton Giulio (1605-1665), unico erede maschio della famiglia, noto prima per la sua attività letteraria e diplomatica, poi, ormai vedovo e quarantacinquenne, per aver preso i voti religiosi ed essere entrato nella Compagnia di Gesù, cominciò a prendere forma concreta l’intenzione della famiglia di costruire un palazzo di prestigio, una residenza allineata - anche materialmente - a quelle dell’aristocrazia più in vista di Genova, lungo Strada Nuova.
Nel 1647 egli era proprietario di tre case contigue all’estremità occidentale della via, e chiese alla magistratura del Comune il permesso di chiudere i vicoli intercorrenti fra esse, per ottenere un’unica area sulla quale costruire un edificio di più vaste proporzioni. L’impresa sarà realizzata dai suoi due figli, Ridolfo e Gio.Francesco I (1643-1694), e da allora la storia della famiglia Brignole - Sale sarà legata indissolubilmente alla storia di Palazzo Rosso. L’edificazione del palazzo avvenne tra il 1671 e il 1677 e le diverse generazioni che abitarono la dimora commissionarono cicli ad affreschi e decorazioni in varie parti del palazzo, di fatto realizzando appartamenti di gusto diverso nelle diverse epoche di vita della residenza.
Contemporaneamente si costituì e si incrementò nel tempo una ricchissima quadreria di capolavori della pittura italiana ed europea, a partire dalla prima commissione dei menzionati grandi ritratti ad Anton Van Dyck, primo significativo segno della potenza economica raggiunta dalla famiglia. Vennero poi le commissioni e gli acquisti di Gio.Francesco I Brignole - Sale che, rimasto unico erede e proprietario di Palazzo Rosso con la morte del fratello Ridolfo, continuò l’opera di accrescimento delle collezioni e di ingrandimento e arricchimento della dimora; e poi ancora seguirono le acquisizioni per merito di Maria Durazzo, moglie di Gio.Francesco I, che sostenne questa lungimirante e munifica politica, e, rimasta vedova, diede un apporto assai significativo alle collezioni della famiglia ampliando le ricche raccolte d’arte ricevute per eredità dal padre, Giuseppe Maria Durazzo.
Con l’acquisto nel 1711, da parte della stessa Maria Durazzo, del palazzo già Grimaldi poi De Franchi in Strada Nuova, l’odierno Palazzo Bianco, per la linea cadetta della famiglia, Gio.Francesco II Brignole - Sale (1695-1760) si ritrovò unico proprietario di Palazzo Rosso e delle sue collezioni di quadri, costituite, a questo punto, sia da opere provenienti dalla famiglia Brignole-Sale (fra le quali erano, oltre i citati grandi ritratti di Van Dyck, dipinti di Guido Reni, di Guercino, di Mattia Preti, di Bernardo Strozzi) sia da dipinti pervenuti dalla famiglia Durazzo, il cui nucleo più consistente comprendeva tavole e tele d’ambito veneto del XVI secolo (fra le quali meritano d’essere ricordate le opere di Palma il vecchio e di Veronese).
Gio.Francesco II procedette ad altri significativi acquisti, tra i quali ricordiamo i Quattro Apostoli di Giulio Cesare Procaccini, il Ritratto di giovane di Van Dyck, La carità di Bernardo Strozzi. Agli anni della sua missione diplomatica a Parigi (intorno agli anni 1737-1739) si devono poi far risalire le commissioni fatte a Hyacinthe Rigaud, pittore ufficiale dell’aristocrazia del tempo, relative al ritratto suo e della moglie.
Altri appartamenti e altre commissioni segnarono la storia della dimora nelle generazioni successive, fino a quando, nel 1874, l’ultima erede della famiglia, Maria Brignole - Sale De Ferrari duchessa di Galliera, donò Palazzo Rosso alla città insieme alla sua eccezionale collezione di capolavori, suggello dell’ascesa sociale, economica e politica della casata. Si legge nell’atto di cessione della donatrice che “per attestare pubblicamente i loro sentimenti d’amore alla Città di Genova, e di zelo per tutto ciò che può accrescere il decoro e l’utile dei suoi abitanti e la sua fama presso i forestieri, la Duchessa di Galleria e il Marchese Filippo De Ferrari suo figlio, sono venuti nella determinazione di cedere al Municipio di questa Città il cosiddetto Palazzo Rosso, colle entrostanti galleria di Quadri e Biblioteca”. Il ruolo della Duchessa di Galliera è dunque in tal senso assolutamente analogo, nella forma, nei contenuti e nelle motivazioni, a quello dell’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici, che donò l’intero patrimonio artistico e culturale della famiglia Medici alla città di Firenze “per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.
Per legato testamentario della stessa nobildonna genovese nel 1889 venne donato alla città anche Palazzo Bianco, ma “per la formazione di una pubblica galleria”, di cui Genova era ancora priva: oltre ad alcune opere acquistate dai duchi di Galliera a Parigi, tra cui merita di essere menzionata la Maddalena di Antonio Canova, vennero così riuniti nel costituendo museo altri beni - dipinti, sculture, disegni, monete, tessuti… - giunti in proprietà pubblica per volontà di altri munifici donatori, oltre alle numerose opere provenienti dalle soppressioni napoleoniche di edifici religiosi.