I Musei di Strada Nuova ospitano, in Palazzo Rosso, alcuni capolavori assoluti di scuola emiliana.
Di Ludovico Carracci (1555-1619) è una piccola, ma deliziosa Annunciazione a olio su lastra di rame, dipinta a Bologna nel 1602, evidentemente destinata, per la sua preziosità, alla devozione privata di un committente di alta condizione sociale; sullo sfondo della scena, oltre una balaustra in marmo, sono le due torri più importanti di Bologna, la Garisenda e la torre degli Asinelli.
Di Guido Reni (1575-1642) il Museo conserva il celeberrimo San Sebastiano, la versione più bella e l’unica pienamente e indiscutibilmente autografa di un soggetto tra i più ripetuti dal pittore e soprattutto dai suoi imitatori. Dipinto intorno al 1615-1616 per un ricco committente - per il blu del cielo è stato usato lapislazzulo - è registrato nella dimora genovese dei Brignole - Sale entro il 1684, nell’inventario allegato al testamento di Gio. Francesco I (1643-1694). La figura, classicamente idealizzata, ha un’eleganza che sfiora la sensualità che la rese celebre nei secoli: il quadro colpì grandemente, alla fine dell’Ottocento, il giovane Oscar Wilde e, in tempi più recenti, il poeta giapponese Yukio Mishima.
Quattro tele con i santi Paolo, Simone, Matteo e Tommaso di Giulio Cesare Procaccini (1574-1625) - il pittore della Milano borromaica bolognese di nascita - costituiscono il più importante nucleo superstite di una serie di quattordici tele raffiguranti Cristo, la Madonna e i dodici Apostoli, di cui si conosce con certezza la data di esecuzione: il pittore francese Simon Vouet nel 1621 scrisse da Milano a Gio. Carlo Doria, il mecenate genovese committente della serie, di aver visto nello studio del pittore gli Apostoli quasi terminati.
Splendide infine le opere di Giovanni Francesco Barbieri il Guercino (1591-1666), di momenti diversi della sua carriera: il Padre Eterno con un angioletto, dipinto intorno al 1620 come cimasa per un altare della chiesa bolognese di San Gregorio, venne trattenuto per sé dal committente Cristoforo Locatelli per la straordinaria bellezza e rappresenta la fase della prima maturità del maestro, influenzata dalla lezione cromatica di Tiziano; il Suicidio di Catone, databile agli anni 1640-41 sulla base di un pagamento al pittore, venne acquistato dal già menzionato Gio. Francesco I Brignole - Sale ed è registrato in Palazzo Rosso dal 1684; la Cleopatra morente, considerata il capolavoro dell’ultima fase dell’attività dell’artista, fonde idealizzato classicismo ed esplicita e drammatica sensualità, in una tavolozza ridotta a pochi colori: il bianco del corpo morente di Cleopatra, delle lenzuola e della perla rilucente al lobo dell’orecchio; e il viola/rubino per il sangue della regina, per i cuscini e per le cortine dell’alcova, disposte come il sipario in una rappresentazione teatrale. L’opera è pagata al pittore nel 1648 da Mons. Carlo Emanuele Durazzo e passò alla metà del Settecento ai Brignole - Sale. Infine, il Cristo che caccia i mercanti dal tempio, oggetto di restauro e di approfondite analisi diagnostiche nel 2009, è identificabile con il quadro pagato nel 1638 dal giurista Antonio Fabbri al Guercino e poi donato al cardinal Giovanni Battista Pallotta per la quadreria del suo palazzo marchigiano; la tela è replica autografa, con probabile collaborazione della bottega, di un dipinto di medesimo soggetto pagato nel 1634 dal duca di Modena al pittore, già ritenuto perduto e quindi identificato nel bel quadro passato sul mercato antiquario in Spagna nel 2013.
Al secondo piano nobile, la pala del Guercino con La Madonna col Bambino in trono con San Giovannino e i santi Giovanni Evangelista e Bartolomeo è allestita nella sala dell’Autunno riproponendo la collocazione che le era stata assegnata a fine Seicento nella quadreria di Gio. Francesco I Brignole - Sale, entro le specchiature di Antonio Haffner.