Il palazzo fu eretto a partire dal 1565 da Domenico e Giovanni Ponsello per Niccolò Grimaldi (1524-1593), appellato "il Monarca" per il novero di titoli nobiliari di cui poteva vantarsi, e ai quali sommava gli innumerevoli crediti che aveva nei confronti di Filippo II, di cui era il principale banchiere. È l’edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Rappresenta il culmine del fasto residenziale dell’aristocrazia genovese.
Non è noto quanto mancasse al compimento dei lavori, ma certo quando, nel 1575, Filippo II di Spagna, principale debitore del Grimaldi, dichiarò la sospensione dei pagamenti, per il genovese fu la rovina. Trasferitosi a Madrid per cercare di recuperare le proprie sostanze, sospese ogni attività edilizia e, soprattutto, decorativa, sicché il palazzo deve essenzialmente a questa vicenda la mancanza di affreschi. Ceduto nel 1593, il palazzo pervenne di seguito a Gio. Andrea Doria, principe di Melfi, che desiderava una dimora prestigiosa come quella per destinarla al ramo cadetto della propria discendenza, quello di Carlo I, duca di Tursi (1576-1649), il cui predicato nobiliare è quello tuttora utilizzato per denominare il palazzo. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte in questa fase.
Dopo più di due secoli, il 13 gennaio 1820 Casa Savoia acquisì il palazzo da Maria Giovanna Doria, V duchessa di Tursi: comincia in questo modo la “fase piemontese” della storia della dimora, durante la quale, oltre a completarla sul retro e a costruire la torretta dell’orologio, gli venne conferita quella veste decorativa degli interni che tuttora in buona parte la caratterizza. Dato poi per qualche anno in uso ai Gesuiti, il palazzo il 15 giugno 1850 divenne proprietà e sede del Comune di Genova.
La facciata è caratterizzata dall’alternarsi di materiali di diverso colore: il rosa della pietra di Finale, il grigio-nero dell’ardesia, il bianco del pregiato marmo proveniente da Carrara. Consta di due ordini sovrapposti: il piano rialzato sopra la grande zoccolatura alterna finestre dal disegno originale con paraste rustiche aggettanti, sostituite, al piano superiore, da paraste doriche. Mascheroni dalle smorfie animalesche sormontano le finestre di entrambi i piani, contribuendo alla resa plastica della facciata.
Il maestoso portale marmoreo è coronato dallo stemmo della città di Genova. Particolarmente innovativa è l’inedita e geniale soluzione architettonica che con la successione degli spazi interni - atrio, scala, cortile rettangolare sopraelevato rispetto al portico e scalone a doppia rampa - crea un meraviglioso gioco di luci e prospettive.
Dopo i lavori del 2003-2004 tutto il piano nobile dell’edificio è stato aperto al pubblico, integrato nei Musei di Strada Nuova: oltre alle cinque sale destinate a completare il percorso della pinacoteca di Palazzo Bianco con i dipinti del XVIII secolo - si cita il celebre Trattenimento in un giardino di Albaro di Alessandro Magnasco - e con la Maddalena di Antonio Canova, si possono ammirare gli spazi monumentali, e una serie di sale che ospitano sezioni diverse delle raccolte civiche: pesi e misure dell’antica Repubblica di Genova, collezioni di monete e medaglie, ceramiche, arazzi, il violino di Nicolò Paganini (1782-1840) e altri cimeli del celebre violinista e compositore genovese, che per testamento volle destinare alla sua città natale, “onde sia perpetuamente conservato”, il suo strumento prediletto, quello che per la pienezza del suono aveva soprannominato “il mio cannone violino”.