A cavallo del nuovo secolo un netto cambiamento contraddistingue la pittura caravaggesca: una rivoluzionaria ricerca di verità nella rappresentazione di scene evangeliche o bibliche, con un più deciso realismo nei soggetti e un uso drammatico della luce, segna infatti tutto il percorso di Michelangelo Merisi il Caravaggio (1571-1610) e dei suoi emuli, artisti italiani e stranieri.
In Palazzo Bianco è esposto il celebre Ecce Homo del Caravaggio, dipinto enigmatico, la cui affascinante e controversa vicenda attributiva non ne diminuisce, ma anzi, ne accresce la fama.
Registrato per la prima volta nell'inventario di Palazzo Bianco del 1921 come ‘copia da’ Lionello Spada, senza indicazioni di provenienza, e pesantemente danneggiato nel corso del secondo conflitto mondiale, il dipinto rimane ignorato fino ai primi anni Cinquanta quando, riconosciuto come prototipo originale della tela di ugual soggetto di ambito caravaggesco conservata alla Galleria Nazionale di Messina, viene attribuito dall'autorevole storico dell’arte Roberto Longhi al Merisi.
Sulla valutazione del quadro hanno pesato nel tempo diversi fattori: in primis lo stato di conservazione riscontrabile nelle foto storiche e l’intervento conservativo piuttosto importate cui l’opera è stata sottoposta dopo la guerra, ma anche il mistero sulla sua storia collezionistica e sul momento del suo ingresso nelle collezioni del museo. Solo recentemente, infatti, è stato ritrovato un documento d’archivio che permette di ipotizzare un suo acquisto nel 1908 dalla raccolta cittadina di Giovanni Cabella. Identificato tradizionalmente con il quadro di ugual soggetto dipinto dal Merisi per il nobile romano Massimo Massimi, di cui abbiamo notizia da un contratto autografo tra pittore e committente datato 1605, il dipinto potrebbe anche riconoscersi in uno dei soggetti commissionati al Merisi nel 1609 da parte del messinese Niccolò di Giacomo: quattro Storie della passione, tra le quali certamente venne realizzato un Cristo portacroce, mentre non vi è certezza circa l’esecuzione e l’iconografia degli altri soggetti. Suggestiva, ma non supportata da dati documentari, l’ipotesi di un’esecuzione del dipinto a Genova nell’estate del 1605, quando Caravaggio fu ospite del principe Giovanni Andrea Doria, o ancora la proposta di identificare nel nobile Marcantonio Doria - committente dell’ultima opera nota del Merisi, la Sant’Orsola confitta dal tiranno arrivata a Genova via mare - il primo proprietario anche dell’Ecce Homo. A oggi, in ogni caso, il committente e la data di realizzazione dell’opera rimangono misteriosi.
Di straordinaria qualità formale è il Davide con la testa di Golia del francese Simon Vouet (1590-1649), attivo a Roma nella cerchia degli emuli del Caravaggio, ci riporta ancora a Genova, dove il quadro venne probabilmente eseguito nell’estate del 1621, quando l’artista fu ospite nella villa di Sampierdarena del menzionato Marcantonio Doria e di suo fratello Gio. Carlo, probabile committente del quadro e raffinato e aggiornato collezionista. Nella sua raccolta si trovavano altri capolavori eseguiti da Vouet nel suo soggiorno a Genova: il ritratto dello stesso Gio, Carlo Doria e una Giuditta con la testa di Oloferne, oggi in collezione privata, che faceva da pendant a questo Davide e Golia. L’accuratezza della stesura pittorica modula magistralmente l’incarnato del corpo dell’eroe esprimendo insieme verità, possanza e ideale bellezza: Davide, fermato dal pittore in un attimo senza tempo, emerge dall’oscurità reggendo da un lato la spada, dall’altro l’enorme testa del gigante sconfitto.
Accanto ad altre opere di ambito caravaggesco, si segnalano il colorato realismo nordico della Salomè con la testa del Battista di Matthias Stomer (1600 ca. – post 1650) e tre tele di Giulio Cesare Procaccini (1574-1625), Giovan Battista Crespi detto il Cerano (1573-1623) e Pier Francesco Mazzucchelli il Morazzone, i tre maggiori esponenti di quel tardo manierismo controriformato che trovò espressione nella pittura lombarda di primo Seicento.